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Commento a Cassazione Civile, Sez. I, 20 aprile 2017, n. 9983.

1.   La ricostruzione della controversia

Il curatore del fallimento di una s.r.l. conveniva in giudizio i due soggetti che si erano succeduti nella carica di amministratori della società e tre istituti di credito contestando, ai primi, di non aver adottato i provvedimenti richiesti dalla legge in una situazione di perdita del capitale sociale e, anzi, di aver fatto ricorso al credito bancario e, ai secondi, di aver concesso e ingiustificatamente mantenuto linee di credito a favore della società, con ciò violando le regole di sana e prudente gestione che devono caratterizzare l’attività bancaria.

Parte attrice chiedeva dunque che gli amministratori e gli istituti di credito fossero condannati, in via tra loro solidale, a risarcire i danni cagionati alla società in ragione delle condotte sopra descritte.

Il Giudice di prime cure (i) dichiarava il fallimento privo di legittimazione ad agire nei confronti delle banche per i danni cagionati ai singoli creditori; (ii) rigettava la domanda per il risarcimento dei danni subiti dalla società; e, infine, (iii) accoglieva la domanda di responsabilità nei confronti degli amministratori condannandoli a risarcire il danno derivante dagli atti distrattivi compiuti durante l’esercizio della carica.

La Corte d’Appello confermava la sentenza resa dal Tribunale e, quindi, la curatela proponeva ricorso per Cassazione avverso la pronuncia resa in sede di gravame.

La Corte di Cassazione, in riforma della decisione resa in appello, accoglieva, infine, il ricorso, riconoscendo dunque la legitimatio ad causam del curatore fallimentare.

2.  L’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione riguardo alla responsabilità della banca per concessione abusiva di credito

La pronuncia in esame suscita particolare interesse poiché, nell’ambito della giurisprudenza in materia di responsabilità della banca per concessione abusiva di credito, si pone come il punto d’arrivo dell’impostazione ermeneutica delineata dalla

Corte di Cassazione, dapprima, a Sezioni Unite, con le pronunce “gemelle” del 28 marzo 2006 e, in seguito, con la decisione del 1° giugno 2010 n. 13413.

È stato infatti nelle pronunce delle Sezioni Unite sopra richiamate che la Suprema Corte ha affrontato il tema della legittimazione del curatore fallimentare ad agire in giudizio contro le banche per il risarcimento del danno arrecato al patrimonio della società fallita dall’abusiva concessione di credito. Infatti, sebbene in tali casi le pretese avanzate dalla curatela non siano state accolte per motivi di rito, le menzionate decisioni hanno comunque avuto il pregio di precisare i confini delle azioni risarcitorie esperibili in caso di illecita concessione di nuove linee di credito o di ingiustificato mantenimento di quelle esistenti.

Da tali condotte, infatti, possono derivare due distinte tipologie di danno  che legittimano due distinte categorie di soggetti ad agire in giudizio per ottenerne il relativo risarcimento.

In primis, si è ritenuto infatti configurabile un danno subìto direttamente dai singoli creditori a causa dell’incremento dello squilibrio tra attivo e passivo, cui consegue una riduzione della loro possibile soddisfazione nell’ambito della procedura concorsuale (e a cui, peraltro, può aggiungersi anche quello che discende dal mendace affidamento ingenerato nel mercato dall’apparente solvibilità dell’impresa artificiosamente finanziata). L’azione per ottenere il risarcimento di tale danno non può essere esercitata dal curatore ma esclusivamente dai singoli creditori, essendo diretta al ristoro del pregiudizio patrimoniale da essi subìto in via “diretta”, così come nell’ipotesi contemplata dall’art. 2395 c.c.

È poi configurabile il danno patito dalla società, derivante dall’aggravio del proprio passivo tramite l’ottenimento o, dal punto di vista della banca, la concessione di nuova finanza e dal successivo occultamento dell’emersione dello stato di insolvenza. Tale azione, in quanto volta alla reintegrazione del patrimonio del debitore, è un’azione che, in caso di fallimento, compete al curatore ai sensi dell’art. 146 L.F.

L’impostazione appena descritta è stata confermata anche da una successiva pronuncia del 2010 con cui la Corte di Cassazione ha precisato i confini della responsabilità della banca nei confronti della società per abusiva concessione di credito. In tale occasione,

infatti, i giudici di legittimità hanno affermato, in maniera esplicita, che la banca può concorrere nell’illecito commesso dagli amministratori della società che abbiano illegittimamente fatto ricorso al credito in una situazione prossima all’insolvenza. Tuttavia, anche in questo caso, la richiesta risarcitoria non è stata accolta per ragioni di rito.

Dando seguito all’orientamento testé illustrato, la Suprema Corte con la sentenza qui annotata ha sancito – ancora una volta – la legittimazione del curatore fallimentare ad agire in giudizio, ex artt. 2393 c.c. e 146 L.F., nei confronti della banca nel caso in cui quest’ultima abbia concorso con gli amministratori (avendo acconsentito alle loro richieste) a porre in essere le condotte che hanno reso possibile l’abusivo ricorso al credito da parte della società e, conseguentemente, a cagionare un danno alla stessa. La Corte di Cassazione ha quindi accolto la domanda risarcitoria formulata dalla curatela, rinviando la causa alla competente Corte d’Appello.

3.   I presupposti della responsabilità della banca

Chiarita l’importanza della sentenza in esame nell’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte, vanno analizzati i principi in essa affermati per quanto concerne, in primo luogo, il contenuto della responsabilità della banca e, in secondo luogo, la determinazione del danno che la medesima è chiamata a risarcire in solido con gli amministratori.

La responsabilità solidale della banca trova ovviamente il suo presupposto proprio nella condotta negligente degli amministratori, i quali, in una situazione di tensione- economico finanziaria che – se affrontata con la dovuta diligenza – imporrebbe la necessità di avvalersi degli idonei strumenti forniti dalla legge (4), abbiano  invece deciso di ricorrere al credito bancario, con ciò celando la crisi vissuta dalla società gestita e aggravando il deficit del suo patrimonio.

Ebbene, l’illecito della banca si verifica proprio in una simile contingenza, quando cioè gli amministratori della società decotta vi si rivolgano al fine di ottenere l’erogazione di nuova finanza e quest’ultima, pur essendo consapevole del dissesto dell’impresa (o colpevolmente ignorandolo), accolga tale richiesta e conceda un finanziamento.

I presupposti perché sia ravvisabile l’illecito della banca sono quindi, in ordine logico,

(i) che la società finanziata si trovi in una situazione di crisi irreversibile che, se manifesta, potrebbe condurre alla dichiarazione di fallimento; (ii) che gli amministratori, decidano di ricorrere al credito bancario anziché alle opportune procedure previste dalla legge, contravvenendo così alle regole di buona gestione; e, infine, (iii) che la banca, nonostante fosse edotta dello stato di insolvenza (ovvero ignorandolo per propria negligenza), abbia concesso (o prorogato o anche solo mantenuto) il finanziamento.

La responsabilità della banca, quindi, discende dall’eventuale omissione di tutte quelle verifiche che tipicamente vengono svolte nell’ambito dell’erogazione del credito.

L’osservanza delle regole di condotta che caratterizzano l’istruttoria preliminare diviene così il principale parametro in base al quale valutare la diligenza dell’istituto di credito e, conseguentemente, ravvisare una sua condotta colposa. Occorre tuttavia chiarire che l’effettiva diligenza della banca non va verificata solo con riferimento al momento genetico del rapporto con la società finanziata (e alla documentazione standard che solitamente viene raccolta e analizzata dalle banche in tale frangente), estendendosi anche a tutto il periodo in cui il rapporto debitorio risulti pendente. In altri termini, la banca deve costantemente rivedere le proprie valutazioni sulla base dei nuovi elementi di volta in volta acquisiti (o acquisibili con la dovuta diligenza), specialmente nei momenti di rinnovo/conferma del rapporto in essere.

Sul punto, deve inoltre osservarsi che il grado di diligenza richiesto alla banca (e ai suoi funzionari) non è quello del buon padre di famiglia, ma piuttosto la speciale diligenza professionale richiesta al bonus argentarius: il buon banchiere, quindi, non solo dovrà possedere specifiche competenze, ma anche essere dotato dei mezzi più idonei per garantire una prudente e puntuale verifica delle condizioni patrimoniali (e del merito creditizio) del proprio cliente.

La responsabilità della banca nei confronti della società per il danno da abusiva concessione di credito potrà configurarsi unicamente come responsabilità concorrente 

con quella degli amministratori dell’impresa in crisi. L’erogazione del credito è infatti un atto neutro: non può – di per sé – determinare né un danno né un vantaggio per la società e pertanto, per una simile valutazione, occorre che la nuova finanza sia rapportata allo scopo per il quale viene conseguita (o erogata). L’eventuale danno non può infatti che discendere dall’utilizzo e dalle finalità che vengono perseguite dagli amministratori: qualora la nuova finanza fosse utilizzata nell’ambito di una delle modalità consentite dalla legge (ovverosia, ad esempio, nell’ambito di un piano «che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria»), essa non potrebbe evidentemente che rappresentare un beneficio per l’impresa.

La responsabilità della banca, pertanto, sorge unicamente nel momento in cui la concessione del credito avvenga fuori da simili contesti e le somme così ottenute siano impiegate al solo scopo di mantenere artificiosamente in vita un’impresa destinata invece al fallimento.

4.   Il danno derivante dall’abusiva concessione del credito

La pronuncia in esame ha inoltre il merito di fare chiarezza anche sul profilo dell’identificazione del danno derivante da tale responsabilità e della sua quantificazione.

Quanto al primo punto, la Suprema Corte ha avuto modo di affrontare una delle maggiori critiche rivolte alla linea interpretativa assunta, ovverosia quella secondo cui – pur in presenza di un’inadeguata valutazione del merito creditizio – la decisione rispetto alla concreta utilizzazione del finanziamento ottenuto dall’impresa spetta unicamente a quest’ultima, con ciò dimostrando come la destinazione delle risorse ottenute sia del tutto estranea all’erogazione del credito che, anzi, si colloca in un momento anteriore all’eventuale aggravio del dissesto economico.

Senonché, ad avviso della Corte di Cassazione, una simile tesi non è minimamente sostenibile, in quanto è l’erogazione stessa del credito che, se concessa quando la società debitrice abbia perso il proprio capitale, è dotata di un’intrinseca efficacia causale. Il danno, infatti, consiste proprio nel ritardo dell’emersione del dissesto che – a sua volta – determina l’aggravamento del deficit patrimoniale prima della dichiarazione di fallimento (e dell’apertura della procedura concorsuale che – al contrario – avrebbe proprio la precipua finalità di preservare la massa attiva della società in default).

Ne discende che il banchiere che non abbia adoperato adeguatamente le proprie risorse  e le proprie competenze professionali al fine di accertare l’effettivo merito creditizio della società decotta e, ciononostante, abbia concesso credito a quest’ultima, finisce inevitabilmente per compartecipare – in via solidale – alle responsabilità derivanti dalla mala gestio degli amministratori.

Passando quindi al secondo punto in questione (ossia la quantificazione del danno), risulta evidente che la quantificazione di tale danno non possa essere limitata all’aggravamento degli oneri finanziari ingenerato dalla nuova finanza, ma debba piuttosto essere ricondotta – in qualche modo – all’effettiva misura dell’incremento del deficit patrimoniale della società che sia stato direttamente causato dall’occultamento del suo stato di crisi.

È in questa logica che la Corte ammette – sulla scorta del principio già enunciato in passato dalle Sezioni Unite – la possibilità, per il caso in cui l’attore abbia allegato le specifiche ragioni impeditive di un «rigoroso accertamento degli effetti dannosi», di ricorrere alla liquidazione del danno in via equitativa, secondo il criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali.

Si può allora ipotizzare che, qualora sia impossibile ricostruire analiticamente l’effetto ingenerato dell’abusivo ricorso al credito (in ragione per esempio dell’incompletezza dei dati contabili o dell’intercorrere di un periodo di tempo particolarmente significativo), il danno possa essere quantificato applicando il criterio della differenza dei netti patrimoniali, ossia tra l’esposizione debitoria alla data in cui la crisi era divenuta irreversibile e quella riscontrata alla dichiarazione di fallimento.

5.   Conclusioni

L’orientamento seguito dalla Suprema Corte nel corso dell’ultimo decennio consente – in maniera sempre più evidente – alle curatele di intraprendere azioni a tutela della massa attiva nei confronti degli istituti di credito che abbiano – colpevolmente – erogato nuova finanza a imprese in crisi (e lo abbiano fatto al di fuori del perimetro consentito dal legislatore, ossia fuori dall’ambito degli strumenti di soluzione delle crisi d’impresa).

Se ciò, da un lato, permette una significativa tutela – quantomeno indiretta – dei creditori della società fallita, che potranno beneficiare di azioni di responsabilità potenzialmente ben più fruttuose, dall’altro lato impone alle banche una condotta prudente, sia nella predisposizione di adeguate misure al fine di verificare costantemente il merito creditizio dei propri clienti, sia nel non ignorare (né sottovalutare) le situazioni di crisi delle società che accedono al credito.

Alla luce di quanto precede, si può quindi concludere che, qualora un istituto di credito si trovi di fronte a un’impresa in difficoltà, le opzioni più tutelanti siano, da un lato, il “congelamento” della situazione esistente e il diniego di nuova finanza e, dall’altro lato, la sua eventuale concessione nell’ambito di un piano di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d) L.F. o di un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F.. Diversamente, la banca si esporrebbe al rischio di future (potenziali) azioni di responsabilità da parte delle curatele delle imprese eventualmente dichiarate fallite.

Giacomo De Zotti e Matteo Miramondi, Greco Vitali Associati – Studio Legale

On May 16, 2017, a privacy seminar took place at our firm. The purpose was to highlight some crucial issues introduced by the new General Data Protection Regulation (hereinafter, the “GDPR”). Our partner, Matteo Ludovico Vitali, head of corporate and M&A department, focused in particular on the main new issues introduced by the GDPR which may have an impact on the M&A industry.

A first insight has regarded companies that may be potentially subjected to the GPDR. A very notable change is that the GDPR will be applicable not only to companies established in the EU, but to all companies operating in EU markets or targeting EU consumers. Once the GDPR will become effective, a target company located outside the EU may be required to comply with the GDPR’s provisions. Companies in non-EU countries may soon find themselves with a significant investment backlog in privacy / compliance and may be exposed to previously unknown compliance risks and costs, including fines up to 4% of annual worldwide turnover or 20 million Euros (whichever is higher).

The spectrum of the industries caught by the GDPR’s rules is in theory indefinite: retail, banking and finance, fintech, healthcare, biomedical and several other industries will be potentially subjected to the new regulation framework.

Only article 3 of the GDPR provides for some exceptions with reference to the processing of personal data performed (i) in respect of activities which fall outside the scope of EU law (activities concerning national security); (ii) in relation to UE’s common foreign and security policy; (iii) by competent authorities for the preventions, investigation or prosecution of criminal offences; (iv) by a natural0 person as part of a personal or household activity.

A second issue concerns the additional diligence that will be paramount at all stages of an M&A process. In particular, the GDPR imposes the purchasers to closely evaluate the type of processing activities that the target company is engaged in and make a record of its current state of compliance. First of all, the GDPR requires data controllers and processors to maintain extensive records of processing activities, which must be available to Data Protection Authorities (hereinafter, the “DPA”). These record must include the name and contact details of the controller or processor; the purposes of the processing and its categories and description of the company’s technical and organizational security measures.

Furthermore, the potential purchaser shall verify that any personal data held by the company is adequate, relevant to the purposes for which it has been collected and not excessive for those purposes and that is not being kept for longer than necessary for those purposes.

Moreover, a potential purchaser shall analyze if the target company has appointed a “Data Protection Officer” (hereinafter, the “DPO”), i.e. a person who is accountable for the data protection. In

particular, the appointment of a DPO is mandatory where “the core activities” of an entity involve the large-scale processing of sensitive data or “regular or systematic monitoring of data subjects on a large scale” (for instance, online behavior tracking, profiling or the monitoring of employees by an employer). This circumstance, in particular, may affect multinationals (if, for example, they are engaged in such activities) and, consequently, understanding how a target company collects, stores, uses and transfers personal data will be vital in the evaluation of the risks associated with an M&A transaction.

Moreover, the exposition has analyzed the new obligation for companies that process “Big Data” to draw up a “Data Protection Impact Assessment” (hereinafter, the “DPIA”), i. e. a systematic description of the company’s processing operations and an assessment of the necessity  and proportionality of the processing, as well as its risks and safeguards. With regard to an M&A process, it is advisable for potential purchasers to screen target companies for high-risk processing activities that require a DPIA. The fulfillment of this obligation will be checked by the DPA, which will maintain lists of the processing activities for which DPIA will be required.

In light of above, all potential purchasers should be very accurate in the due-diligence process, verifying that the target company has adopted all the above mentioned measures. The predisposition of a precise and clear check-list, as well as a thorough analysis of the privacy risks involved in an M&A transaction, will be vital to mitigate the danger of a future liability. In particular, the due diligence process will allow the potential purchasers to discover eventual breaches that have already happened but are unknown to the company that is being bought.

For these reasons the due diligence-process should be tailored as far as possible to the target company’s trading activities and operations: in the digital age and particularly in light of the overreaching principle of “accountability” underpinning many provisions of the GDPR, simply reviewing privacy policies and data protection provisions is no longer adequate. Transactional lawyers, consequently, shall adopt a holistic approach which not only asses how a company gathers, uses, stores, protects and destroys personal data according to its general information governance policies, but also whether these procedures are followed in practice. This approach will allow the potential buyer to paint a detailed picture of the overall data protection health and well-being of the target.

However, it shall be considered that the level of diligence carried out may be determined by a number of factors (including the risk tolerance of the potential purchaser and time constraints around the speed at which the deal is to occur). Probably, limitations in the depth of due diligence should translate into more fulsome representations and warranties in the deal documents.

On the other hand, unearthing compliance issues though detailed data protection due diligence is also likely to lead to stringent and robust data protection provisions and pre or post completion undertakings from the company target in the transaction agreement.

Either way, the findings of the company target’s data protection due diligence will inform the representations, warranties and indemnities in the deal documentation (for instance, the target company should be asked to warrant that the company has not experienced any breach, security incident or violation of data protections laws, has provided adequate notice and obtained any necessary consents from data subjects, has adopted appropriate technical and organizational measures and security systems and has

put in place written agreements with all data processors which comply with the GDPR and the target’s own privacy policies).

In addition, the potential purchaser may also demand to seek indemnities in respect of any breaches of the GDPR, on a general basis or in relation to specific concerns identified through its due diligence. In negotiating the survival period of these provisions, the potential buyer shall consider the length of time required to fully integrate the information technology systems of the target, as well as any limitation periods for data protection related claims and investigations.

What set forth allow us to conclude that before engaging with a target, potential purchasers shall factor data protection and data security considerations into their overall deal strategy, given that these can impact on the overall valuation of the target company.

Infact, if the risks or vulnerabilities in the target’s information technology security framework are significant, the value of the target may be affected and a renegotiated purchase price may be appropriate. Alternatively, the potential buyers may consider how best to apportion financial risks with the target company, for instance, by requiring an escrow account to hold back part of the purchase price to address potential post-closing liabilities.

In conclusion, in the digital age and under the stringent provisions of the GDPR, a company’s observance of data protection laws can significantly affect its value. Data protection issues shall therefore be carefully considered and planned for the outset and throughout the M&A process: strategic issues with data protection at their core can creep up at various stages of a deal, including during the development of an acquisition or approach strategy at the genesis of a deal, through to the integration and transition strategy post-completion.

Matteo L. Vitali – Martino Berselli

Il Decreto Legge n. 83/2012 c.d. “Crescita e sviluppo” è stato approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 15 giugno 2012 ed è stato pubblicato nel supplemento ordinario numero 129 della Gazzetta Ufficiale del 26 giugno 2012.

La pubblicazione non ha comportato rilevanti modifiche, soprattutto, per quanto attiene all’art. 33, rubricato “Revisione della legge fallimentare per favorire la continuità aziendale”, contenuto nel capo III “Misure per facilitare la gestione delle crisi aziendali”. Tale disposizione si inserisce nella serie di interventi sull’impianto originario della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) a distanza di quasi due anni dalle disposizioni introdotte dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazione, nella Legge 30 luglio 2010, n. 122; con l’art. 33 del Decreto, oltre alla modifica di preesistenti articoli della legge fallimentare, ne vengono inseriti altri cinque nuovi (artt. 169 – bis, 182 – quinquies, 182 –sexies, 186 –bis e 236 – bis L.F.)

Il 26 giugno u.s. è stato poi presentato alla Camera dei Deputati il disegno di legge di conversione del Decreto: come noto, infatti, i Decreti Legge entrano in vigore immediatamente ma devono essere convertiti in legge entro 60 giorni, pena la decadenza retroattiva degli effetti prodotti.

E’ stato quindi avviato un ciclo di “audizioni informali” che hanno tra l’altro coinvolto il Ministero dello Sviluppo Economico e le parti sociali.

Lunedì 9 luglio è scaduto il termine per la presentazione degli emendamenti.

Il Decreto è stato convertito con la legge 7 agosto 2012, n. 134 (G.U. 11 agosto 2012, n. 187, suppl. ord. N. 171).

Per quanto attiene all’entrata in vigore delle disposizioni del Decreto quelle contenute nell’art. 33, a differenza di tutte le altre, sono soggette a una previsione “temporale” ad hoc.

Il comma 3 dell’art. 33 del Decreto, infatti, prevede che le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano ai procedimenti di concordato preventivo e per l’omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti introdotti dal 30° giorno successivo alla entrata in vigore della legge di conversione, nonché ai piani di cui al comma 1, lett a), n. 1) elaborati successivamente al predetto termine. Si tratta di una scelta peculiare che, come hanno osservato i primi commentatori, è dovuta alla presenza in decreto di una nuova norma penale relativa al professionista-attestatore (di cui si dirà in seguito).

  1. Gli obiettivi della riforma
  • Eliminazione dei gravi disincentivi al tempestivo accesso alle procedure concorsuali alternative al fallimento da parte delle imprese in crisi (quali (i) l’insufficiente protezione del debitore durante la preparazione del piano di ristrutturazione che poteva essere esposto a azioni esecutive individuali ex 182-bis, comma 6 e (ii) le problematiche emerse con le prime forme di “nuova finanza” ex art. 182-quater); e dall’altra parte, l’introduzione di misure atte a garantire due tra gli incentivi più importanti nell’ambito delle ristrutturazioni vale a dire la garanzia della stabilità degli atti compiuti dall’imprenditore e la previsione di una disciplina peculiare per chi ha creduto nell’impresa in questa fase delicata mediante concessione di risorse finanziarie.
  • Principale conseguenza è, dunque, il favor verso un’emersione anticipata della difficoltà di adempimento dell’imprenditore. In linea con i principi ispiratori della riforma complessiva del diritto fallimentare, le nuove norme tendono a favorire una denuncia tempestiva della propria situazione di crisi, piuttosto che l’assoggettamento a misure di controllo esterno che la rilevino.
  • Favorire la continuità aziendale (concetto di natura aziendale che fa breccia nel diritto fallimentare: v. art. 2423-bis c.; IAS 1; Principio di revisione n. 570; Documento Banca d’Italia, Consob e Isvap n. 2 del 6 febbraio 2009 e Comunicazione Consob n. 9012559). La continuità aziendale non viene concepita come un valore in sé, ma soltanto in quanto strumentale alla soddisfazione dell’interesse del ceto creditorio.
  • Coordinamento tra le regole del diritto fallimentare (ad esempio, vi è coordinamento tra art. 168 L.F. riguardante gli effetti della presentazione del ricorso per concordato e l’art. 184 L.F. sugli effetti del concordato: ora è prevista infatti la pubblicazione ex officio della domanda per concordato e da quel momento si segna lo spartiacque tra creditori concorsuali e non).
  • Facilitare il coordinamento tra regole del diritto societario e quelle del diritto fallimentare: in ragione della interferenza sempre maggiore tra le due discipline; prevalenza della legge speciale sul diritto societario “comune”.
  1. Le misure adottate dal
    • IL C.D. CONCORDATO “ANTICIPATO” (ART. 161 L.F.)

L’anticipazione degli effetti positivi del concordato viene raggiunta accordando una “protezione anticipata” all’imprenditore rispetto a possibili aggressioni, dal punto di vista delle azioni esecutive, promosse dai suoi creditori.

In questo senso, vanno i nuovi commi dell’art. 161 L.F. che consentono all’imprenditore

  • sulla falsariga del chapter 11 del Bankruptcy Code americano – la facoltà di depositare un ricorso contenente la mera domanda di concordato preventivo, senza la necessità di produrre, contestualmente alla stessa la proposta, il piano e l’ulteriore documentazione richiesta dal secondo e terzo comma dell’articolo 161 L.F., salvo che per il deposito dei bilanci della società relativi agli ultimi tre esercizi. Al momento del deposito del ricorso, sarà il giudice ad assegnare al debitore un termine, compreso tra sessanta e cento venti giorni eventualmente prorogabile di altri sessanta in presenza di “giustificati motivi”, per integrare il ricorso. In alternativa, e con conservazione degli effetti prodotti dal ricorso sino all’omologa, è possibile depositare domanda ex 182-bis, comma 1° L.F.. Tale disposizione potrebbe essere strumentalizzata dal debitore al fine di ottenere una maggiore protezione a proprio esclusivo vantaggio: di conseguenza, è verosimile aspettarsi che i Tribunali nella determinazione del termine per l’integrazione e dell’eventuale proroga adottino criteri molto prudenziali, valutando, per ciascun caso di specie, l’esigenza connesse alla predisposizione e presentazione del piano e la necessità di garanzia dei creditori della procedura.

A partire dal deposito l’imprenditore è libero di compiere gli atti di ordinaria amministrazione e, previa autorizzazione del Tribunale, anche quelli “urgenti” di straordinaria amministrazione. Inoltre i crediti di terzi sorti per effetto di atti legalmente compiuti dal debitore in questo periodo sono prededucibili. In tal modo si spingono i terzi a contrarre con l’imprenditore in concordato, promuovendo la prosecuzione dell’attività produttiva.

Pur riconoscendo che la nuova disposizione potrà sortire effetti positivi certamente si pongono alcuni dubbi interpretativi con particolare riguardo al contenuto dell’atto introduttivo e al potere di valutazione del giudice di fronte alla valutazione della “mera domanda”. Infatti ci si può domandare: se l’imprenditore non presenta la proposta, né il piano, né la restante documentazione, cosa presenta? Si tratta semplicemente di una domanda di successiva integrazione? Se così fosse, quali parametri avrà il giudice per fissare, a sua discrezione il termine entro il quale la documentazione andrà presentata? Certamente l’imprenditore dovrà indicare se sussistono quei “giustificati motivi” a sostegno di una ulteriore proroga.

Quanto ai poteri del giudice, sul punto, nonostante le nuove disposizioni non siano ancora entrate in vigore, si è già espresso il Tribunale di Monza, in data 20 giugno 2012. In occasione della fase di istruttoria prefallimentare le parti hanno più volte chiesto il differimento del termine di udienza per la pendenza delle trattative che avrebbe dovuto condurre al deposito dell’istanza di desistenza. Il Tribunale ha dichiarato fallita la società per mancato raggiungimento di un accordo con i creditori, in presenza di tutti gli altri presupposti richiesti per la fallibilità, precisando – a fronte del fatto che una delle parti aveva invocato il contenuto del nuovo Decreto al fine di riservarsi di integrare la documentazione necessaria per proporre una domanda di concordato – che “la nuova norma inserita dall’art. 33 DL 15 giugno 2012, contenente misure urgenti per la crescita, che consente all’imprenditore di depositare il solo ricorso riservandosi d’integrarlo con la proposta, il piano e la documentazione, quando venga proposta nel corso di un procedimento prefallimentare, non solo non preclude, ma “comporta la necessità di un vaglio da parte del tribunale delle esigenze di tutela della massa dei creditori al fine di operare un bilanciamento degli interessi riconducibili all’autonomia negoziale con quelli pubblicistici peculiari della procedura fallimentare”.

  • NUOVA MODULAZIONE DELLA FIGURA DEL PROFESSIONISTA (ARTT. 67, COMMA 3, LETT. D) E 236-BIS L.F.)

La figura del professionista attestatore si innova sotto tre profili, vale a dire, rispettivamente, quello:

  • dell’indipendenza, in quanto si sostituisce la lettera d) del terzo comma dell’’articolo 67 L.F. prescrivendo, anche mediante il rinvio alle cause di ineleggibilità e decadenza dei sindaci (art. 2399 c.c.), che il professionista designato dal debitore deve essere indipendente, cioè non deve essere legato a quest’ultimo da rapporti personali o di lavoro e, più in generale, non deve nutrire alcun interesse all’operazione di risanamento (in tal modo rimarcando la necessaria autonomia del professionista anche dai creditori);
  • delle competenze, in quanto egli non si limita più solo ad attestare i piani di risanamento o gli accordi di ristrutturazione ma nuovi documenti, nell’ottica di “attestarne la funzionalità rispetto alla migliore soddisfazione dei creditori: così accade per la “finanza interinale”, per il pagamento di crediti anteriori rispetto alla domanda di ammissione al concordato con continuità per il pagamento di beni e servizi; la prosecuzione dei contratti di natura pubblica se l’attestatore conferma “la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento”; e, ancora, la partecipazione a “procedure di assegnazione di contratti pubblici” se la società presenta in gara una relazione di un professionista che attesti la ragionevole capacità di adempimento
  • della rilevanza penale della sua condotta, con l’introduzione del reato di falso in attestazioni e relazioni (art. 236-bis F.), applicabile in caso di esposizione di informazioni false o di omissione di informazioni rilevanti. Se poi l’attestatore abbia da ciò tratto un ingiusto profitto per sé o altri si ricade nell’aggravante con aumento della pena base di 5 anni e multa da Euro 50.000 a Euro 100.000. Le conseguenze di questa norma potrebbero registrarsi sotto il profilo della durata delle procedura – andando così in parziale contro-tendenza
  • rispetto ai principi ispiratori del Decreto volti a velocizzarlo in considerazione dell’esigenza che gli attestatori avranno di verificare i dati che vanno ad esaminare ad esempio svolgendo una adeguata due diligence.
  • ESENZIONE DA REVOCATORIA (ART. 67, COMMA 3, LETT. D), L.F.)

Si integra la lettera e) del terzo comma dell’articolo 67 L.F., prevedendo espressamente il non assoggettamento all’azione revocatoria fallimentare degli atti, pagamenti e garanzie legalmente poste in essere dal debitore dopo il deposito del ricorso per concordato preventivo e anche prima dell’ammissione alla procedura.

La norma deve essere letta congiuntamente al nuovo ultimo comma dell’articolo 161 L.F. (punto 4 della lettera b) dell’articolato), che prevede la prededucibilità dei crediti dei terzi sorti da atti di straordinaria ed ordinaria amministrazione legalmente posti in essere dal debitore dopo il deposito del ricorso.

Lo scopo della norma è quello di promuovere la continuazione aziendale, incentivando i terzi a contrarre con l’impresa in crisi.

  • CONTRATTI IN CORSO DI ESECUZIONE (ART. 169 – BIS L.F.)

Si tratta di un intervento teso a razionalizzare i costi dell’impresa in crisi tramite una nuova disciplina finora assente nell’ambito del concordato. Previa autorizzazione del Tribunale, il debitore può sciogliersi dai contratti in corso oppure può chiedere la sospensione della loro esecuzione sino a 60 giorni qualora ciò facilita la risoluzione della crisi. Per il terzo contraente del debitore in crisi vi è il riconoscimento del diritto a un indennizzo la cui misura è parametrata – in conformità alle scelte già adottate nella vigente disciplina inglese e francese – al risarcimento del danno da inadempimento. Tale credito è, diversamente da quanto accade per i crediti di cui agli artt. 72 ss. L.F., attratto nel regime del concorso tra i creditori. La facoltà di scioglimento è preclusa per i rapporti di lavoro subordinato, di locazione e fondati su contratto preliminare di compravendita d’immobile abitativo trascritto.

  • ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE (ART. 182-BIS L.F.)

La protezione dell’imprenditore viene raggiunta anche tramite una modifica della disciplina degli accordi di ristrutturazione. In particolare viene ridotto lo spazio originariamente lasciato all’autonomia privata, prevedendo:

  • l’obbligo dell’integrale (anziché del regolare) pagamento dei creditori estranei, nonché,
  • sempre con riferimento a tali creditori, una moratoria legale di 120 giorni dall’omologazione, ove titolari di crediti scaduti a quella data, e dalla scadenza, se successiva. In questo modo si consente al debitore in crisi di poter beneficiare del c.d. scaduto fisiologico;
  • simmetricamente, mediante la scelta adottata nel sesto comma dell’arti. 161 L.F., si consente al debitore che ha depositato una proposta di accordo ai sensi del sesto comma dell’art. 182 bis L.F., non solo di depositare un accordo diverso da quello annunciato nella proposta, ma anche, di presentare una domanda di concordato preventivo, anche anticipata, conservando gli effetti protettivi già
  • FINANZA INTERINALE (182-QUINQUIES L.F.)

E’ una nuova forma di nuova finanza che si affianca a quelle già previste dall’art. 182-quater L.F., differenziandosene in modo sostanziale.

Le principali caratteristiche di questa “finanza interinale” sono le seguenti:

  • non è “soggettivamente” limitata, nel senso che le banche non sono gli unici soggetti che possono erogarla.Ci si potrebbe chiedere se vi sarà lo spazio per nuovi operatori del “debt restructuring”, ossia di soggetti specializzati, direi anche soggetti ad un regime di vigilanza piuttosto stringente, che siano in grado di finanziare l’impresa sul lato debito oltre che con interventi in capitale di rischio. Si potrebbe, quindi, aprire una nuova stagione di operazioni in ragione di questa opportunità. Tra l’altro se si legge l’art. 32 del Decreto, quello riguardante i nuovi strumenti di finanziamento per le imprese, si rileva come le società non emittenti, diversi dalle banche o dalle micro-imprese (Raccomandazione 2003/361/CE) possano emettere cambiali finanziarie e obbligazioni a determinate condizioni, anche in deroga ai limiti previsti dal codice civile e con previsioni fiscalmente efficienti. Ci si chiede: se questa sia nuova finanza e in che modo  si possano quindi combinare le previsioni dell’art. 33 con quelle dell’art.
  • non è circoscritta dal punto di vista temporale, nel senso che si può trattare di finanziamenti, anche individuati per tipologia, che non siano ancora oggetto di negoziazione;
  • può essere garantita da pegno e ipoteca; e
  • è certamente prededucibile, senza dover attendere l’omologa. Si incentiva quindi un mercato della finanza interinale secondo un modello ispirato ai “first day orders” del Bankruptcy Code

Per ottenere questi effetti il debitore che abbia depositato una domanda ex artt. 161, primo o sesto comma L.F. (quindi anche con concordato “anticipato”, e 182-bis, primo o sesto comma L.F.) ha la facoltà di richiedere subito al Tribunale di essere autorizzato a contrarre finanziamenti prededucibili e a pagare i fornitori anteriori le cui prestazioni siano funzionali alla prosecuzione dell’attività d’impresa.

Il Tribunale accorda o meno la predetta autorizzazione sulla base delle risultanze della relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, lettera d) L.F., che il debitore deve produrre, e, ove occorra, assunte sommarie informazioni.

I finanziamenti e i pagamenti possono in ogni caso essere autorizzati sempre che siano funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori concorsuali.

In costanza di procedimento per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione l’autorizzazione al pagamento di crediti anteriori provoca l’esenzione dall’azione revocatoria fallimentare.

  • PERDITA DEL CAPITALE DELLA SOCIETÀ IN CRISI (ART. 182-SEXIES L.F.)

Si introduce un importante incentivo alla risoluzione delle situazioni di crisi di impresa, rappresentato dalla non operatività, in costanza dei procedimenti di concordato preventivo e per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, degli obblighi di capitalizzazione della società in perdita e, soprattutto, della causa di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale.

La norma recepisce un orientamento interpretativo diffuso in tema di concordato preventivo (per la verità formatosi soprattutto con riguardo al concordato liquidatorio piuttosto che rispetto a quello con continuità aziendale) ma lo estende anche al procedimento di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis, commi primo e sesto, L.F..

Al momento dell’omologazione gli obblighi di capitalizzazione saranno evasi proprio per effetto del piano o dell’accordo di ristrutturazione.

  • CONCORDATO CON CONTINUITÀ AZIENDALE (ART. 186 BIS L.F.)

Con la lettera h) dell’articolo 33 del Decreto si introduce una disciplina di favore per i piani di concordato preventivo finalizzati alla prosecuzione dell’attività d’impresa. Si tratta di una prassi già presente e già adottata in determinate situazioni.

In proposito, la nuova norma – art. 186-bis L.F. – prevede quale presupposto applicativo che il piano contempli la prosecuzione dell’attività di impresa, la cessione di azienda in esercizio o il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società. Pertanto, è il contenuto del piano a determinare l’applicazione della norma che si integra – nei limiti della compatibilità – con le disposizioni generali previste dall’art. 160 L.F.: dovrebbe quindi ritenerssssi che anche in questo caso si possano richiedere gli effetti anticipati del concordato previsti dalla norma vista poco fa.

La norma si riferisce anche al contenuto del piano. Vi è un contenuto necessario, nel senso che esso deve contenere l’indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, nonché delle risorse necessarie e delle relative modalità di copertura. Quanto al contenuto eventuale, invece, si riconosce al debitore la possibilità di prevedere nel piano una moratoria sino a un anno per il pagamento dei creditori muniti di cause legittime di prelazione salvo che si preveda la liquidazione di beni o diritti su cui sussiste la causa di prelazione.

E’ previsto inoltre l’intervento dell’attestatore a conferma della funzionalità della prosecuzione dell’impresa rispetto al miglior soddisfacimento dei creditori.

L’ultima parte della norma è poi dedicata ai rapporti contrattuali pendenti. C’è la volontà da parte del legislatore di chiarire che il regime generale – quello previsto dall’art. 72 L.F. – non è applicabile per analogia come sostenuto da alcuni in passato.

Facendo salva la norma dettata in generale per la sorte dei contratti, si prevede che per il solo effetto dell’apertura della procedura essi non si risolvono.

L’ammissione alla procedura di concordato con continuità non impedisce la continuazione dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione, purché un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 lettera d) L.F. attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento dell’impresa.

In deroga alle regole di esclusione di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici, si prevede inoltre che l’impresa in concordato con continuità può partecipare alle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici, purché presenti in gara una relazione di un professionista indipendente sulla proprie capacità di adempimento e sempre che, a garanzia degli interessi della stazione appaltante, il concorrente ricorra all’istituto dell’avvalimento di cui all’art. 49 codice contratti pubblici e, ove partecipi in ATI con altre imprese in bonis, non rivesta il ruolo di mandatario.

Chiara Langè

TABELLA DI RAFFRONTO DELLA LEGGE FALLIMENTARE (R.D. 16 MARZO

1942, N. 267) COME MODIFICATA DALLA LEGGE N. 134/2012 DI CONVERSIONE DEL

DECRETO LEGGE N. 83/2012

 

VECCHIO TESTO NUOVO TESTO
 

Art. 67, comma 3

(Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie)

 

Art. 67, comma 3

(Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie)

Non sono soggetti all’azione revocatoria: Non sono soggetti all’azione revocatoria:
a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso; a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;
b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca; b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;
c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado; c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale    dell’attività                           d’impresa dell’acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio;
d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili che abbia i requisiti previsti dall’art. 28, lettere a) e b) ai sensi dell’art. 2501-bios, quarto comma, del codice civile; d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano;    il     professionista     è   indipendente

quando  non  è  legato  all’impresa  e  a coloro

che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore;
e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182- bis; e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161;
f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito; f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo. g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle                  procedure               concorsuali        di amministrazione controllata e di concordato

preventivo.

Art. 69 – bis

(Decadenza dall’azione)

1. Le azioni revocatorie disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell’atto.

Art. 69 – bis

(Decadenza dall’azione e computo dei termini)

1.  Le azioni revocatorie disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell’atto.

2.  Nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segue la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli articoli 64, 65,

67, primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.
Art. 72, comma 8 (Rapporti pendenti)

8. Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado.

Art. 72, comma 8 (Rapporti pendenti)

8. Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività d’impresa

dell’acquirente.

Art. 161

(Domanda di concordato)

1.  La domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale; il trasferimento della stessa intervenuto nell’anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini della individuazione della competenza.

2.  Il debitore deve presentare con il ricorso:

a)     una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;

b)  uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

c)  l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;

d)   il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.

Art. 161

(Domanda di concordato)

1.  La domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale; il trasferimento della stessa intervenuto nell’anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini della individuazione della competenza.

2.  Il debitore deve presentare con il ricorso:

a)     una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;

b)  uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

c)  l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;

d)   il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili;

e)      un    piano    contenente    la       descrizione analitica delle modalità e dei tempi di

adempimento della proposta.

3. Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. 3. Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lett. d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano.
4. Per la società la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’ articolo 152. 4. Per la società la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’articolo 152.
5. La domanda di concordato è comunicata al pubblico ministero. 5. La domanda di concordato è comunicata al pubblico ministero ed è pubblicata, a cura del cancelliere, nel registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria. (4)
6. L’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni. Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può depositare domanda ai sensi dell’articolo 182-bis, primo comma. In mancanza, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo.
7. Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all’articolo 163 il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni. Nello stesso periodo e a decorrere dallo stesso termine il debitore può altresì compiere gli atti di ordinaria amministrazione. I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono

prededucibili ai sensi dell’articolo 111.

8.  Con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo, il tribunale dispone gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa, che il debitore deve assolvere sino alla scadenza del termine fissato. In caso di violazione di tali obblighi, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo.

9.    La domanda di cui al sesto comma è inammissibile quando il debitore, nei due anni precedenti, ha presentato altra domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione     dell’accordo             di ristrutturazione dei debiti.

10.    Fermo quanto disposto dall’articolo 22, comma 1, quando pende il procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine di cui al sesto comma è di sessanta giorni, prorogabili, in presenza di giustificati motivi,

di non oltre sessanta giorni.

Art. 168

(Effetti della presentazione del ricorso)

1.  Dalla data della presentazione del ricorso e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore al decreto non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore.

2.   Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese, e le decadenze non si verificano.

3.    I creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice nei casi previsti dall’articolo precedente.

Art. 168

(Effetti della presentazione del ricorso)

1.  Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore […] non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore.

2.   Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese e le decadenze non si verificano.

3.   I creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice nei casi previsti dall’articolo precedente. Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni     che     precedono     la     data     della

pubblicazione  del  ricorso  nel  registro  delle

imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.
Art. 169-bis

(Contratti in corso di esecuzione)

1.  Il debitore nel ricorso di cui all’articolo 161 può chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso. Su richiesta del debitore può essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta.

2.   In tali casi, il contraente ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato.

3.     Lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta.

4.   Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai rapporti di lavoro subordinato nonché’ ai contratti di cui agli articoli 72,

ottavo comma, 72 ter e 80 primo comma.

Art. 178

(Adesioni alla proposta di concordato)

1.      Nel processo verbale dell’adunanza dei creditori sono inseriti i voti favorevoli e contrari dei creditori con l’indicazione nominativa dei votanti e dell’ammontare dei rispettivi crediti.

2.   Il processo verbale è sottoscritto dal giudice delegato, dal commissario e dal cancelliere.

3.  Se nel giorno stabilito non è possibile compiere tutte le operazioni, la loro continuazione viene

rimessa dal giudice ad un’udienza prossima, non

Art. 178

(Adesioni alla proposta di concordato)

1.  Nel processo verbale dell’adunanza dei creditori sono inseriti i voti favorevoli e contrari dei creditori con l’indicazione nominativa dei votanti e dell’ammontare dei rispettivi crediti. È altresì inserita l’indicazione nominativa dei creditori che non hanno esercitato il voto e dell’ammontare dei loro crediti.

2.   Il processo verbale è sottoscritto dal giudice delegato, dal commissario e dal cancelliere.

3.  Se nel giorno stabilito non è possibile compiere tutte  le  operazioni,  la  loro  continuazione viene

rimessa dal giudice ad un’udienza prossima, non

oltre otto giorni, senza bisogno di avviso agli assenti.

4. Le adesioni, pervenute per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale, sono annotate dal cancelliere in calce al medesimo e sono considerate ai fini del computo della maggioranza dei crediti.

oltre otto giorni, dandone comunicazione agli assenti.

4. I creditori che non hanno esercitato il voto possono far pervenire il proprio dissenso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale. In mancanza, si ritengono consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza dei crediti. Le manifestazioni di dissenso e gli assensi, anche presunti a norma del presente comma, sono annotati dal

cancelliere in calce al verbale.

Art. 179

(Mancata approvazione del concordato)

1. Se nei termini stabiliti non si raggiungono le maggioranze richieste dal primo comma dell’articolo 177, il giudice delegato ne riferisce immediatamente al tribunale, che deve provvedere a norma dell’art. 162, secondo comma.

Art. 179

(Mancata approvazione del concordato)

1.   Se nei termini stabiliti non si raggiungono le maggioranze richieste dal primo comma dell’articolo 177, il giudice delegato ne riferisce immediatamente al tribunale, che deve provvedere a norma dell’art. 162, secondo comma.

2.   Quando il commissario giudiziario rileva, dopo l’approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza di cui all’articolo 180 per

modificare il voto.

Art. 180, comma 4 (Giudizio di omologazione)

4. Se sono state proposte opposizioni, il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio. Nell’ipotesi di cui al secondo periodo del primo comma dell’articolo 177 se un creditore appartenente ad una classe dissenziente contesta la convenienza della proposta, il tribunale può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.

Art. 180, comma 4 (Giudizio di omologazione)

4. Se sono state proposte opposizioni, il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio. Nell’ipotesi di cui al secondo periodo del primo comma dell’articolo 177 se un creditore appartenente ad una classe dissenziente ovvero, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentano il venti per cento dei crediti ammessi al voto, contestano la convenienza della proposta, il tribunale può omologare  il  concordato  qualora  ritenga  che  il

credito  possa risultare soddisfatto  dal concordato

in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Art. 182-bis

(Accordi di ristrutturazione dei debiti)

Art. 182-bis

(Accordi di ristrutturazione dei debiti)

1. L’imprenditore (2) in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’articolo 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d) sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei. 1. L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’articolo 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d) sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei seguenti termini: a) entro centoventi giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data; b) entro centoventi giorni dalla scadenza, in  caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione.
2. L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione. 2. L’accordo e’ pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione.
3. Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore. Si applica l’art. 168 secondo comma. 3. Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati. Si applica l’ articolo 168, secondo comma.
4. Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera di consiglio con decreto motivato. 4. Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera di consiglio con decreto motivato.
5. Il decreto del tribunale è reclamabile alla corte di appello ai sensi dell’ articolo 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese. 5. Il decreto del tribunale e’ reclamabile alla corte di appello ai sensi dell’ articolo 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.
6. Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell’articolo 9 la documentazione di cui all’articolo 161, primo e secondo comma, e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la idoneita’ della proposta, se accettata, ad assicurare il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilita’ a trattare. L’istanza di sospensione di cui al presente comma e’ pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonche’ del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione. 6. Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell’articolo 9 la documentazione di cui all’articolo 161, primo e secondo comma, lettere a), b), c) e d), e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. L’istanza di sospensione di cui al presente comma e’ pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione.
7. Il tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, fissa con decreto l’udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito dell’istanza di cui al sesto comma, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa. Nel corso dell’udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilita’ a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione  redatta  dal  professionista  a  nonna del

primo comma. Il decreto del precedente periodo

7. Il tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, fissa con decreto l’udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito dell’istanza di cui al sesto comma, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa. Nel corso dell’udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione redatta  dal  professionista  a  norma  del  primo

comma.  Il  decreto  del  precedente  periodo  e’

e’ reclamabile a norma del quinto comma in quanto applicabile.

8. A seguito del deposito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti nei termini assegnati dal tribunale trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo, quarto e quinto comma.

reclamabile a norma del quinto comma in quanto applicabile.

8. A seguito del deposito di un accordo di ristrutturazione dei debiti nei termini assegnati dal tribunale trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo, quarto e quinto comma. Se nel medesimo termine è depositata una domanda di concordato preventivo, si conservano gli effetti di cui ai commi sesto e

settimo.

Art. 182-quater

(Disposizioni in tema di prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione dei debiti)

Art. 182-quater

(Disposizioni in tema di prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione dei debiti)

1. I crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati da banche e intermediari finanziari iscritti negli elenchi di cui agli articoli

106 e 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, in esecuzione di un concordato preventivo di cui agli articoli 160 e seguenti ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis) sono prededucibili ai sensi e per gli effetti dell’articolo 111.

1. I crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati […] in esecuzione di un concordato preventivo di cui agli articoli 160 e seguenti ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis) sono prededucibili ai sensi e per gli effetti dell’articolo 111.
2. Sono parificati ai prededucibili ai sensi e per gli effetti dell’articolo 111, i crediti derivanti da finanziamenti effettuati dai soggetti indicati al precedente comma in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano di cui all’articolo 160 o dall’accordo di ristrutturazione e purche’ la prededuzione sia espressamente disposta nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato. 2. Sono parificati ai crediti di cui al primo comma i crediti derivanti da finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano di cui all’articolo 160 o dall’accordo di ristrutturazione e purché la prededuzione sia espressamente disposta nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato. (2)
3. In deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, il primo comma si applica anche ai finanziamenti effettuati dai soci, fino a concorrenza dell’ottanta per cento del loro

ammontare.

3. In deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, il primo e il secondo comma si applicano anche ai finanziamenti effettuati dai soci fino alla concorrenza dell’ottanta per

cento  del   loro  ammontare.   Si  applicano   i

4.   Sono altresì prededucibili i compensi spettanti al professionista incaricato di predispone la relazione di cui agli articoli 161, terzo comma, 182-bis, primo comma, purche’ cio’ sia espressamente disposto nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato.

5.    Con riferimento ai crediti indicati ai commi secondo, terzo e quarto, i creditori sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze per l’approvazione del concordato ai sensi dell’articolo 177 e dal computo della percentuale dei crediti prevista all’articolo 182-bis, primo e

sesto comma.

commi     primo     e     secondo     quando               il finanziatore ha acquisito la qualità di socio in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo. [comma abrogato]

4. Con riferimento ai crediti indicati al secondo comma, i creditori, anche se soci, sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze per l’approvazione del concordato ai sensi dell’articolo 177 e dal computo della percentuale dei crediti prevista all’articolo 182-bis, primo e sesto comma.

Art. 182-quinquies

(Disposizioni in tema di finanziamento e di continuità aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti)

1. Il debitore che presenta, anche ai sensi dell’articolo 161 sesto comma, una domanda di ammissione al concordato preventivo o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’articolo

182 bis, primo comma, o una proposta di accordo ai sensi dell’articolo 182 bis, sesto comma, puo’ chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a contrarre finanziamenti, prededucibili ai sensi dell’articolo 111, se un professionista designato dal debitore in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione, attesta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.

2.    L’autorizzazione di cui al primo comma puo’ riguardare anche finanziamenti individuati soltanto per tipologia ed entita’, e non ancora oggetto di trattative.

3.   Il tribunale può autorizzare il debitore a concedere pegno o ipoteca a garanzia dei medesimi finanziamenti.

4.     Il debitore che presenta domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi dell’articolo 161 sesto comma, può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. L’attestazione del professionista non è necessaria per pagamenti effettuati fino a concorrenza dell’ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori.

5.   Il debitore che presenta una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’articolo 182-bis, primo comma, o una proposta di accordo ai sensi dell’articolo 182-bis, sesto comma, può chiedere al Tribunale di essere autorizzato, in presenza dei presupposti  di cui al quarto comma, a pagare crediti anche anteriori per prestazioni di beni o servizi. In tal caso i pagamenti effettuati non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’articolo 67.

Art. 182-sexies

Riduzione o perdita del capitale della società in crisi

1.  Dalla data del deposito della domanda per l’ammissione al concordato preventivo, anche a norma dell’articolo 161, sesto comma, della domanda per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182 bis ovvero della proposta di accordo a norma del sesto comma dello stesso articolo e sino all’omologazione non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4, e 2545-duodecies del codice civile.

2.    Resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, l’applicazione

dell’articolo 2486 del codice civile.

Art. 184

(Effetti del concordato per i creditori)

Art. 184

(Effetti del concordato per i creditori)

1. Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura della procedura di concordato. Tuttavia essi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. 1. Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’articolo 161. Tuttavia essi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso.
2. Salvo patto contrario, il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci

illimitatamente responsabili.

2. Salvo patto contrario, il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci

illimitatamente responsabili.

Art. 186-bis

(Concordato con continuità aziendale)

1. Quando il piano di concordato di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e) prevede    la    prosecuzione    dell’attività    di

impresa  da  parte  del  debitore,  la  cessione

dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni del presente articolo. Il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa.

2. Nei casi previsti dal presente articolo:

a)    il piano di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e), deve contenere anche un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura;

b)     la relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma, deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori;

c)     il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall’articolo 160, secondo comma, una moratoria sino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto.

3. Fermo quanto previsto nell’articolo 169-bis, i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura. Sono inefficaci eventuali patti contrari. L’ammissione al concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti pubblici se il professionista designato dal debitore di cui all’articolo 67 ha attestato la conformita’ al piano e la ragionevole capacita’ di adempimento. Di tale continuazione puo’ beneficiare, in presenza dei requisiti di legge, anche la societa’ cessionaria o conferitaria d’azienda o di rami d’azienda cui i contratti

siano  trasferiti.  Il  giudice  delegato,   all’atto

della cessione o del conferimento, dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni.

4. L’ammissione al concordato preventivo non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando l’impresa presenta in gara:

a)     una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d) che attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto;

b)     la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica nonché’ di certificazione, richiesti per l’affidamento dell’appalto, il quale si è impegnato nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all’appalto. Si applica l’articolo 49 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

5.       Fermo quanto previsto dal comma precedente, l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché’ non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale. In tal caso la dichiarazione di cui al precedente comma, lettera b), può provenire anche da un operatore facente parte del raggruppamento.

6.   Se nel corso di una procedura iniziata ai sensi del presente articolo l’esercizio dell’attività d’impresa cessa o risulta manifestamente dannoso per i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell’articolo 173. Resta salva la facoltà del debitore di

modificare la proposta di concordato.

Titolo VI Capo III

Disposizioni applicabili nel caso di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani attestati e

liquidazione coatta amministrativa.

Art. 217-bis

(Esenzioni dai reati di bancarotta)

Le disposizioni di cui all’articolo 216, terzo comma, e 217 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all’articolo 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis ovvero del piano di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d).

Art. 217-bis

(Esenzioni dai reati di bancarotta)

Le disposizioni di cui all’articolo 216, terzo comma, e 217 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all’articolo 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis ovvero del piano di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a

norma dell’articolo 182-quinquies.

Art. 236-bis

(Falso in attestazioni e relazioni)

1.     Il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo comma, 182-bis, 182-quinquies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro.

2.  Se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per se’ o per altri, la pena è aumentata.

3.    Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà.

Quali sono i principali rischi legali che possono sorgere nei patti parasociali stipulati in Italia?
Esistono delle soluzioni alternative che possono essere prese in considerazione per raggiungere gli obiettivi dell’investitore? La risposta a questi ed altri interrogativi nel contributo di Matteo L. Vitali e Filippo Caprotti dal titolo “Shareholders’ agreements in Italy: risks, remedies and alternative solutions” pubblicato nella rivista edita dall’International Bar Association (IBA) del comitato “Closely Held and Growing Business Enterprises”, n. 13/2017, p.30-33.

Matteo L. Vitali – Filippo Caprotti

 

1.      Obiettivi

In linea con gli obiettivi del piano d’azione europeo noto come Strategia Europa 2020 per migliorare l’accesso ai finanziamenti per le piccole e medie imprese (“PMI”), il 21 Marzo 2013 il Consiglio dei Ministri UE ha adottato il Regolamento UE n. 345/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio sui “Fondi Europei per il Venture Capital”, che entrerà in vigore a partire dal 22 luglio 2013.

Come noto, il venture capital finanzia imprese nella fase iniziale della loro attività ma che mostrano una grande potenzialità di crescita e sviluppo. I fondi, oltre a reperire ed investire il capitale necessario, svolgono anche attività di consulenza strategica verso queste imprese, stimolando la loro competitività e appetibilità sul mercato. Queste forme di finanziamento consentono non solo la mobilitazione di capitali, ma permettono anche lo sviluppo di imprese innovative, migliorandone la crescita economica e favorendo la ricerca.

Il Regolamento interviene dettando una disciplina comune di riferimento a livello europeo di cui sono destinatari, nei termini che si diranno appresso, i fondi di investimento per il venture capital. La nuova disciplina ha come obiettivo la riduzione degli ostacoli alla gestione dei fondi, causati dalla diversità e dalla complessità delle legislazioni dei diversi Stati europei e dei conseguenti elevati costi di raccolta che avevano portato ad un livello generale di investimento piuttosto esiguo in questa tipologia di fondi. Il Regolamento stabilisce norme uniformi applicabili a tutti i fondi europei per il venture capital che, nel rispetto dei requisiti di applicazione, desiderino raccogliere e investire capitale con la denominazione “EuVECA” (European Venture Capital Fund), sottoponendosi al regime di benefici e corrispettivi obblighi previsto per i fondi qualificati da tale status. La definizione mediante Regolamento europeo dei requisiti necessari al fine di poter utilizzare la predetta denominazione permette un’applicazione diretta e uniforme della normativa nei confronti dei gestori di fondi operanti nel contesto europeo, garantendo condizioni omogenee, incrementando la chiarezza e la fiducia degli investitori ed eliminando indebite distorsioni della concorrenza tra fondi di Stati membri differenti.

2.      Benefici

La possibilità di usufruire della denominazione EuVECA garantisce notevoli vantaggi  per il fondo così qualificato, posto che è assimilabile ad uno sorta di attestato di qualità. Innanzitutto, una volta registrato sotto tale denominazione, il fondo potrà raccogliere capitale, commercializzare e offrire strumenti di partecipazione (al fondo) in tutti gli Stati membri UE nel solo rispetto dei requisiti del Regolamento, senza essere più sottoposto alle normative nazionali dei singoli Stati.

Gli investitori che decidano di investire in venture capital saranno maggiormente attratti da questi fondi qualificati, semplificando e migliorando la ricerca di capitali per il gestore e garantendo un finanziamento più stabile e cospicuo per le imprese che ne fruiscono.

La normativa sugli EuVECA è in un certo senso complementare a quella dei GEFIA (Gestori di Fondi di Investimento Alternativi, disciplinati nella Direttiva 2011/61/UE), in quanto offre la possibilità di ottenere un “passaporto europeo EuVECA” per i gestori di fondi che gestiscono valori non eccedenti i 500 milioni di Euro (il Regolamento 345/2013/UE si applica solo ai gestori di organismi collettivi di investimento che non superino complessivamente la soglia di cui all’art. 3, par. 2, lett.b), della direttiva 2011/61/UE). Il regime GEFIA è obbligatorio per tutti i fondi che superino il valore di gestione di 500 milioni di Euro, mentre è solamente facoltativo per gestori di fondi con valori non superiori a tale soglia, che hanno la possibilità di optare volontariamente per la sua applicazione. In virtù della nuova normativa questi ultimi possono ora scegliere di adottare la diversa qualificazione EuVECA, un’alternativa dalla forma più snella, con requisiti meno rigidi e impegnativi, prevista proprio per agevolare questi fondi con assets di minor entità. Mentre il regime GEFIA è obbligatorio per i fondi che superino tali soglie di gestione, la denominazione EuVEca è una scelta libera del gestore che, rispettati i requisiti di applicazione, può liberamente decidere di avvalersene o meno (per tutti i fondi gestiti oppure anche individualmente per ogni singolo fondo).

3.      Registrazione: requisiti per i gestori

Al fine di poter usufruire della denominazione “EuVECA” per il fondo (o per i fondi) gestiti, il gestore deve registrarsi presso le competenti autorità del proprio Stato membro d’origine, ai fini del rilascio del relativo “passaporto commerciale”. Una volta registrato, il gestore può scegliere se utilizzare o meno la denominazione per i fondi amministrati, a condizione che sia il fondo sia gli investitori rispettino i requisiti previsti dalla normativa (vedi infra par.4, 5 e 6).

Per ciò che concerne il gestore, egli è tenuto a rispettare determinati requisiti per ottenere il passaporto: a norma dell’art. 2 infatti, il Regolamento si applica ai gestori di “organismi di investimento collettivo” (i FIA, Fondi di Investimento Alternativo, come definiti all’art. 4, par. 1, lett. a), della direttiva 2011/61/UE), che soddisfino le seguenti condizioni:

  1. le loro attività gestite non superano complessivamente la soglia di 500 milioni di Euro (di cui all’articolo 3, par. 2, lett. b), della direttiva 2011/61/UE);
  2. sono stabiliti nell’Unione;
  3. sono tenuti alla registrazione presso le autorità competenti del proprio Stato membro d’origine; e
  4. gestiscono portafogli di fondi per il venture capital

È da notare come i gestori che superino la soglia prevista dalla lettera a) possono comunque continuare a utilizzare la denominazione EuVECA a condizione che, in relazione al fondo da essi gestito, assicurino in ogni momento il rispetto dei requisiti di cui alla direttiva 2011/61/UE ed il perdurante rispetto di alcuni requisiti del Regolamento (art. 3, 5 e 13, par. 1, lett. c) ed i)).

4.      Requisiti per il fondo

In linea con gli obiettivi di finanziamento verso piccole e medie imprese all’inizio della loro esistenza e per circoscrivere gli organismi di investimento a ciò legittimati, a norma dell’art. 3 lett. b) è considerato “fondo per il venture capital qualificato” (qualifying venture capital fund) il fondo che:

  1. intende investire almeno il 70 % dell’ammontare complessivo dei propri conferimenti di capitale e del capitale sottoscritto non richiamato in attività che sono “investimenti ammissibili”;
  2. non utilizza oltre il 30 % dell’ammontare complessivo dei propri conferimenti di capitale e del capitale sottoscritto non richiamato per l’acquisizione di attività che “non sono investimenti ammissibili”;
  3. è stabilito nel territorio di uno Stato

Secondo il Considerando (n.12) al Regolamento, è opportuno che il 30% costituisca in ogni momento il limite massimo per gli investimenti non ammissibili, mentre il 70% è la soglia che si riferisce agli investimenti ammissibili durante tutto il ciclo di vita del fondo.

Ai fini della qualificazione di quelli che sono considerati “investimenti ammissibili” (qualifying investments), il Regolamento definisce gli strumenti indicati di seguito:

  1. strumenti rappresentativi di equity o quasi-equity che siano emessi: da “un’impresa di portafoglio ammissibile” (vedi infra 5) e acquisiti dal fondo per il venture capital qualificato direttamente dall’impresa di portafoglio ammissibile; da un’impresa di portafoglio ammissibile in cambio di un titolo di equity emesso dall’impresa di portafoglio ammissibile; o da un’impresa di cui l’impresa di portafoglio ammissibile sia una società controllata con una partecipazione di maggioranza e che siano acquisiti dal fondo per il venture capital qualificato in cambio di uno strumento rappresentativo di equity emesso dall’impresa di portafoglio ammissibile;
  2. prestiti garantiti e non garantiti concessi dal fondo per il venture capital qualificato a un’impresa di portafoglio ammissibile nella quale il fondo per il venture capital qualificato detiene già investimenti ammissibili, a condizione che non oltre il 30% dell’ammontare complessivo dei conferimenti di capitale e del capitale sottoscritto non richiamato del fondo per il venture capital qualificato sia utilizzato per tali prestiti;
  3. azioni di un’impresa di portafoglio ammissibile acquisite dagli azionisti esistenti di tale impresa;
  4. quote o azioni di uno o più fondi per il venture capital qualificati, a condizione che questi ultimi non abbiano investito a loro volta oltre il 10% dell’ammontare complessivo dei conferimenti di capitale e del capitale sottoscritto non richiamato in altri fondi per il venture capital

5.      La nozione di «Imprese di portafoglio ammissibile» ai sensi del Regolamento

L’attività principale dei fondi deve quindi essere di investimento primario nelle imprese, in linea con quelli che sono gli obiettivi di promozione di quelle di piccole e medie dimensioni operanti nell’economia reale, grazie agli strumenti finanziari da queste direttamente emessi. Proprio con queste finalità il Regolamento definisce i requisiti di ammissibilità per le imprese in cui si intende investire, escludendo invece enti creditizi, imprese di investimento, assicurazioni e, più in generale, attività finanziare che trattano titoli emessi in mercati secondari.

Secondo le definizioni del Regolamento, per “impresa di portafoglio ammissibile” (qualifying portfolio undertakings) si intende un’impresa che:

  1. al momento dell’investimento da parte del fondo per il venture capital qualificato (i) non è ammessa alla negoziazione su un mercato regolamentato né a partecipare a un sistema multilaterale di negoziazione (MTF); (ii) impiega meno di 250 dipendenti; e (iii) ha un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di Euro o un bilancio annuale totale non superiore a 43 milioni di Euro;
  2. non è un organismo di investimento collettivo;
  3. non è un ente creditizio, o un’impresa di investimento, o un’impresa di assicurazione, o una società di partecipazione finanziaria, o una società di partecipazione mista;
  4. è stabilita nel territorio di uno Stato membro o in un paese terzo a condizione che il paese terzo abbia firmato un accordo con lo Stato membro d’origine del gestore e con ogni altro Stato membro in cui è previsto che le quote o le azioni del fondo siano commercializzate, in modo da garantire il rispetto di normative fiscali e antiriciclaggio internazionali (come meglio specificato dal Regolamento stesso).

Per evitare incentivi a un utilizzo distorto degli investimenti e degli strumenti offerti, i fondi non possono utilizzare prestiti con leva finanziaria, né sottoscrivere strumenti derivati, né assumere posizioni di rischio o utilizzare metodi attraverso i quali l’esposizione del fondo aumenti tanto da eccedere il livello del capitale sottoscritto. In ogni caso, i gestori del fondo possono contrarre prestiti, concedere garanzie ed emettere strumenti di debito, se coperti da impegni non richiamati.

6.      Requisiti per gli investitori

Uno dei principi ispiratori del Regolamento è quello di garantire che i fondi  siano commercializzati e offerti solamente presso investitori con sufficiente professionalità ed esperienza, in grado di valutare con la necessaria competenza le proprie decisioni di investimento e il relativo rischio. Per questa ragione, i fondi qualificati possono offrire quote e azioni esclusivamente presso gli investitori che sono considerati:

  1. investitori professionali o che chiedono di essere trattati come investitori professionali (ai sensi della direttiva MiFID 2004/39/UE);
  2. oppure presso altri investitori che: (i) si impegnino a investire almeno 100.000 Euro e (ii)

dichiarino di essere consapevoli dei rischi connessi all’investimento previsto.

Tali requisiti non si applicano agli investimenti effettuati da alti dirigenti, direttori o dipendenti coinvolti nella gestione di un fondo qualificato quando questi investono nei fondi da loro gestiti, in quanto tali soggetti dispongono delle necessarie capacità ed informazioni per aderire a questi investimenti e comprenderne e valutarne il rischio.

7.      Diligenza e doveri di gestione

Per tutelare la qualità dei soggetti che aderendo al Regolamento acquisiscono la denominazione EuVECA, il Regolamento medesimo prevede requisiti professionali e gestionali per il gestore del fondo e per la sua amministrazione, in modo che siano sempre presenti adeguate risorse tecniche e umane. I gestori sono tenuti a mantenere fondi propri sufficienti, che garantiscano la corretta gestione e la continuità del fondo. Devono essere adottate politiche societarie e procedure idonee a prevenire pratiche scorrette, è richiesto un elevato livello di diligenza nella selezione e nel controllo degli investimenti e delle imprese in cui si investe, devono essere promossi gli interessi del fondo e degli investitori stessi, devono essere continuamente stimate e valutate la gestione dei fondi e delle risorse umane connesse; devono poi essere espressamente identificati ed evitati conflitti di interesse e abusi e degli stessi deve essere data immediata notizia agli investitori.

Infine, il gestore può delegare a terzi alcune funzioni di gestione del fondo, ma nei limiti in cui egli possa essere ancora considerato l’effettivo gestore e non un amministratore solo formalmente in carica svuotato dei necessari poteri. Rimane in ogni caso ferma la responsabilità del gestore nei confronti del fondo e degli investitori anche per le funzioni delegate.

8.      Obblighi informativi verso gli investitori e controlli delle Autorità di Vigilanza nazionali

Il Regolamento insiste fortemente sul profilo informativo e preventivo, ai fini di una maggior trasparenza verso gli investitori e di una collaborazione positiva tra i gestori e le competenti Autorità di controllo. Il gestore è tenuto a comunicare ai potenziali investitori determinate informazioni di carattere precontrattuale per quanto riguarda ogni fondo EuVECA. Le informazioni da fornire sono molto simili a quelle che devono essere normalmente predisposte nei prospetti sui fondi di venture capital.

In particolare, tra gli elementi che devono essere presenti nell’informativa verso gli investitori si possono menzionare: l’identità del gestore del fondo; l’importo del fondo a disposizione del gestore; una descrizione della strategia e degli obiettivi di investimento del fondo comprendente: i tipi di imprese di portafoglio ammissibili in cui si intende investire; gli investimenti non ammissibili che si intende effettuare; le tecniche e le modalità che si intendono impiegare; una descrizione del profilo di rischio del fondo; una descrizione della procedura di valutazione del fondo e della metodologia di determinazione dei prezzi, delle attività e delle imprese di portafoglio ammissibili; infine, i servizi di supporto alle imprese e le altre attività di sostegno fornite per facilitare lo sviluppo e la crescita delle imprese destinatarie.

È poi espressamente previsto l’obbligo di predisporre una relazione annuale sulla gestione e una revisione contabile da diffondere presso gli investitori e da trasmettere alle Autorità nazionali competenti.

Per garantire una continua ed efficace vigilanza sul rispetto dei requisiti e sulla gestione del fondo, le Autorità di Vigilanza dello Stato membro di origine devono essere informate direttamente dal gestore riguardo allo svolgimento della sua attività. L’Autorità competente è autorizzata alla registrazione del gestore solo quando questo rispetti prestabiliti requisiti di competenza, capacità professionale e onorabilità. La registrazione del gestore è valida per l’intero territorio UE e consente di commercializzare in tutto il territorio dell’Unione Europea i fondi per il venture capital qualificati utilizzando la denominazione EuVECA, di cui sono tenuti un registro ed una banca dati accessibili pubblicamente via internet.

Al fine di assicurare un costante controllo dei fondi e degli investimenti effettuati, si riconosce che le Autorità nazionali sono dotate di tutti i poteri di vigilanza e di indagine per un efficiente esercizio delle loro funzioni, in conformità con quelli previsti dalle rispettive leggi nazionali. È poi previsto dal Regolamento che vi sia un regime di stretta collaborazione e un flusso di informazioni continuo tra le Autorità degli Stati ospitanti e quelle dello Stato d’origine. Ove opportuno, nel rispetto del principio di proporzionalità, esse adottano le necessarie misure per garantire che il gestore adempia ai doveri e rispetti gli obblighi previsti dal Regolamento, fino alla proibizione dell’utilizzo della denominazione EuVECA e alla cancellazione del gestore e dei fondi dal registro generale dei fondi qualificati.

9.      Considerazioni conclusive

Il Regolamento permette ai gestori che scelgano di utilizzare la denominazione EuVECA per i fondi da essi amministrati, la possibilità di offrire e negoziare i prodotti connessi al fondo stesso in tutto il territorio dell’Unione Europea, nel rispetto di identiche condizioni e della medesima disciplina. La definizione di un quadro di regole uniformi e comuni a livello europeo ha come obiettivo dichiarato la riduzione della complessità della normativa di riferimento, eliminando le diversità presenti nelle legislazioni nazionali dei diversi Stati europei e garantendo, oltre ad una diminuzione dei costi di gestione, una maggior competitività tra i diversi operatori comunitari. L’eliminazione di ostacoli normativi alla raccolta e all’investimento di capitali negli Stati Membri è passo fondamentale verso la rimozione di indebite distorsioni della concorrenza tra i fondi, al fine di impedire il perpetrarsi, o il sorgere in futuro, di difficoltà e barriere ad un libero scambio nel contesto del mercato unico europeo.

Mediante la predisposizione di una disciplina unica per i fondi qualificati (in particolare sui requisiti di registrazione per il gestore, sulla definizione degli strumenti di investimento utilizzabili, sulla qualificazione delle imprese di portafoglio ammissibili in cui possono essere compiuti gli investimenti, sulla diligenza e sugli obblighi propri dei gestori) il Regolamento traccia una linea di demarcazione netta tra i fondi per il venture capital qualificato e gli altri fondi di investimento alternativi impegnati in ambiti diversi e meno specialistici.

In particolare, le condizioni di applicazione e i requisiti per poter usufruire della denominazione qualificata sono sicuramente più flessibili e meno rigorosi rispetto a  quelli previsti per il regime dei GEFIA. Il Regolamento si pone in maniera complementare e alternativa rispetto a quest’ultima normativa, permettendo la possibilità per i gestori di fondi con un valore non eccedente i 500 milioni di Euro di assoggettare tali fondi alla nuova disciplina dettata per gli EuVECA. L’introduzione di questo regime facoltativo garantisce sicuramente una maggior libertà imprenditoriale per i gestori e un’apertura del mercato per fondi di dimensioni minori, introducendo al contempo maggior flessibilità ed efficienza per l’intero sistema.

Al fine di tutelare gli investitori e di garantire la qualità degli investimenti presso  i fondi qualificati, è poi previsto che gli strumenti predisposti dai fondi possano essere offerti esclusivamente presso investitori professionali o in ogni caso presso soggetti con un adeguato grado di conoscenza e competenza professionale, in grado di valutare l’entità dell’investimento e l’intrinseco rischio connessovi. Sempre in un’ottica di prevenzione è espressamente richiesto un elevato grado di diligenza nella gestione dei fondi e il rispetto di dettagliati doveri di trasparenza e di informativa, sia verso gli investitori stessi, sia verso le Autorità nazionali di controllo e vigilanza.

Infine, osservando il Regolamento tramite una prospettiva generale di politica economica, esso sostiene la predisposizione e l’impiego su larga scala di strumenti specifici e qualificati per il finanziamento diretto verso imprese che, trovandosi nella fase iniziale della loro esistenza, necessitano fortemente di capitali e liquidità. Grazie alla loro attività, i fondi per il venture capital permettono la mobilitazione di ingenti capitali e consentono la creazione e lo sviluppo nel mercato di imprese nuove, con carattere altamente innovativo. L’impatto complessivo del Regolamento non è dunque da circoscriversi solamente a livello della raccolta e dell’investimento presso i fondi, ma ha risvolti concreti direttamente sulla crescita di piccole e medie imprese, sulla creazione di posti di lavoro e, su di un piano generale, rappresenta un importante incentivo alla crescita economica, alla ricerca e all’innovazione, di cruciale importanza nell’attuale contesto congiunturale.

Matteo L. Vitali – Filippo Caprotti

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Con il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto “Decreto Sviluppo”), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, sono state introdotte rilevanti modifiche alla legge fallimentare.

Tra le novità più interessanti e di maggior impatto sulla disciplina della crisi di impresa vi è sicuramente l’introduzione dell’istituto del concordato “in bianco” o “con riserva”, la cui disciplina è contenuta dal sesto al decimo comma dell’art. 161 l.f.:

ART. 161. DOMANDA DI CONCORDATO

«6. L’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.

Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può depositare domanda ai sensi dell’articolo 182-bis, primo comma.

In mancanza, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo.

  1. Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all’articolo 163 il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni. Nello stesso periodo e a decorrere dallo stesso termine il debitore può altresì compiere gli atti di ordinaria amministrazione. I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai sensi dell’articolo 111.
  1. Con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo, il tribunale dispone gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa, che il debitore deve assolvere sino alla scadenza del termine fissato. In caso di violazione di tali obblighi, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo.
  2. La domanda di cui al sesto comma è inammissibile quando il debitore, nei due anni precedenti, ha presentato altra domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
  3. Fermo restando quanto disposto dall’articolo 22, primo comma, quando pende il procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine di cui al sesto comma del presente articolo è di sessanta giorni, prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni».
  4. Che cos’è il concordato preventivo “in bianco” o “con riserva”?

In seguito all’approvazione della L. n. 134/2012 di conversione del c.d. “Decreto Sviluppo” n. 83/2012, è stato introdotto nella legge fallimentare un istituto di notevolissima rilevanza. Grazie alla novità normativa, è offerta all’imprenditore la facoltà di depositare un ricorso per concordato “con riserva” o “in bianco”, contenente semplicemente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, senza l’obbligo di allegazione contestuale del piano concordatario e dell’ulteriore documentazione normalmente necessaria.

All’atto del deposito del ricorso, il Giudice Delegato assegna al debitore un termine, compreso fra 60 e 120 giorni (ulteriormente prorogabile di ulteriori 60 giorni in presenza di giustificati motivi) per integrare il ricorso stesso.

Tramite la proposizione di questa domanda dal contenuto semplificato si consente al debitore di beneficiare immediatamente degli effetti “protettivi” che sarebbero garantiti dalla presentazione di una domanda di concordato completa, permettendogli di predisporre nel frattempo la proposta di concordato preventivo oppure di un piano di ristrutturazione, evitando così l’aggressione del proprio patrimonio e il conseguente aggravarsi della situazione di crisi.

  1. Quali sono gli effetti che discendono dal deposito della domanda di concordato in bianco?

Una volta presentata la domanda, questa viene pubblicata nel competente Registro delle imprese a cura del cancelliere, entro il giorno successivo al deposito in cancelleria. Dal momento della pubblicazione decorrono in via immediata gli effetti protettivi che si sarebbero realizzati con la presentazione della domanda di concordato completa.

In particolar modo, i creditori non possono avviare o proseguire azioni esecutive o cautelari sui beni del debitore e le eventuali ipoteche giudiziali iscritte sui beni del debitore nei novanta giorni antecedenti alla presentazione della domanda sono inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al concordato.

Il debitore conserva inoltre il diritto di compiere gli atti di ordinaria amministrazione e di esercizio dell’impresa e, previa autorizzazione del Tribunale, anche quelli di straordinaria amministrazione che rivestano il carattere di urgenza.

  1. Quali sono le condizioni di ammissibilità, nonché la documentazione necessaria per essere ammessi alla procedura? Ci sono delle regole che disciplinano la competenza per la presentazione della domanda?

Per poter usufruire dei vantaggi di tale procedura la domanda deve rispettate le seguenti condizioni di ammissibilità:

  1. competenza del Tribunale adito ex artt. 9 e 161 l.f.;
  2. requisito soggettivo e dimensionale di fallibilità di cui all’art. 1 l.f.;
  3. requisito oggettivo della ricorrenza di uno stato di crisi;
  4. legittimazione dell’organo richiedente alla presentazione del ricorso (nel caso in cui il debitore sia una società, la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’art. 152 l.f., richiamato dal quarto comma dell’art. 161 l.f. Tale disposizione prevede che la proposta e le condizioni di concordato, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo o dello statuto:
  5. nelle società di persone siano approvate dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale;
  6. nelle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, nonché nelle società cooperative, siano deliberate dagli amministratori);
  7. allegazione dei bilanci degli ultimi tre esercizi;
  8. nei due anni precedenti, il debitore non deve aver presentato altra domanda di concordato in bianco alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (v., altresì, approfondimenti infra, sub par. 7).
  1. Al di là delle prescrizioni normative, è consigliabile allegare ulteriore documentazione alla domanda di concordato? Va illustrato, quanto meno per “sommi capi”, il contenuto del redigendo piano?

Secondo le linee guida del Tribunale di Milano è necessario che la domanda sia tramite un rappresentante legale, trattandosi di domanda formulata con ricorso.

La domanda di concordato in bianco può essere presentata anche se formulata in modo sintetico e non dettagliato.

Si ritiene in ogni caso che questa debba avere un contenuto minimo obbligatorio:

  1. indicazione della sede sociale dell’impresa;
  2. indicazione della competenza del Tribunale adito;
  3. indicazione della legittimazione soggettiva (impresa soggetta al concordato ex artt.1 e 5 l.f.) e processuale (legittimazione dell’organo richiedente alla presentazione del ricorso ex art.152 l.f.);
  4. indicazione dei soggetti che hanno i poteri di rappresentanza;
  5. stima dei valori di attivo e di passivo;
  6. indicazione del termine che si richiede (da 60 a 120 giorni).

È consigliabile che la domanda, per essere esauriente, in ogni caso preveda (o comunque tenga da conto) i seguenti elementi:

  1. competenza del Tribunale adito;
  2. indicazione dei requisiti soggettivi dimensionali;
  3. indicazione del settore dell’impresa e caratteristiche dell’attuale stato di crisi;
  4. specificazione della richiesta di termine per la presentazione della proposta e del piano;
  5. motivazioni ed obiettivi della presentazione della domanda (ad esempio: garantire l’integrità del patrimonio e la parità di trattamento dei diversi creditori; permettere la continuità dell’attività di impresa; far fronte alla momentanea crisi di liquidità; tutelare i livelli occupazionali e i dipendenti dell’impresa; proteggere dalle iniziative esecutive destabilizzanti dei creditori sociali; rendere inefficaci le ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni precedenti etc.);
  6. definizione delle linee guida del piano, specificando se si tratta di piano in continuità aziendale o di liquidazione, e delle attività da porre in essere;
  7. eventuale incarico conferito a professionisti/advisors;
  8. eventuale incarico conferito all’attestatore;
  9. eventuale riserva in ordine alla richiesta di autorizzazione per gli atti di straordinaria amministrazione o per il ricorso al credito;
  10. dichiarazione di non aver presentato domande di concordato con riserva con esiti negativi nei due anni precedenti;
  11. esistenza di istanze di fallimento pendenti;

Oltre ai documenti obbligatori per legge, si suggerisce anche l’allegazione:

  1. della visura camerale aggiornata, ai fini della verifica della competenza territoriale;
  2. dell’estratto della delibera notarile del cda o dell’amministratore unico, in caso di Srl o di Spa, e della delibera notarile dell’assemblea dei soci in caso di società di persone (v., supra, sub par. 3(d));
  3. di un bilancio infrannuale o di una situazione contabile aggiornata.

Secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza e in dottrina, la “domanda in bianco” non deve contenere specificazioni in merito alla proposta e al piano. La norma sembra escludere la necessità di un’esposizione delle linee guida del futuro piano, prevedendo infatti, alla scadenza del termine, l’alternativa tra il concordato preventivo o la presentazione di un accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182-bis l.f.. Sarebbe del tutto incongruo difatti imporre al debitore la presentazione di un piano, seppur sommario, quando gli è espressamente concessa la possibilità di optare tra le due diverse soluzioni alternative. Si ritiene, invece, che debbano essere specificate nel merito le istanze per l’autorizzazione allo svolgimento di atti di straordinaria gestione (che devono presentare i caratteri dell’urgenza) o la domanda che presenti la richiesta di sospensione dei contratti.

In tali situazioni, il debitore sarà quindi tenuto a sostanziare e a contestualizzare la propria richiesta, indicando in via generale le linee del piano che presenterà successivamente entro i termini concessi.

  1. Quali sono le conseguenze sugli effetti “protettivi” discendenti dalla domanda in bianco in caso di mancato completamento della documentazione nei termini accordati?

Entro i termini stabiliti dal Tribunale, il debitore deve presentare la proposta definitiva di concordato oppure, in alternativa, la domanda di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis l.f., insieme alla documentazione necessaria richiesta dalla legge. Se il debitore non completa tali adempimenti entro il termine assegnatogli, si applica l’art. 162, commi secondo e terzo l.f., con la conseguenza che il Tribunale, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo, dichiara inammissibile la proposta di concordato.

Il Tribunale poi, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertata la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l.f. dichiara il fallimento del debitore.

Nel silenzio della disposizione normativa, è da ritenersi che – a seguito di declaratoria di inammissibilità della domanda – gli effetti protettivi garantiti da questa decadano ex tunc. Tale soluzione, desunta da una pronuncia giurisprudenziale, è accolta anche dalla dottrina maggioritaria.

  1. Qual è il regime di pubblicità del ricorso per concordato con riserva?

La domanda di concordato con riserva deve essere presentata a cura del soggetto a ciò legittimato.

Come visto, quando il debitore sia una società, secondo il disposto dell’art. 152 l.f., richiamato dall’art. 161 quarto comma l.f., il ricorso deve essere redatto dall’organo sociale a ciò legittimato e presentato a cura del legale rappresentante.

Salvo diversa disposizione statutaria o dell’atto costitutivo, la proposta e le condizioni del concordato: a) nelle società di persone, sono approvate dai soci che rappresentano la maggioranza  assoluta del capitale; b) nelle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, nonché nelle società cooperative, sono deliberate dagli amministratori. Ogni caso, la decisione o la deliberazione di cui alla lettera b) deve risultare da verbale redatto notaio ed è depositata ed iscritta nel registro delle imprese a norma dell’art. 2436 c.c.

Nelle società di capitali e nelle cooperative tale atto deve dunque essere valutato da parte notaio verbalizzante mediante un controllo di legalità. Anche in tema di concordato con ritiene, infatti, che il controllo notarile debba avere ad oggetto esclusivamente la verifica della competenza dell’organo che ha posto in essere la decisione e l’iter di formazione della volontà societaria, non il contenuto della domanda o della proposta concordataria.

La domanda, una volta deliberata dagli organi sociali, deve essere depositata presso la cancelleria del Tribunale, comunicata al pubblico ministero e pubblicata, a cura del cancelliere, nel registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria.

È stato sollevato il problema di coordinamento tra l’art. 152 l.f., il quale prevede che la decisione societaria sia depositata e iscritta nel registro delle imprese a norma dell’art. 2436 c.c., e l’art. 161 quinto comma, l.f., che dispone invece che la pubblicità della domanda sia di competenza del cancelliere del Tribunale.

Seppur vi siano elementi normativi e sistematici che facciano propendere per l’applicazione del regime previsto dall’art. 2436 c.c., pare forse preferibile la scelta per un sistema che può essere definito di “doppia pubblicità”: a) iscrizione della delibera dell’organo societario da parte del notaio ex art. 2436 c.c.; b) iscrizione della domanda di concordato da parte del cancelliere ex art. 161 quinto comma, l.f. Tale soluzione garantirebbe maggiormente la significativa esigenza di informare i creditori e chiunque vi abbia interesse dell’iniziativa assunta da parte del debitore in ordine alla presentazione di ricorso per concordato con riserva.

  1. C’è rapporto tra la decisione di procedere alla presentazione della domanda di concordato in bianco e la formulazione dell’art. 152 l.f.? Serve un’ulteriore manifestazione di volontà della società quando si presentano il piano e la proposta?

Questo interrogativo è strettamente legato alle considerazioni appena esposte. I termini della questione risiedono nel dubbio se una volta presentata domanda di concordato in bianco sia poi necessaria un’ulteriore manifestazione di volontà da parte della società per la definizione del contenuto del piano e della proposta definitivi. Tale questione non è stata ancora espressamente trattata in dottrina, né la giurisprudenza sembra essersi ancora imbattuta in tale problematica.

Sembra preferibile la soluzione per cui una volta presentata la domanda di concordato in bianco, anche la successiva delibera dell’organo a ciò legittimato con cui viene presentato il  contenuto del piano definitivo sia soggetta alla norma dell’art. 152 l.f. e debba dunque essere presentata tramite autonoma pubblicità.

  1. Quale potere di sindacato è riconosciuto in capo al Tribunale circa l’ammissibilità della domanda? L’ammissibilità è un atto “quasi-dovuto”?

Ai fini dell’ammissibilità della richiesta, il Tribunale deve verificare la sussistenza dei seguenti requisiti:

  1. la propria competenza ex artt. 9 e 161 l.f. (anche ai fini del nesso funzionale con un eventuale accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l.f.);
  2. la regolarità formale della domanda, accertando la sussistenza dei necessari poteri in capo al soggetto che l’ha sottoscritta (eventualmente acquisendo le relative delibere assembleari);
  3. che, nel biennio precedente alla presentazione della domanda, l’imprenditore non abbia presentato analoga domanda alla quale non abbiano fatto seguito l’ammissione alla procedura di un concordato preventivo o di un’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.

Il Tribunale deve dunque riscontrare la presenza di tali condizioni, verificando la regolarità formale della domanda e la legittimità delle delibere che hanno autorizzato la stessa, nonché effettuando l’analisi contabile dei bilanci degli ultimi tre esercizi.

Si è sostenuto, da parte di alcuni autori, che “sembra ragionevole ritenere che, al di fuori di alcune specifiche ipotesi, l’ammissione della domanda sia un atto quasi-dovuto”. Seguendo tale interpretazione, il Tribunale, verificata la sussistenza dei requisiti formali, dovrebbe necessariamente concedere il termine (almeno quello minimo) senza nemmeno poter esaminare criticamente il contenuto della domanda ai fini della successiva proposta di concordato o di richiesta di omologa di accordi di ristrutturazione.

È quindi da escludere che, nella fase di presentazione della domanda, il debitore debba dare informazioni sul contenuto della proposta e del successivo piano concordatario.

  1. Se la domanda di concordato in bianco viene dichiarata inammissibile, il provvedimento di diniego è reclamabile?

A tale questione bisogna rispondere partendo da quanto previsto dalla disciplina del concordato preventivo: in base al disposto dell’art. 162 secondo comma l.f., infatti, se il Tribunale verifica la mancanza dei presupposti necessari, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo, dichiara inammissibile la proposta di concordato. In tali casi, il Tribunale, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l.f., dichiara il fallimento del debitore. Contro la sentenza che dichiara  il fallimento è proponibile reclamo a norma dell’art. 18 l.f., con il quale possono farsi valere anche motivi attinenti all’ammissibilità della proposta di concordato. In caso di decreto di inammissibilità, gli effetti protettivi della domanda decadono ex tunc.

Tale disciplina, dettata in tema di concordato preventivo, deve sicuramente applicarsi anche alla domanda di concordato completa che il proponente del concordato in bianco dovrà comunque presentare nei termini accordati dal Tribunale.

Diversamente, è incerto quale sia il regime di reclamabilità del decreto con cui il Tribunale dichiara inammissibile la domanda ex art. 161 sesto comma l.f. e non concede la fissazione dei relativi termini. Tale ipotesi non è espressamente regolata dalla legge: in riferimento al concordato con riserva, infatti, il secondo comma dell’art. 162 l.f., che prevede espressamente la non reclamabilità del decreto, è richiamato esclusivamente per la dichiarazione di inammissibilità derivante dalla violazione degli obblighi informativi previsti ex art. 161 ottavo comma l.f. e per il mancato deposito del concordato preventivo entro i termini assegnati dal giudice ai sensi dell’art. 161 sesto comma l.f. Se quindi, nei casi appena esposti, è certa la non reclamabilità del decreto, la stessa soluzione appare dubbia rispetto ai decreti di inammissibilità della domanda per motivi differenti.

In questo caso, non previsto espressamente, si profilano due ipotesi interpretative alternative:

  1. il decreto può essere impugnato davanti alla Corte d’Appello, ai sensi dell’art. 739 c.p.c.;
  2. oppure il decreto non è reclamabile, secondo il disposto dell’art. 162 secondo comma l.f.

Tra le due, sembra preferibile la prima ipotesi, in quanto la regola generale in materia è quella enunciata nell’art. 739, primo comma, secondo periodo c.p.c., secondo cui «contro i decreti pronunciati dal Tribunale in camera di consiglio in primo grado si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d’Appello, che pronuncia anch’essa in camera di consiglio».

Senza addentrarsi in considerazioni di merito, è in primo luogo necessario tenere a mente, in proposito, che l’art. 162 secondo comma l.f. è dettato non per il decreto che dichiara inammissibile la richiesta di fissazione del termine a seguito di domanda di concordato con riserva, ma per quello che rigetta la proposta completa di concordato preventivo.

La disposizione è lex specialis, derogatoria rispetto al regime generale previsto dall’art. 739 c.p.c., e dunque non ammette un’interpretazione estensiva. In secondo luogo poi, il provvedimento di cui all’art. 162 secondo comma l.f., è adottato all’esito di un procedimento in cui il Tribunale verifica nel merito la ricorrenza dei presupposti del concordato preventivo. In caso di rigetto della proposta di concordato, ricorrendone i presupposti, il Tribunale è tenuto a dichiarare il fallimento del debitore. Tale sentenza è soggetta a reclamo con cui “possono farsi valere anche i motivi attinenti all’ammissibilità del concordato”, garantendo in ogni caso l’impugnabilità della decisione negativa.

Diversamente, il decreto di inammissibilità della proposta di concordato con riserva non si fonda (o almeno non si dovrebbe fondare) su di una valutazione del merito e viene emesso quando il procedimento di merito non è ancora avviato, poiché al ricorrente non viene assegnato il termine richiesto.

Se non fosse reclamabile dinnanzi alla Corte d’Appello la decisione di inammissibilità della domanda di fissazione del termine (per presentare il  successivo piano concordatario), il diritto dell’imprenditore introdotto tramite l’istituto del concordato con riserva rimarrebbe senza tutela alcuna. Seguendo le linee di tale ragionamento, il ragionamento, il decreto che dichiara inammissibile la domanda di fissazione del termine ex art. art. 161 sesto comma l.f., dovrebbe perciò essere reclamabile ai sensi dell’art. 739 c.p.c.

  1. A quali condizioni la domanda di concordato in bianco non è più nuovamente proponibile?

Per espressa previsione dell’art. 161, nono comma l.f., «la domanda di cui al sesto comma è inammissibile quando il debitore, nei due anni precedenti, abbia già presentato altra domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti».

Da una lettura formale della norma deriverebbe l’inammissibilità di qualsiasi domanda di concordato con riserva presentata quando nei due anni precedenti sia già stata proposta una domanda che non abbia portato ad una delle due alternative previste.

In realtà, seguendo il ragionamento sopra esposto riguardo al tema della non reclamabilità (cfr. supra, sub par. 9), sorge un’ulteriore questione interpretativa. A ben vedere, si potrebbe ritenere che la ragione di inammissibilità che rende non proponibile nei due anni successivi la domanda ex art. 161 sesto comma l.f. ricorra solamente quando, fissato dal Tribunale il termine, sia stata successivamente respinta la proposta definitiva di concordato per ragioni di merito. Diversamente invece, quando sia dichiarata inammissibile la domanda per la fissazione dei termini, la procedura non risulterebbe nemmeno avviata poiché i termini richiesti non sono nemmeno stati assegnati, permettendo dunque la riproposizione della domanda senza limiti di sorta.

  1. Vi sono criteri per la fissazione dei termini da parte del giudice? A quali condizioni possono essere prorogati?

Presentata la domanda, il Giudice fissa il termine, compreso tra 60 e 120 giorni, entro cui devono essere presentati il piano concordatario e la documentazione necessaria di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 161 l.f. (o, alternativamente, domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione). Per evitare abusi nel ricorso a tale istituto, i giudici tendenzialmente adottano criteri prudenziali nella fissazione del termine, bilanciando “esigenze di elaborazione di un piano eventualmente complesso ed esigenze di tutela dei creditori”.

A fortiori, tale prudenza viene utilizzata nella concessione della proroga del termine (di non oltre sessanta giorni), che può essere concessa una sola volta in presenza di giustificati motivi. Al Tribunale è lasciata una grande discrezionalità nella valutazione dei motivi (complessità del piano, sopravvenire di fattori imprevisti, piano di gruppo ecc.), nella decisione sull’ammissibilità o sul rigetto (anche de plano) della richiesta di proroga e nella determinazione del nuovo termine.

Infine, quando è pendente il procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine è obbligatoriamente quello breve di sessanta giorni (eventualmente prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni).

È necessario che la richiesta di proroga sia proposta con sufficiente anticipo rispetto alla scadenza del termine concesso onde evitare che la decisione del Tribunale sia effettuata in concomitanza con la scadenza, comportando il rischio di oltrepassare tale termine massimo. In mancanza di richieste specifiche di termini superiori, o quando la richiesta sia immotivata o non supportata da idonea documentazione, il termine concesso sarà sempre quello minimo di 60 giorni.

  1. In cosa consistono gli «obblighi di informazione periodici» disposti dal Tribunale? L’adempimento di tali obblighi comporta specifiche attività?

Con il decreto, il Tribunale può disporre a carico dell’impresa debitrice obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria, che devono essere rispettati per tutto il periodo concesso.

Per quanto attiene alla determinazione della periodicità, della tipologia e del contenuto degli obblighi informativi la disposizione normativa attribuisce al Tribunale un ampio potere discrezionale. I doveri informativi potranno dunque essere disposti secondo una diversa varietà di forme, dal contenuto più o meno analitico: potranno essere previsti generali relazioni oppure report informativi più specifici riguardo alle diverse attività o operazioni compiute.

La giurisprudenza ha già avuto modo di esprimersi in merito ai confini del dovere di informativa. Ad esempio, in un caso, tali obblighi di informazione periodica sono stati determinati tramite la predisposizione e il deposito con cadenza mensile, di una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata al giorno 30 del mese precedente, corredata di un prospetto relativo all’ordinaria amministrazione dell’attività aziendale, con indicazione dettagliata delle operazioni attive e passive superiori ad un determinato importo. Nel contesto di concordati di gruppo, e quindi di situazioni più complesse e di rilevante entità, è stato invece disposto il deposito, con cadenza settimanale, di una relazione scritta avente ad oggetto gli atti di amministrazione compiuti e la gestione finanziaria delle imprese in questione; in un altro caso ancora si è richiesto il deposito con cadenza mensile di una  relazione avente ad oggetto l’aggiornamento della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica di ciascuna impresa coinvolta.

Com’è stato fatto notare, in assenza di un organo “tecnico” in grado di seguire l’impresa e di e di analizzare l’informativa ricevuta, è molto difficile che il Tribunale sia effettivamente nella posizione più idonea per valutare criticamente tale documentazione.

Inoltre, nonostante l’inammissibilità della domanda in caso di inadempimento degli obblighi informativi per effetto del richiamo all’art. 162, secondo e terzo comma l.f., non è ben chiaro in che modo vengano invece sanzionati altri comportamenti, quali quelli di rispetto solo formalistico di questi obblighi, o di dispersione del patrimonio etc. Soluzione ragionevole è che il Tribunale abbia, in ogni caso, la possibilità di convocare il debitore in camera di consiglio e disporre l’abbreviazione dei termini o, nei casi in cui l’inadempimento sia più eclatante, dichiarare la sopravvenuta inammissibilità della domanda.

Queste criticità legittimano a pensare che l’imposizione di tali obblighi informativi avverrà solo in presenza di concordati di grande rilievo, o quando siano state presentate richieste particolari (di amministrazione straordinaria, di finanziamento ecc.), e in particolar modo quando si tratta di concordati con continuità. Negli altri casi, il Tribunale eviterà di imporre eccessivi obblighi informativi. In ogni caso, quando vengano imposti obblighi informativi, questi devono essere redatti nella forma di brevi atti descrittivi delle attività poste in essere, allegando documentazione di carattere riassuntivo delle stesse.

Sempre in riferimento agli obblighi informativi, in via generale si è rilevato come la previsione propria del sesto comma dell’art.161 l.f. “in realtà contempli una forma minimale di presentazione di domanda con riserva, ma non vieti di integrare la stessa con ulteriori indicazioni”.  Si deve distinguere allora tra la vera e propria “domanda in bianco” (presentata con il contenuto minimo richiesto dalla norma) e la domanda di concordato con riserva arricchita da ulteriori informazioni riguardo al successivo piano da presentarsi. In altre parole, al di là degli obblighi informativi imposti di volta in volta dal giudice, possono individuarsi ulteriori doveri informativi che debbono corredare la domanda quando questa richieda un quid pluris rispetto alla semplice richiesta della concessione dei termini di legge (ad esempio la richiesta di un termine superiore a quello minimo di 60 giorni o la richiesta di proroga devono essere supportate da un’adeguata motivazione e dalle necessarie relative informazioni; la richiesta di autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione deve necessariamente prevedere almeno una sommaria descrizione del piano e della proposta, oltre a tutte le indicazioni utili a valutare se l’atto da compiersi sia effettivamente urgente e di straordinaria amministrazione (si v. anche, supra, sub par. 4).

  1. Quali sono le alternative che il debitore proponente può avanzare entro i termini disposti dal Tribunale? Quali gli effetti del passaggio tra concordato in bianco e 182-bis?

L’istituto del concordato in bianco, tramite la produzione degli effetti protettivi descritti, oltre ad evitare l’aggressione da parte dei creditori, permette al debitore di ottenere il tempo  necessario per valutare e predisporre le possibili strade alternative per far fronte alla crisi della propria attività d’impresa.

Entro lo scadere dei termini fissati dal Tribunale, il debitore è tenuto a presentare il piano di concordato definitivo con la necessaria documentazione ai sensi dell’art. 161, secondo e terzo comma l.f.: un’aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria (secondo comma, lettera a); lo stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori (secondo comma, lettera b); l’elenco dei titolari dei diritti su beni di proprietà o in possesso del debitore (secondo comma, lettera c); e soprattutto il piano concordatario definitivo, contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta (secondo comma, lettera e); infine, il piano e la documentazione appena esposti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista che attesti la veridicità e la fattibilità del piano stesso (terzo comma).

Alternativamente, il debitore può depositare domanda per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, ai sensi dell’art. 182-bis, primo comma l.f.. In tal caso, quando venga scelta questa strada alternativa, l’effetto protettivo che scaturisce dalla pubblicazione della domanda di concordato perdura fino all’omologa dell’ accordo di ristrutturazione dei debiti. Secondo il disposto normativo dunque, presentato un accordo di ristrutturazione entro i termini assegnati dal Tribunale ex art. 161, sesto comma l.f., gli effetti prodotti dal ricorso per concordato con riserva dovrebbero conservarsi fino all’omologazione dell’accordo di ristrutturazione. Ciò comporta che il debitore che presenti prima il ricorso per pre-concordato, convertendo poi la domanda in accordo di ristrutturazione dei debiti, ottenga una protezione dalle azioni esecutive sino all’omologazione dell’accordo (e non solo per i sessanta giorni successivi alla pubblicazione dell’accordo presso il registro delle imprese).

In realtà, approfondendo criticamente l’analisi del dato normativo, un’automatica conservazione di tutti gli effetti del concordato con riserva nel susseguente accordo di ristrutturazione non appare del tutto corretta. Tale interpretazione “non è in alcun modo condivisibile perché negli accordi non si possono trascinare effetti che l’art. 182-bis l.f. non prevede affatto”. Gli effetti propri del concordato, dettati dall’art. 168 l.f., non riprodotti nell’art. 182-bis l.f. per gli accordi di ristrutturazione, devono per forza di cose venir meno quando il debitore scelga tale strada.

Vi sono evidenti criticità nella definizione di quali siano gli effetti del passaggio da una procedura di concordato con riserva alla successiva presentazione di accordi di ristrutturazione. Tra le questioni rilevate in un interessante contributo dottrinale si possono  evidenziare in particolare le seguenti:

1) qual è la sorte dei contratti pendenti che sono stati sciolti durante il pre-concordato: rimangono sciolti o riacquistano efficacia?

2) gli interessi sui crediti sospesi nel pre-concordato riprendono a decorrere? da quando?

3) gli atti e i negozi inopponibili ai creditori del concordato divengono opponibili e riacquistano efficacia negli accordi oppure sono definitivamente persi?

4) le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni anteriori alla domanda di pre-concordato ritornano efficaci? 5) gli atti di straordinaria amministrazione compiuti illegittimamente durante il pre-concordato diventano efficaci con il passaggio agli accordi?

Per dare una risposta alle problematiche ed alle contraddizioni che di volta in volta emergono dal passaggio dall’una all’altra procedura, evitando una rigida soluzione unitaria, bisogna preferire una ratio interpretativa che legga i due istituti in modo sistematico, escludendo la legittimità degli abusi nella proposizione della domanda di concordato con riserva, posti in essere al solo fine di comprimere o aggirare diritti dei terzi tramite modalità a cui non si sarebbe potuto far ricorso se il debitore avesse fin dall’inizio presentato domanda per un accordo di ristrutturazione (o una domanda di pre-accordo ex art. 182-bis sesto comma l.f.)

  1. Vi sono dei limiti al compimento di atti di gestione da parte del debitore che abbia proposto la domanda di concordato in bianco? In cosa consistono e quanto durano?

Nel lasso di tempo intercorrente tra il deposito della domanda e il decreto di ammissione il debitore può compiere atti di ordinaria amministrazione. Egli inoltre può compiere gli atti di straordinaria amministrazione che presentino il carattere dell’urgenza e comunque previa autorizzazione del Tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni. A tal riguardo, in ipotesi di particolare complessità delle istanze, il Tribunale può nominare degli ausiliari che lo assistano sotto il profilo tecnico e che predispongano una relazione di risposta alle richieste presentate.

La dottrina, propendendo per una lettura restrittiva della disposizione, ha sottolineato il requisito dell’urgenza che deve connotare l’atto di straordinaria amministrazione di cui si richiede l’autorizzazione. Questo deve dunque essere qualificato, oltre che per la sua utilità ai fini della gestione d’impresa, anche dall’urgenza: non tutti gli atti di straordinaria amministrazione sono autorizzabili durante il periodo di preconcordato, ma solamente quelli caratterizzati da urgenza (in questo modo si spiega la non necessità di premunirsi delle relazioni attestative dell’esperto, come invece disposto dall’art. 182-quinquies l.f. per l’autorizzazione ai finanziamenti e ai pagamenti di creditori anteriori per prestazioni essenziali).

Anche in tema di concordato con riserva, la giurisprudenza ha già avuto modo di pronunciarsi sulla (non sempre chiara) distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.

I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal periodo che precede la scadenza del termine sono prededucibili ai sensi dell’art. 111 l.f. La prededucibilità è limitata esclusivamente ai debiti sorti in conseguenza di atti legalmente gli atti di straordinaria amministrazione non autorizzati o gli atti intesi di ordinaria amministrazione ma effettivamente di straordinaria amministrazione non danno vita a crediti prededucibili e dunque ricadono sotto la responsabilità personale del debitore, oltre al fatto di comportare l’applicazione dell’art. 162 l.f. In proposito, si è fatto notare come il regime della prededuzione presuppounga una doppia verifica: (i) i debiti in questione devono essere sorti base di atti di gestione legalmente compiuti, nel rispetto del piano o della proposta e delle necessarie autorizzazioni; (ii) i debiti, essendo sorti nel periodo intercorrente fra la domanda e l’ammissione (dunque al di fuori di una procedura concorsuale), meritano il trattamento prededucibile solo quando via sia un nesso di funzionalità con la procedura stessa.

  1. Quali sono gli effetti del concordato in bianco sui contratti pendenti al momento della presentazione della domanda?

L’art. 169-bis l.f., dettato per regolare il concordato “in continuità”, introduce la possibilità di sciogliere i contratti in corso alla data del deposito della domanda di concordato. Su richiesta del debitore inoltre può essere autorizzata la sospensione del contratto (per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta). Con la presentazione del ricorso, il debitore può dunque chiedere al Tribunale (o al giudice delegato dopo il decreto di ammissione) l’autorizzazione allo scioglimento o alla sospensione dei contratti in corso di esecuzione. Espressa eccezione a tale regola è prevista dall’ultimo comma dell’art. 169-bis l.f., secondo cui lo scioglimento e la sospensione non sono applicabili ai rapporti di lavoro subordinato, né ai contratti di cui agli artt. 72, ottavo comma, 72-ter e 80, primo comma l.f. (ossia al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c. avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente, ai finanziamenti destinati ad uno specifico affare e al contratto di locazione di immobili). Il secondo comma dell’art.169-bis l.f. precisa poi che il contraente ha diritto a un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. Tale credito risarcitorio è soddisfatto come credito anteriore al concordato (comprensivo sia di danno emergente sia di lucro cessante).

È invero dibattuta l’applicabilità della norma in questione al concordato in bianco. Sul tema, le linee guida del Tribunale di Milano fanno notare come probabilmente il legislatore non volesse estendere tale possibilità anche all’istituto del concordato con riserva, ma la formulazione normativa utilizzata dall’art. 169-bis l.f. (che fa riferimento al ricorso di cu l’art.161 l.f. in generale e non specificamente al concordato preventivo) porterebbe alla  conclusione per cui tale norma si applicherebbe anche al pre-concordato, visto che anch’esso si presenta tramite ricorso. Data l’assoluta indifferenza terminologica tra il ricorso per concordato definitivo e quello per concordato con riserva, si ritiene quindi che tale richiesta possa essere proposta anche tramite la presentazione della domanda di concordato in bianco. Il disposto dell’art. 169-bis l.f. legittimerebbe l’istanza di sospensione o di scioglimento dei contratti senza porre distinzione alcuna tra la domanda in bianco o meno. Inoltre, il favor del legislatore verso le soluzioni negoziali della crisi di impresa comporterebbe a fortiori l’applicazione dello scioglimento e della sospensione dei contratti quando venga presentata richiesta tramite la domanda di concordato in bianco. Queste misure risulterebbero difatti funzionali all’elaborazione del piano definitivo entro il termine assegnato.

Diversamente, parte della dottrina è critica rispetto all’automatica applicazione dell’art. 169- bis l.f. anche al concordato in bianco. Secondo tali autori l’incompatibilità tra l’art. 161, sesto comma, l.f. e l’art. 169-bis l.f. è evidente se si considera come lo scioglimento del contratto debba per forza di cose costituire parte integrante del piano definitivo contenuto nella proposta concordataria. Tale piano completo deve essere attestato dal professionista e valutato esclusivamente nella sua interezza dal Tribunale adito per l’autorizzazione. Sarebbe difatti assurdo decidere “al buio”, o comunque sulla base di piani sommari e in ogni caso non definitivi, ai fini dell’autorizzazione di scioglimento, con effetti anche altamente pregiudizievoli per i terzi contraenti.

Interpretazione forse preferibile è allora quella secondo cui, di norma, al ricorrente molto difficilmente verrà accordata l’autorizzazione allo scioglimento dei contratti pendenti prima del deposito del piano e della proposta completa. Deve ritenersi che il ricorrente non possa chiedere lo scioglimento dei contratti pendenti con la ragionevole prospettiva di ottenere l’autorizzazione prima del deposito di piano e proposta definitivi. In ogni caso, il Tribunale dovrà garantire l’integrazione del contraddittorio con i terzi contraenti in bonis.

Sul tema in giurisprudenza si riscontrano atteggiamenti contrastanti, più o meno restrittivi: secondo una pronuncia, a seguito di una richiesta di concordato con riserva il Tribunale potrebbe disporre solamente della sospensione dei contratti in corso di esecuzione, ma non del loro scioglimento; diversamente, secondo un’altra decisione, tramite il ricorso per concordato in bianco il debitore potrebbe richiedere sia la sospensione sia lo scioglimento dei contratti.

Qualora il debitore voglia lo scioglimento o la sospensione di un certo contratto egli sarà tenuto a includere, all’interno della domanda, una descrizione generale dello stesso e la sua  incidenza effettiva sullo svolgimento della gestione dell’impresa, nonché il presumibile costo da indennizzare al contraente in bonis (in caso di scioglimento). Come è stato affermato in giurisprudenza, la ratio della sospensione o dello scioglimento dei contratti in corso di comporta implicitamente la necessità della presenza e della disponibilità dei piani e della già nella domanda di concordato in bianco. In una recente sentenza è stato poi affermato la richiesta di scioglimento deve essere specificamente motivata in quanto lo scioglimento può essere disposto sulla base di una domanda di concordato in bianco che non permetta di conoscere almeno le linee generali del piano, la possibilità di soddisfacimento dei creditori e di fatto non permetta di determinare se gli effetti conseguenti allo scioglimento siano alla realizzazione del piano stesso.

Infine, secondo le linee guida del Tribunale di Milano, l’eventuale proroga del termine di sospensione potrà aversi solo quando vi sia continuità tra i due periodi di sospensione richiesti, dovendosi escludere una prosecuzione del contratto tra il primo termine di sospensione e la successiva proroga. Concordemente, quando il contratto sia proseguito dopo la sua sospensione non potrà più essere sospeso (ma solo eventualmente sciolto).

  1. Anche nella domanda di concordato in bianco possono essere ravvisati gli estremi dell’abuso del diritto?

Il rischio di un uso distorsivo del concordato in bianco, vista la particolarità dell’istituto e la delicatezza delle esigenze che ne sono a fondamento, oltre alla rilevanza assunta a causa del suo cospicuo utilizzo nella prassi, ha portato i tribunali ad assumere un atteggiamento attento e intransigente nei confronti degli utilizzi indebiti di tale strumento. Il tema dell’abuso del diritto si ricollega direttamente alle più recenti pronunce in tema di concordato da parte della Corte di Cassazione, dove, riconosciuta la necessità di bilanciare gli interessi del debitore con quelli sottostanti la procedura fallimentare, si è riconosciuto al Tribunale il potere di compiere una valutazione “in relazione alle peculiarità del caso concreto, (del) rapporto di priorità  tra le procedure previo l’indefettibile apprezzamento circa l’intento sottostante la soluzione pattizia  che deve essere esclusa laddove, esprimendo un proposito meramente dilatorio, manifesti un abuso del diritto del  debitore, anche alla luce dell’affrancamento di quest’ultimo del requisito della meritevolezza”.

L’abuso del diritto, concetto giuridico di portata generale, come definito nella giurisprudenza dalla Suprema Corte, trova quindi applicazione nei confronti di tutte le tipologie di concordato, compreso quello con riserva. L’abuso del diritto dovrà ravvisarsi anche nel concordato con riserva, quando gli strumenti predisposti dal legislatore siano utilizzati in maniera distorsiva, in danno ai creditori e con l’intento di prolungare indebitamente la durata del procedimento e gli effetti protettivi connessi.

In particolare, la giurisprudenza di merito ha già avuto modo di esprimersi richiamando il concetto di abuso in riferimento ad un uso improprio della domanda di concordato con riserva. Nel caso di specie, il Tribunale ha constatato la presenza di un abuso del diritto quando, dopo che era stata già presentata una domanda di concordato preventivo dichiarata  inammissibile, il debitore, anziché modificare tale domanda, vi aveva del tutto rinunciato, presentando invece una nuova domanda di concordato con riserva (calcolando attentamente i tempi necessari per la continuazione senza soluzione di continuità degli effetti protettivi). Tramite la proposizione della nuova domanda il debitore, evitando le integrazioni richieste dal dal Tribunale in merito ai motivi che avevano portato all’inammissibilità della prima domanda, si domanda, si sarebbe indebitamente garantito la protezione offerta dalla seconda, con conseguente pregiudizio dei creditori sociali e con un evidente utilizzo abusivo delle procedure. procedure.

Matteo L. Vitali – Filippo Caprotti

“I love deadlines. I like the whooshing sound they make as they fly by.”

(Douglas Adams)

1. Inquadramento del problema.

Il presente contributo ha ad oggetto alcune riflessioni in merito al discusso tema del controllo svolto dal giudice sulla proposta di concordato preventivo, in quanto argomento rilevante per lo studio della relativa disciplina e per l’individuazione delle sue specifiche funzioni (2).

Il punto centrale della questione riguarda, in particolare, il potere riconosciuto al tribunale sia sotto il profilo della sua ampiezza, sia per quanto attiene alla possibilità che – all’interno della disciplina del concordato preventivo – tale potere sia “variabile” a seconda della fase della procedura, di volta in volta, presa in considerazione.

Con riguardo al primo aspetto, si tratta di comprendere se al tribunale sia consentito entrare nel “merito” della proposta formulata dal debitore una volta che sia intervenuta la relazione dell’attestatore; tale quesito discende, in particolare, dal rapporto tra gli articoli 161 e 162 legge fall. Quest’ultima disposizione – come noto – attribuisce al tribunale, all’esito del procedimento, il potere di verificare se ricorrano i presupposti di cui all’art. 160, commi 1 e 2 e 161 legge fall. al fine di dichiarare eventualmente inammissibile la proposta di concordato. L’art.

161 legge fall., invece, al comma 3, prevede che il piano concordatario debba essere accompagnato dalla relazione di un professionista, designato dal debitore e in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo e che, in caso di modifiche sostanziali che riguardino la proposta o il piano, tale relazione debba essere nuovamente presentata (3).

In astratto, può ritenersi che siano tre le soluzioni interpretative percorribili in relazione all’estensione dei poteri del tribunale. La prima consiste nel ritenere che esso abbia il potere di verificare la realizzabilità del piano: il che comporta, ovviamente, un esame di dettaglio dello stesso e presuppone, a sua volta, un’analisi della veridicità dei dati aziendali; la seconda soluzione consiste nel ritenere che il Tribunale sia legittimato a controllare la sola logicità del percorso argomentativo utilizzato dall’attestatore nella sua relazione, dando per “scontata”, dunque, la veridicità dei dati posti a base dell’analisi da quest’ultimo  effettuata; ci si potrebbe, infine, limitare a ritenere che il tribunale debba circoscrivere il proprio controllo alla compatibilità tra la relazione e le prescrizioni di legge. Non v’è dubbio, invece, che sia preclusa la possibilità di riconoscere al giudice il potere valutare la concreta convenienza, da un punto di vista meramente economico, della proposta concordataria. Ciò in quanto, in generale, è compito dei creditori esprimere – tramite il voto – il loro apprezzamento alla proposta formulata dal debitore. Tra l’altro, conferma tale convincimento lo stesso dato sistematico, posto che, quando il legislatore ha voluto  al “merito” il controllo del tribunale, lo ha fatto in modo esplicito (considerando pertanto circostanza “eccezionale”) e in occasioni peculiari come quelle in cui – nell’ambito di un bilanciamento degli interessi – si è ritenuto che il giudizio dei soli creditori non sia più     e debba “cedere il passo” a valutazioni più articolate rispetto a quella – pur presente – di propriamente economica: è il caso, questo, della valutazione “comparativa” formulata dal tribunale in occasione dell’applicazione del meccanismo del «cram  down»  (art.  180, legge fall.).

Quanto al secondo profilo, riguardante la determinazione del potere del tribunale rispetto al momento in cui si registra il suo intervento, ci si chiede se tale potere sia sempre uguale nel corso di tutta la procedura di concordato o sia, piuttosto, variabile nel suo contenuto, mutando pertanto estensione a seconda che esso venga esercitato nella fase di ammissibilità della proposta concordataria, della sua omologazione o della revoca del concordato. Ed invero, all’interno della disciplina del concordato preventivo, la questione della definizione del perimetro del potere del tribunale si ripropone in più occasioni e, in particolare, oltre che nella fase di ammissibilità della proposta, anche in quella di omologa (rispetto alla quale il novellato art. 180, sancisce che il tribunale provvede in tale senso una volta «verificata la regolarità della procedura», sembrando circoscriverne il raggio di azione a un esame di legittimità) e in quella dell’esecuzione del concordato – rectius: della sua revoca – per l’ipotesi in cui il commissario giudiziale comunichi al tribunale che si sono verificate una serie di circostanze legate alla condotta del debitore e contrarie all’interesse dei creditori (comma 1) o nel caso in cui manchino – «in qualunque momento» – le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato medesimo (comma 3).

In ogni caso, una volta individuati i problemi, va tenuto presente – al fine di proporre qualche considerazione al riguardo – che essi traggono in buona misura origine dal cambiamento di prospettiva e di impostazione che l’ondata di riforme dell’impianto originario della legge fallimentare, in generale, e della disciplina del concordato preventivo, in particolare, ha comportato a partire dal 2005 (specialmente con riguardo al

d.l. 14 marzo 2005, n. 35 conv. in l. 14 maggio 2005, n. 80) con interventi sistematici nelle intenzioni ma rispetto ai quali si sono poi rese necessarie e opportune successive modifiche “ortopediche”.

Tra gli aspetti che in qualche modo hanno imposto una rivisitazione di tale prospettiva, vi è tra l’altro quello – che ha senz’altro influenzato gli orientamenti circa la valutabilità del piano concordatario da parte del tribunale – della misura con cui è stato dal legislatore accordato alle parti spazio per auto-determinarsi; tema, questo, che ha fatto parlare di “intreccio virtuoso” tra situazione di crisi e disciplina del contratto (4) ma che non ha sino ad ora consentito agli interpreti di giungere a una conclusione in merito all’ampiezza con cui l’autonomia contrattuale possa effettivamente superare la crisi e, inoltre, in merito alla natura del piano concordatario, quale strumento a ciò destinato.

2. La posizione di dottrina e giurisprudenza.

All’indomani delle modifiche apportate dal legislatore, con d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, alla disciplina del concordato preventivo – che originariamente contemplava un significativo spazio al ruolo del giudice in considerazione della possibilità di sindacare, in tutti i suoi aspetti, la proposta concordataria – la dottrina si è divisa circa la determinazione di tali poteri.

In sintesi, si può dire che gli autori abbiano seguito due strade principali. L’una diretta a riconoscere solamente un ruolo formale del giudice, limitato alla verifica della compatibilità con la disciplina. Secondo alcune opinioni, sempre ascrivibili a tale orientamento, il potere del giudice potrebbe riguardare anche la completezza e articolazione del piano nella misura in cui ciò risulti funzionale a consentire ai creditori di formarsi un’opinione fondata su di esso (5). Per altri, invece, controllo del giudice non potrebbe essere confinato in spazi così angusti, con la conseguenza che vi sarebbe spazio per controlli più penetranti che potrebbero spingersi sino a valutare la congruenza e la completezza del piano: in altri termini la sua fattibilità. É questa la tesi sostenuta anche da una parte della giurisprudenza di merito che è giunta a ritenere che il giudice possa valutare se, rispetto al caso concreto, le assunzioni alla base dell’attestazione e la formulazione delle conseguenze che conducano all’attestazione siano tra loro coerenti (6).

La situazione di incertezza registratasi in dottrina si riscontra anche nella giurisprudenza di legittimità che, in più occasioni, è intervenuta sul punto (7).

Con la sentenza n. 21860 del 2010, è stata inizialmente accolta la tesi per la quale al tribunale sarebbe precluso un controllo di merito sulla proposta e una valutazione circa la realizzabilità, dovendosi esso piuttosto limitare a un controllo di veridicità dei dati e di correttezza delle forme e dei criteri utilizzati per l’elaborazione del piano: in altri termini, al giudice sarebbe al più consentita una verifica di legittimità consistente nel valutare che il professionista abbia rispettato le disposizioni di legge relative al contenuto dell’asseverazione (8). La sentenza ha suscitato critiche da una parte della dottrina che non ha condiviso il ruolo che la Cassazione ha attribuito al professionista quale “certificatore” – attraverso la propria attestazione – della fattibilità del piano, quasi si trattasse di una garanzia in merito al suo contenuto rispetto alla quale il giudice possa fare esclusivo affidamento; piuttosto, l’attestazione andrebbe considerata un indizio più che una prova, posto che avrebbe il medesimo valore di un documento proveniente da un terzo (9).

Questo indirizzo è stato seguito da ulteriori pronunce della  Suprema  Corte (n. 14 febbraio 2011, n. 13817 e n. 13818 del  23 giugno 2011) le quali, tra l’altro, hanno    che il legislatore non ha inteso conferire al tribunale la prerogativa di sindacare nel merito fattibilità del piano (10).

Una “voce fuori dal coro” è rappresentata, invece, dalla sentenza n. 18864 del 15 settembre 2011, con cui – relativamente alla fase di omologa del concordato – si è controllo del tribunale sulla proposta non dovrebbe riguardare solo il rispetto formale dei requisiti e la veridicità dei dati, ma anche la legittimità sostanziale della proposta stessa Secondo l’insegnamento della Corte, infatti, il concordato preventivo, pur non potendo prescindere dall’accordo tra le parti, non è comunque riconducibile «sic et simpliciter formazione di un ordinario contratto di diritto privato» (12), coinvolgendo interessi più natura pubblicistica che permarrebbero  anche  nella  fase  del  voto  con  l’eventuale  della proposta da parte della maggioranza.

Secondo tale orientamento, tra l’altro, il sindacato del giudice si tradurrebbe in duplice controllo – formale e sostanziale – circa la ragionevole previsione di realizzabilità piano con la precisazione che la sua estensione non sarebbe uguale in tutte le fasi del Mentre, infatti, nella fase iniziale di ammissibilità della proposta, il sindacato assume «la prima verifica, limitata alla non manifesta infondatezza della proposta, con riferimento ai presupposti di veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano» (13), non potendo il tribunale avvalersi in questa fase del contributo del commissario giudiziale, il potere del giudice si potenzia nelle successive fasi del procedimento e, in particolare, in occasione dell’omologa o dell’eventuale esercizio dei poteri di revoca ex art. 173 legge fall.

G. BOZZA, cit.cui “una volta riscontrata la presenza in atti e la sua redazione secondo il contenuto minimo richiesto dalla norma, potrebbe il Tribunale, nella fase di esordio della procedura, sindacarne la intrinseca  attendibilità». l’orientamento che attribuisce al giudice un sindacato sul merito della  proposta,  «non  appare essendo in contrasto con il dettato normativo, dal quale si ricava che il legislatore ha  inteso  dare  una  netta  natura contrattuale, privatistica del concordato, che dà rilievo decisivo al consenso dei creditori».

  • In particolare, nella sentenza n. 13818, la Suprema Corte si è espressa in termini chiarissimi, sancendo dapprima che la «nuova legge fallimentare ha ridisegnato i ruoli degli organi preposti alle procedure concorsuali attribuendo al giudice il controllo della regolarità formale e sostanziale del procedimento finalizzato a consentire ai creditori di prendere le loro decisioni», e poi, quale diretta conseguenza di questa prima statuizione, che «il tribunale è privo del potere di valutare d’ufficio il merito della proposta, in quanto tale potere appartiene solo ai creditori così che solo in caso di dissidio tra i medesimi in ordine alla fattibilità, denunciabile attraverso l’opposizione all’omologazione, il tribunale, preposto per sua natura alla soluzione dei conflitti, può intervenire risolvendo il contrasto con una valutazione di merito in esito ad un giudizio, quale è quello di omologazione».
  • Civ., 5 settembre 2011, n. 18864, in Fall., 2012, 36 e ss.
  • Civ., 5 settembre 2011, n. 18864, cit.
  • E. MAVIGLIA, cit., 23.

La Suprema Corte ha tuttavia fatto ben presto ritorno al primo degli orientamenti illustrati, ribadendo il fondamentale ruolo dei creditori, unici soggetti legittimati a sindacare sindacare discrezionalmente la fattibilità del piano. In questo modo, il riscontro del giudice è stato giudice è stato circoscritto alla forma e alla veridicità dei dati, «da cui resta assolutamente escluso il escluso il merito» (14). Tali principi sono poi stati ribaditi in altra pronuncia del Supremo Collegio, la Collegio, la quale ha argomentato l’attenuazione del ruolo e dei poteri del giudice – circoscritto a circoscritto a una mera verifica di legittimità – sulla base dello “spirito” delle nuove norme, che norme, che attribuirebbero prevalenza all’elemento privatistico e negoziale rispetto a  quello quello pubblicistico che, almeno originariamente, caratterizzava l’impianto normativo.

3. I principi enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione.

Per quanto attiene al panorama giurisprudenziale, il più importante contributo sul tema in tema in esame è senza dubbio rappresentato da una recente pronuncia delle Sezioni Uniti della della Cassazione che – prendendo atto dell’ampio dibattito dottrinale e, in particolare, del contrasto tra la pronuncia del 15 settembre 2011, n. 18864 e 16 settembre 2011, n. 18987, che  che avevano rimesso la questione alla sua attenzione (15) – si sono, infine, pronunciate sul punto il punto il 23 gennaio 2013 (16).

A questo riguardo, i Giudici di legittimità hanno statuito i seguenti principi di diritto (i) il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato rappresenta un dovere del giudice che non viene escluso per la circostanza che intervenga successivamente all’attestazione del professionista; (ii) i creditori sono i soggetti cui spetta la valutazione di merito sulla proposta concordataria contenuta nel piano che si risolve nelle probabilità di successo economico del piano e dei rischi inerenti; (iii) il controllo del giudice – che è solo di legittimità – si deve ispirare, in tutte le fasi del concordato preventivo (ammissibilità, revoca e omologazione), al medesimo parametro; (iv) la valutazione del giudice consiste nella verifica dell’effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato, ossia nel perseguimento dell’obiettivo specifico del procedimento che si risolve nel superamento della crisi dell’imprenditore, tenendo in ogni caso conto del fatto che – fermo tale obbiettivo – la modulazione della proposta concordataria è atipica e lasciata all’autonomia delle parti pur dovendo assicurare un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori.

I primi commenti alla pronuncia sono moderatamente entusiasti, in quanto si è senza dubbio notato uno sforzo, da parte delle Sezioni Unite, a concedere una significativa apertura rispetto ai principi negoziali che ispirano la disciplina del concordato (17), rilevando, al contempo, la portata generale, non comune, della pronuncia, verosimilmente destinata a operare, quale strumento di interpretazione, al di là dell’ipotesi del concordato che ha dato luogo alla rimessione alle Sezioni Unite (18). Non mancano tuttavia anche critiche mosse da chi – pur condividendo i termini generali della sentenza – ha rilevato un’ambiguità di fondo di alcuni passaggi del ragionamento,     ritenuti     pericolosi, in considerazione della loro possibile A questo riguardo, si è dell’avviso che i Giudici di legittimità abbiano formulato una pronuncia che si contraddistingue sia sotto il profilo dell’approfondimento e dell’articolazione del ragionamento sia per quanto attiene agli sforzi di inquadramento del concordato preventivo rispetto al quale il contributo delle Sezioni Unite è da ritenersi senz’altro significativo.

4. Il nuovo ruolo del concordato preventivo all’interno del sistema della legge fallimentare.

Le Sezioni Unite hanno innanzitutto individuato l’oggetto della questione sottoposta al loro esame consistente nella necessità di definire il perimetro di intervento assegnato al giudice, al fine di stabilire se sia stato o meno soddisfatto il requisito di fattibilità del piano: ciò in considerazione del problematico rapporto tra la disposizione contenuta nell’art. 161, comma 3, legge fall. in merito al ruolo dell’attestatore con il compito di verificare la veridicità dei dati rappresentati dall’imprenditore e di esprimere una valutazione in ordine alla fattibilità del piano e la norma di cui all’art. 162 legge fall. che prescrive al tribunale di dichiarare il concordato inammissibile, in carenza dei presupposti di cui all’art. 160, commi 1 e 2 e art. 161, inclusi, per l’appunto, quelli concernPenetri qlauevsatloutmazoiotinveo,diellrpagroiofnesasmioenitsotad. ella Suprema Corte – a mio avviso lineare in questo punto – ha preso avvio dall’inquadramento dell’istituto del concordato preventivo ed è stato poi costantemente condotto tenendo presente le finalità della procedura di concordato preventivo. A questo proposito, è degno di nota rilevare come non venga mai perso di vista il fatto che il sindacato del giudice, circa la fattibilità del piano concordatario, sia indirizzato al superamento della crisi (20). Questa modalità di impostare il ragionamento, infatti, influenza in misura significativa le conclusione cui le Sezioni Unite sono giunte nella definizione dell’area di controllo del giudice. La Corte di Cassazione, cosciente della complessità del tema, è giunta a tale approdo prendendo in considerazione, innanzitutto, il dato normativo e tratteggiando la nuova fisionomia che il legislatore della riforma ha attribuito al concordato preventivo.

A questo proposito – dopo avere constatato che la precedente disciplina del concordato era ancorata a uno schema di natura pubblicistica in cui il giudice aveva un ruolo preciso, consistente nella verifica di determinati profili della proposta concordataria (esistenza di un vantaggio economico per i creditori; prospettiva ragionevole del pagamento del 40% dei debiti e meritevolezza dell’imprenditore con riguardo all’assenza di colpa nell’emersione del dissesto) – la Suprema Corte ha dato atto del cambiamento dell’inquadramento dell’istituto, in forza dell’introduzione di misure idonee a snellire le procedure esistenti e a rafforzare, in maniera vigorosa, il ruolo propositivo e decisionale delle parti.

Queste considerazioni sono perlopiù da ricondurre all’analisi dell’art. 160 l. fall., in occasione della quale la Corte ha ritenuto di ritrovare la conferma del principio di libertà di forma e di contenuto conferita all’imprenditore per la formulazione della sua proposta, limitata solo ed esclusivamente dalla necessaria presenza di tre elementi, ossia:

(i)  la  presenza  di  una  domanda  di  accesso  alla  procedura,  (ii)  la  sussistenza  di una proposta rivolta ai creditori (contenuta all’interno della domanda stessa), (iii) la prospettazione di un piano accompagnato dalla relazione di un professionista che «attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo» (cfr. art. 160, comma 3 l. fall.).

L’analisi della Suprema Corte, tuttavia, prosegue con considerazioni di più ampio respiro respiro circa la compresenza, nel concordato preventivo, di “due anime” (21). Si è quindi giunti a giunti a constatare che, se da una parte, gli interventi riformatori hanno finito per ampliare gli ampliare gli aspetti negoziali della procedura concorsuale (che presuppone per l’appunto un      un accordo tra le parti), dall’altra parte, essi hanno anche confermato la permanenze di innegabili innegabili risvolti pubblicistici. Questi ultimi, infatti, non solo vengono confermati per la sola  sola circostanza che la procedura concordataria si inserisce in un quadro normativo – quello della legge fallimentare – dotato indiscutibilmente di tale natura, ma altresì in quanto, con la disciplina concordataria – mediante la previsione di regole procedurali che scandiscono le varie fasi del concordato e che certamente non sono nella disponibilità del debitore – si è voluto offrire uno strumento di tutela anche per gli interessi di coloro che – pur non aderendo alla proposta – risultano in ogni caso esposti agli effetti della stessa.

In questo senso, dunque, non può giungersi frettolosamente a concludere che le Sezioni Uniti hanno definitivamente “marchiato” il concordato preventivo come una procedura di stampo privatistico.

Piuttosto, dall’esame della Suprema Corte, ne esce un istituto per così dire “ibrido” che, se da una parte esalta l’autonomia delle parti e, in particolare, del debitore, sotto il profilo del contenuto della proposta, dall’altra parte è pur sempre inserito in un insieme di regole di stampo pubblicistico le quali – come correttamente è stato notato (22) – non solo non vengono “espunte” dal sistema, ma acquistano una nuova fisionomia, finendo per incidere in misura significativa sul perimetro dei poteri del tribunale (23).

5. Fattibilità economica vs fattibilità giuridica del piano concordatario.

Alla luce di queste premesse, le Sezioni Unite hanno poi affrontato il tema cruciale per cui si è richiesto il loro intervento, ossia quello relativo al potere del giudice di sindacare la fattibilità del piano. Va rilevata, a questo proposito, l’attenzione con cui i giudici hanno voluto precisare – tenendo conto dell’ambiguità che si era sul punto registrata in precedenza – che questo aspetto non va confuso con la convenienza della proposta, essendo quest’ultima rimessa all’esclusiva valutazione negoziale dei creditori (24). Ne consegue che sarebbe preclusa, ad esempio, la possibilità di sindacare sulla misura di soddisfacimento percentuale offerta dal debitore ai creditori e che del piano sia garantita la realizzabilità: è richiesto, pertanto, che l’accordo raggiunto tra debitore e maggioranza dei creditori contenga veritiere e concrete prospettive di superamento della crisi.

A mio avviso, vale altresì la pena di mettere in luce come le Sezioni Unite si siano preoccupate di approfondire il concetto di “fattibilità” del piano: è stato infatti precisato che, per giungere a una compiuta formulazione di una valutazione della proposta, sotto tale profilo, sarebbe necessario un esame prognostico condotto ex ante «circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati».

L’originalità della pronuncia risiede anche nel prosieguo del proprio nell’introduzione di una distinzione fondamentale tra fattibilità giuridica ed economica: essa, contribuisce a meglio definire la nozione utilizzata dal legislatore nell’art. 161, comma 3, Con il primo aggettivo ci si riferirebbe, dunque, alla compatibilità delle modalità attuative piano con le norme inderogabili e con la concreta attuabilità dal punto di vista dei diritti in capo alle parti (25); con il secondo, invece, alla compatibilità delle modalità attuative finalità economiche perseguite, strumentali al superamento della crisi.

Tutto ciò è preliminare rispetto alla definizione del ruolo del giudice e dei suoi poteri. A tale risultato, infatti, le Sezioni Unite giungono “gradualmente”, considerando

(i) la funzione dell’attestazione del professionista; (ii) l’allocazione del rischio economico connesso con la proposta concordataria; e, infine, (iii) la causa del concordato.

Ed invero, sotto il primo profilo, le Sezioni Unite hanno constatato la rilevanza informativa dell’attestazione che, nel fornire dati, informazioni e valutazioni, elaborati “all’interno”, è diretta a fornire fondamentali elementi per la formazione di un giudizio sulla proposta; elementi che – se non vi fosse un professionista – sarebbe possibile ottenere solamente attraverso una consulenza tecnica disposta dal giudice (26).

Per questo motivo, quanto al secondo aspetto, sono i creditori – secondo le indicazioni della Suprema Corte – a essere i principali destinatari del rischio connesso con la fattibilità economica del piano: essi tuttavia, proprio in ragione della funzione dell’attestazione, devono essere messi nelle migliori condizioni possibili, sotto il profilo informativo, al fine di operare un giudizio prognostico completo circa il piano.

Per giungere, infine, a “ritagliare” il ruolo del giudice, le Sezioni Unite hanno cercato di individuare la causa concreta del procedimento di concordato; il che, in buona misura, contribuisce ad ampliare l’area dei poteri del giudice, non più confinati al solo ambito della legittimità.

A questo riguardo, i giudici sono giunti alla conclusione che – in considerazione delle modifiche intervenute sull’impianto originario della disciplina – essa si sostanzi nella regolazione della crisi e che tale causa si debba realizzare attraverso le indicazioni contenute nella proposta concordataria e sulla base del set informativo incluso nel piano e attestato dal professionista. La proposta e il piano sono dunque, per i creditori, strumenti indispensabili per giungere a esprimere, in modo consapevole, la propria (eventuale) adesione alla adesione alla proposta concordataria.

Il punto è stato criticato in dottrina, in quanto la distinzione tra causa astratta e causa causa concreta del concordato è stata ritenuta da alcuni idonea a “inquinare” i rapporti tra il ruolo il ruolo del giudice e quello dei creditori: da ciò si è fatta discendere l’opportunità – senz’altro senz’altro condivisibile – che il tribunale possa sindacare che la proposta, pur prevedendo il         il soddisfacimento dei creditori, non ne consenta poi una soddisfazione in concreto (27). In questo In questo senso, alcuni si sono già pronunciati a favore di una rilettura in chiave “minimalista” “minimalista” della sentenza, ritenendo che il tribunale potrebbe sindacare la fattibilità nel caso in caso in cui la singola proposta preveda sì il soddisfacimento dei creditori, ma che poi, in concreto, concreto, nessun soddisfacimento sarebbe possibile (28).

Tuttavia, una simile interpretazione non pare plausibile poiché, sulla base del tenore letterale della pronuncia della Suprema Corte, il sindacato del giudice potrebbe ben oltrepassare la “soglia minimale”, qualora la causa concreta della procedura concorsuale lo richiedesse.

6. I margini di sindacabilità riconosciuti al giudice.

Il “cuore” della pronuncia è infine rappresentato dalle considerazioni svolte dalle Sezioni Unite in merito a quei profili di natura pubblicistica che caratterizzerebbero il concordato preventivo. Non si tratta – come qualcuno ha correttamente rilevato (29) – di un “ritorno al passato” circa l’inquadramento dell’istituto ma di considerazioni significativamente innovative e in buona misura strumentali allo svolgimento del ragionamento dei giudici di legittimità.

Tornando su un punto già affrontato in apertura, essi hanno infatti chiarito che il perimetro del potere riconosciuto al giudice di sindacare il piano sia determinato proprio dalla sussistenza di interessi – riconducibili a quelli dei creditori – che, da una parte, non sarebbero pienamente protetti qualora la procedura fosse esclusivamente affidata all’autonomia delle parti e che dall’altra parte, vengono compressi dallo stesso procedimento concordatario qualora, ad esempio, si assista alla formazione di «maggioranze ipoteticamente non condivise formatesi sul punto». Tale seconda tipologia di limitazioni, dovuta alla necessità di consentire all’imprenditore di uscire dallo stato di crisi, trova giustificazione – secondo quanto indicato dalle Sezioni Unite – solamente qualora ai creditori venga consentito di esprimere il proprio voto sulla base di tutti i dati a tale fine necessari e che la proposta concordataria consenta sia il superamento della crisi, sia il riconoscimento di una «sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti».

È da queste considerazioni che emerge, dunque, la “fisionomia” del potere di sindacato del tribunale, posto che al giudice viene riconosciuto il potere di valutare la fattibilità giuridica della stesso, ossia la sua compatibilità con le norme dell’ordinamento, ma in concreto, ossia tenendo conto del contenuto della proposta e delle finalità da essa perseguite. Con la conseguenza, ben tratteggiata nel ragionamento della Suprema Corte, che (i) i margini di intervento del giudice non sono identificabili a priori e in astratto, proprio in ragione della necessità di esaminare il contenuto della proposta; (ii) dovrà senz’altro ammettersi una valutazione in ordine al ragionamento seguito dal professionista sotto il triplice profilo sia argomentazioni svolte a sostegno della fattibilità sia delle motivazioni poste a sostegno stessa sia, infine, della coerenza delle conclusioni raggiunte (30); (iii) il fattore “tempo” – e particolare la durata della procedura – essendo determinante dei costi di gestione e  quindi incidere sulla posizione dei creditori finisce per costituire un ulteriore elemento giudice deve prendere in considerazione, anche in ragione, tra l’altro, di ben chiari dati di positivo che – come nel caso dell’art. 181 legge fall. – sono diretti a contenere, nei limiti ragionevolezza i tempi di attuazione della proposta.

D’altra parte, da tale conclusione, discende che al sindacato del giudice sfuggono aspetti pratico-economici della proposta: in questo senso, non potrebbe essere oggetto di una sua valutazione la percentuale di soddisfazione dei creditori. Ben precisa, sul punto,  la Suprema Corte, che tale ambito sfugge dalla valutazione della causa concreta del piano e della proposta concordataria e che tale conclusione trova conforto in una serie di precedenti giurisprudenziali che hanno rilevato come l’indicazione della percentuale – nell’ipotesi di cessione di beni – non sia in alcun modo vincolante, bastando, a questo riguardo, l’impegno del debitore a mettere a disposizione dei creditori beni liberi da vincoli che possano ostacolarne la liquidazione (31).

Sul punto, v’è tuttavia da chiedersi se, consentendo al giudice di valutare la logicità e la congruità delle valutazioni del professionista circa l’idoneità o meno della proposta, non possa finire per comportare una, seppur minima, apertura rispetto alla possibilità di procedere al sindacato della proposta di concordato anche in ordine alla fattibilità economica, e non solo, come invece esposto nelle conclusioni della pronuncia, alla fattibilità giuridica.

7.  Considerazioni in merito all’uniformità dei parametri valutativi adottabili dal giudice (anche alla luce del recente «decreto sviluppo»)

Degne di nota sono altresì le valutazioni conclusive delle Sezioni Unite.

I Giudici di legittimità, infatti, si sono chiesti se i poteri del giudice dipendano dalle diverse fasi del procedimento concordatario (ammissibilità, revoca e omologazione del concordato), ovvero se il parametro valutativo debba essere sempre il medesimo.

Al quesito, è stata condivisibilmente data una risposta affermativa, fondata su una compiuta analisi del dato normativo. Essa, infatti, riposa sia sul rapporto tra gli articoli 162 e 163, da una parte, e l’art. 173 legge fall. dall’altra parte, alla luce della coincidenza del dato letterale e del rapporto tra queste norme e l’art. 180 – relativo al giudizio di omologazione –, il quale prevede che, qualora manchino opposizioni, il tribunale non debba compiere alcun tipo di accertamento. Piuttosto la regolarità della procedura (cfr. comma 3 dell’art. 180 legge fall.) dovrebbe essere accertata, in modo tale che sia possibile constatare che non siano venuti meno i presupposti in mancanza dei quali la procedura non si sarebbe neppure aperta.

  • Ne consegue che, ad esempio, il giudice potrà censurare un piano da cui emerga che la sommatoria dei dati considerati deponga a favore di un giudizio opposto a quello formulato dal professionista. Ancora, sarebbe censurabile l’impossibilità giuridica di dare esecuzione a quanto previsto nel piano, come nel caso di cessione di beni di proprietà di terzi; ovvero la constatazione che la proposta non sia idonea – prima facie – a soddisfare i diversi crediti
  • Sul punto, v. Cass. 13817/11,

In sintesi, il ruolo del giudice mantiene i medesimi contorni in tutte le fasi del procedimento, posto che, in ciascuna di esse, il suo compito è e resta comunque quello di verificare se il piano persegue la concreta causa del procedimento concordatario.

Con l’ottica di ampio respiro che caratterizza la pronuncia, le Sezioni Unite hanno poi svolto poi alcune considerazioni conclusive in merito all’impatto, sulla disciplina del concordato preventivo, dell’art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134. Come noto, infatti, tale intervento ha introdotto significative modificazioni all’impianto della legge fallimentare con il dichiarato scopo di favorire la continuità aziendale. A questo riguardo, sono stati introdotti nuovi istituti che, in buona parte, si innestano sulla procedura concordataria rappresentandone delle “variabili sul tema” che potrebbero comportare la rimodulazione del ruolo del tribunale.

Ci si riferisce, in particolare, alle nuove disposizioni che regolano il c.d. “concordato in bianco” (o con riserva) di cui all’art. 161, commi 6 e 7, legge fall. che legittima il debitore che abbia presentato una domanda “prenotativa” del concordato, chiedendo un termine al giudice per la proposizione della proposta e del piano, a compiere atti urgenti subordinatamente all’autorizzazione del tribunale che, in tale circostanza, può anche assumere informazioni. Anche ulteriori disposizioni, introdotte dalla novella – art. 169-bis legge fall.: autorizzazione del tribunale per sospendere o sciogliersi dai contratti in corso; art. 182-quinquies legge fall.: autorizzazione del tribunale, sulla base di un’attestazione di un professionista, a contrarre finanziamenti prededucibili e a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o di servizi – potrebbero fare pensare a un potenziamento del potere di sindacato del giudice.

Anche sotto tale profilo, tuttavia, le Sezioni Unite hanno confermato le conclusioni già raggiunte affermando che, anche rispetto a tali fattispecie, il potere di sindacato resta quello delineato con riguardo a (tutte le fasi della) procedura di concordato preventivo. Infatti, il ruolo del giudice non risulta inciso da tali norme: infatti, esse – se è pur vero che lo coinvolgono in modo significativo, mediante la richiesta di autorizzazioni per il compimento di determinati atti – si caratterizzano per una specifica funzione, consistente nella necessità di anticipare tempestivamente gli effetti del concordato (come nel caso del concordato “in bianco”), di tenere conto della modulazione di nuovi istituti (come per l’ipotesi di concordato “in continuità”) o di favorire la soluzione concordataria (come nel caso dell’erogazione di finanza-ponte per superare la crisi), con la conseguenza che i poteri del giudice non sarebbero potenziati ma giustificati in ragione dell’urgenza con la quale viene richiesto il suo intervento in funzione di terzo garante dei creditori.

D’altro canto, si trarrebbe conferma di ciò anche dall’esame del dato normativo, prendendo in considerazione le modifiche apportate all’art. 179 legge fall. Tale disposizione, infatti – al nuovo comma 2 – prevede ora che «quando il commissario giudiziario rileva, dopo l’approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza di cui all’articolo 180 per modificare il voto»: con ciò, pertanto, confermando che il tribunale non debba neppure essere destinatario di informativa riguardante le modifiche circa le condizioni (da intendersi “economiche”) relative alla fattibilità del piano.

8. Conclusioni

La questione dell’ampiezza del potere del giudice di sindacare la veridicità e fattibilità della proposta resta – anche dopo la pronuncia delle Sezioni Unite del 2013 – un tema molto delicato che, probabilmente, non troverà, neppure in questa occasione, una soluzione definitiva, tante sono le sfumature con cui esso può essere inteso.

Infatti, la stessa Cassazione, pur chiarendo quale debba essere l’orientamento da seguire, lo ha fatto mediante un ragionamento che, pur lineare, risulta complesso e nel quale non manca il ricorso a nozioni e concetti di carattere generale che ci si aspetta possano lasciare agli interpreti – in considerazione della loro “flessibilità” – un margine, eventualmente anche ampio, per rimodularne le conclusioni.

A questo riguardo, ad esempio, ci si potrebbe domandare se la valutazione circa la fattibilità del piano non possa, in qualche caso, tradursi in un giudizio del tribunale più caratterizzato da “derive” di natura economica: ciò in considerazione dei labili confini che

– all’interno di un piano e della attestazione – possono tracciarsi tra congruità giuridica e opportunità economica, posto che tali profili risultano spesso tra loro intrecciati e non facilmente identificabili nella loro individualità.

Pare, in ogni caso, doversi condividere l’opinione della dottrina che ha sottolineato come – anche in questo caso – il ruolo dell’autorità giudiziaria non possa essere delineato senza tenere conto delle finalità cui è diretto l’istituto del concordato, rispetto al quale prevale senz’altro quella causa concreta di superamento della crisi e di risanamento assente nella procedura fallimentare e che deve orientare gli interpreti nell’applicazione delle relative norme (32).

Matteo L. Vitali

Sul punto, V. CALANDRA BU

Nel marzo 2013, il Comitato di Basilea per la supervisione bancaria ha pubblicato un documento di consultazione dal titolo “External audits of banks”. Si tratta di una bozza cui è possibile replicare con i commenti ritenuti opportuni entro il 21 giugno 2013. Il draft migliora e sostituisce le precedenti linee guida del Comitato di Basilea (sia il documento del 2002 “The relationship between banking supervisors and bank’s external auditors”, sia quello del 2008 “External audit quality and banking supervision”) con l’esplicito e dichiarato intento, successivamente alla recente crisi finanziaria, di migliorare la qualità degli audit esterni. Questo perché il settore bancario, assumendo un ruolo centrale per la stabilità finanziaria del sistema, viene reputato unico nel suo genere: è fondamentale, pertanto, che sia incentivata l’efficacia della supervisione sull’operato delle banche e, in particolare, della revisione operata tramite gli audit esterni.

Per audit esterni (nel caso di specie) si intendono le verifiche indipendenti operate da soggetti terzi (società di revisione) relative agli strumenti e alle procedure di controllo interne alle banche, oltre che alla revisione del bilancio, al fine di valutare la conformità procedurale e la veridicità dei risultati, in particolare, della revisione contabile della banca stessa. Il Comitato detta 16 principi in cui espone le proprie aspettative sull’attività di revisione esterna e sui revisori.

Lo scopo della revisione affidata agli organi esterni alla banca è, come noto, quello di ottenere ragionevoli rassicurazioni sull’assenza di errori significativi nei rendiconti finanziari e nell’attività di gestione della banca stessa. Il Comitato di Basilea per la supervisione bancaria, con questo importante documento, ha dichiaratamente inteso operare a favore dell’efficacia di questi controlli finalizzati alla stabilità dell’intero sistema.

I principali soggetti cui questo draft è indirizzato sono quelli con funzioni di rilievo nelle operazioni di revisione delle banche degli stati membri e, quindi (a) il revisore esterno, ossia colui/coloro che nella società di revisione incaricata si occupano dell’audit bancario, oltre che la società di revisione in quanto tale; (b) il comitato audit, ossia un comitato nominato internamente dalla banca (nell’ambito del CdA) il quale svolge una funzione di controllo, analizza problematiche pratiche rilevanti con la facoltà di chiedere analisi specifiche sui temi giudicati meritevoli di approfondimenti, valuta e propone misure correttive sia riguardo all’audit interno che esterno, assiste il CdA nella valutazione sull’efficacia del sistema di controllo; (c) il supervisore, ossia quel gruppo di persone addette alla vigilanza presso un’autorità di vigilanza bancaria, le quali siano direttamente coinvolte con la supervisione di una specifica istituzione.

I punti di particolare interesse di questo documento riguardano (i) le modalità con cui i revisori esterni possono adempiere ai loro doveri in maniera più efficace, (ii) le modalità con cui i comitati audit possono contribuire ad incrementare la qualità della revisione, (iii) e le modalità con cui è possibile costruire un’efficace relazione tra il revisore esterno e il supervisore.

Il documento presenta una struttura molto lineare, inizialmente occupandosi dei principi riguardanti l’attività del revisore esterno (sia con riguardo alle aspettative del supervisore nei confronti della sua attività, sia con riguardo alle aspettative del supervisore nei confronti della sua attività di revisione finanziaria), poi esplicitando i doveri del comitato di sorveglianza nello svolgimento della propria attività, infine regolando i rapporti intercorrenti tra gli organi coinvolti in questa tipologia di operazioni.

Nella prima parte, come dicevamo, il Comitato di Basilea si occupa del revisore esterno. Innanzitutto ne vengono sanciti i requisiti soggettivi: il revisore dovrà avere un determinato livello di conoscenza e competenza della materia bancaria, anche eventualmente avvalendosi di esperti esterni (principio 1); parallelamente, dovrà soddisfare il requisito di indipendenza dall’istituto revisionato e di oggettività nello svolgimento delle sue valutazioni (principio Viene poi stabilito che, nell’esercizio delle sue funzioni, il revisore debba operare con “scetticismo professionale”, ossia con attitudine critica circa eventuali asserzioni erronee, ricercando prove che attestino le affermazioni del management e contestando eventuali statuizioni di dubbia veridicità (principio 3), il tutto con particolare riferimento ai giudizi e alle valutazioni operate dal management, alle operazioni inusuali e alle situazioni in cui, per la mancanza di adeguati controlli interni, è più probabile il reiterarsi di errori. È inoltre richiesto che la società di revisione ottemperi alle regole di maggior rigore previste dalle leggi nazionali per la qualità dei controlli, anche adottando procedure interne finalizzate ad accertare la permanenza dei requisiti di conoscenza e competenza (principio 4).

Secondariamente, il Comitato di Basilea si occupa delle modalità con cui la società di revisione deve svolgere il proprio compito. Essa deve innanzitutto identificare e valutare i rischi di errori significativi sulla situazione finanziaria della banca, con ovvio e specifico riguardo a tutte le operazioni intraprese dalla banca, ai loro potenziali risultati e ai relativi rischi (di credito, di mercato, di liquidità, operativo, di regolamentazione). Nel valutare i rischi derivanti dall’operato della banca e la “tenuta” dei controlli interni, particolare attenzione deve essere prestata (i) alle competenze degli organi dirigenziali con funzioni inerenti all’informativa finanziaria, (ii) alle strategie di copertura complesse, mal strutturate o mal monitorate, (iii) all’uso di complessi strumenti finanziari che coinvolgano significative stime di fair value o (iv) al ricorso, in significativi volumi, di transazioni inusuali. In questo genere di operazioni, si incoraggia lo scambio di informazioni e la collaborazione con i revisori interni (principio 5).

Il Comitato di Basilea indica poi esplicitamente alcune aree di particolare rischio che meritano di essere tenute in maggiore considerazione dal revisore (principio 6). Sotto tale profilo, vanno senz’altro considerati gli accantonamenti per le perdite sui crediti, di cui vanno monitorati attentamente non solo i criteri con cui essi vengono calcolati, ma anche le modalità con cui il management ha valutato eventuali incertezze e rischi, oltre che gli indicatori di esposizione creditizia. Altro punto segnalato dal Comitato è quello della “misurazione” del valore degli strumenti finanziari secondo i criteri del fair value: ciò è dovuto alla considerazione che una banca può detenere strumenti il cui prezzo di mercato è facilmente deducibile (in quanto scambiati molto frequentemente), sia strumenti complessi e “personalizzati” il cui valore di mercato è difficilmente ipotizzabile. A ciò si aggiunga che il “portafoglio” di una banca può cambiare in maniera assai rapida, con conseguente necessità di rilevare tali cambiamenti in sede contabile, anche riclassificando valutazioni iniziali o modificando i criteri valutativi (fair value e costo storico).

Tre le aree di rischio si segnala poi anche quella inerente alla non conformità con leggi o regolamenti e alle violazioni contrattuali. Tali situazioni, infatti, essendo idonee ad esporre la banca a potenziali liti o penali, devono essere attentamente valutate dal revisore. Particolare interesse va riservato anche alle disclosures (vale a dire alle informative rilasciate dalla banca, con cui essa rende note al pubblico informazioni riservate): l’incrementata complessità delle transazioni effettuate e il sempre più frequente utilizzo del criterio del fair value nella stima delle proprie poste, rendono necessario, secondo il Comitato, che i revisori esterni sollecitino le banche all’utilizzo delle public disclosures, al fine di rendersi trasparenti e, conseguentemente, incentivare la fiducia del mercato.

Il revisore ha anche il dovere di controllare e valutare la capacità della banca di continuare a eseguire le proprie obbligazioni in modo regolare, con un occhio di riguardo alla liquidità (di cui possibili fattori da considerare sono: l’affidabilità delle previsioni di cassa, la disclosure sul rischio di liquidità, nonché le restrizioni normative e contrattuali sui contanti, sui covenant finanziari e sui fondi pensione) e solvibilità della stessa (in questa ipotesi, i fattori possono essere: la “robustezza” della banca nella gestione della liquidità, dei capitali e del rischio di mercato, oltre che i controlli eseguiti su tale attività gestionale). Infine, il Comitato di Basilea segnala, quale aspetto di particolare attenzione, l’attività di cartolarizzazione, la quale, oltre al rischio intrinseco che genera, può rappresentare anche un pericolo di natura reputazionale (in caso di conseguenti difficoltà finanziarie e operative).

Come si è detto, il Comitato di Basilea si è occupato in questo documento anche del comitato audit. Quest’ultimo soprassiede l’intero processo di revisione e approva (o raccomanda al CdA di approvare) la nomina, il rinnovo del mandato, il licenziamento e il compenso del revisore esterno (principio 7). Nello svolgimento di questa funzione di monitoraggio, il comitato in parola deve innanzitutto determinare i criteri di valutazione per l’indipendenza, la competenza e la conoscenza tecnica del revisore esterno e valutare anche il rischio di rinuncia del revisore stesso. Durante l’esecuzione delle operazioni, il comitato audit deve mantenersi vigile sulla struttura e la gestione della società di revisione, sul tipo di contesto in cui si svolge il controllo (tenendo presente, ad esempio, se la banca opera su più giurisdizioni), su dubbi o problemi sollevati dagli organi di controllo circa la società di revisione e sulle indicazioni derivanti da recenti dissesti associati alle società di revisione delle banche.

Il comitato audit, ovviamente, deve anche valutare attentamente il requisito di indipendenza del revisore esterno, il quale rappresenta uno degli elementi decisivi per garantire  un adeguato livello qualitativo dell’audit. Devono così essere tenute in considerazione le regole previste dalle leggi nazionali (o dai regolamenti) per l’indipendenza del revisore e, oltre a queste, anche eventuali relazioni finanziarie/personali/lavorative con la banca. Anche la durata del legame con la società di revisione potrebbe, sul lungo periodo, generare una familiarità tale da “corrompere” il necessario requisito di indipendenza: è necessario, pertanto, comprendere se la confidenza raggiunta con il revisore, dopo un lungo periodo di lavoro, affini la permeabilità del controllo o sfoci in una vicinanza tale da abbassare la qualità del controllo stesso (principio 8).

È compito del comitato di sorveglianza anche monitorare e valutare l’efficacia dell’operato del revisore. A questo proposito, occorre dunque che il piano di revisione si occupi di quelle aree di particolare interesse e rischio, e che le risorse stanziate per l’audit siano proporzionali alla sua realizzazione, tenendo conto della sua natura e complessità. Al termine delle operazioni di audit, poi, il comitato audit deve considerare se la società di revisione ha seguito il piano prospettato e riportare al consiglio di amministrazione dell’efficacia delle operazioni stesse (principio 9).

Perché il lavoro svolto dal comitato audit e dal revisore sia efficace, il Comitato di Basilea suggerisce che tra questi intercorra una relazione di regolare, tempestiva, aperta e onesta collaborazione. È utile che il comitato si incontri regolarmente con il revisore esterno e che essi discutano tra loro di problemi significativi riscontrati nel corso della propria attività (principi 10 e 11).

Un ulteriore profilo di grande rilevanza trattato nel documento in esame riguarda i principi che regolano i rapporti tra i soggetti coinvolti nella supervisione bancaria. Si tratta, in particolare, di rapporti che devono essere basati sulla reciproca collaborazione e correttezza, in modo da incentivare l’effettiva trasmissione delle informazioni, sempre nel rispetto della dovuta riservatezza (principio 16).

Tra il supervisore e il revisore esterno deve esservi una relazione con appropriati canali di comunicazione per lo scambio di informazioni, affinché il supervisore possa beneficiare dei risultati dell’audit esterno. Tali comunicazioni possono avvenire sia oralmente (tramite meeting bilaterali o trilaterali, che coinvolgano anche coloro che detengono i poteri di gestione della banca) sia per iscritto (tramite lo scambio di segnalazioni o di report). Le principali ipotesi su cui il Comitato di Basilea “caldeggia” la comunicazione sono i casi in cui la banca: (i) intraprenda operazioni e transazioni particolari e oscure nella sostanza, (ii) effettui valutazioni economiche delle poste che sono agli “estremi” del range di valutazioni accettabili, (iii) abbia un deficit nella procedura di controllo interno, e (iv), infine, abbia rilasciato informative insufficienti (principio 12). Anche il revisore esterno deve informare prontamente il supervisore di eventuali informazioni di significativa importanza per la sua attività, qualora sia previsto dalle leggi nazionali, da regolamenti, da accordi formali o da protocolli. Alcuni esempi di queste informazioni significative potrebbero essere, secondo il Comitato di Basilea, quelle che indicano (i) un potenziale dissesto della banca, (ii) un conflitto interno agli organi decisionali della banca, (iii) un potenziale conflitto con leggi e regolamenti, e (iv) significativi cambiamenti nei rischi inerenti all’attività condotta dalla banca (principio 13).

Infine, il Comitato, invita i soggetti coinvolti a prestare particolare attenzione a tutte quelle “questioni sistematiche” di particolare rilievo, le quali potrebbero avere effetti sulla stabilità dell’intero sistema (a livello nazionale e internazionale), ad esempio circa l’appropriatezza delle tecniche di contabilità utilizzate con riguardo ai nuovi strumenti finanziari o problemi essenziali riguardanti l’opacità del mercato e le valutazione del valore di particolari classi di assets (principio 14). Tale dovere di collaborazione, va poi esteso anche verso l’autorità di vigilanza bancaria, la quale deve essere informata di problematiche emergenti e di tematiche inter-settoriali (principio 15). In conclusione, il documento sembra rispondere ai segni di debolezza che il  governo dei rischi bancari ha mostrato durante la crisi finanziaria. La bozza del Comitato di Basilea per la supervisione bancaria presenta quindi una serie di principi che sono finalizzati, in via generale e indiretta, al ripristino della fiducia dei mercati nella qualità dell’informativa finanziaria e, in via particolare e diretta, alla riduzione dei rischi cui si è accennato.

Matteo L. Vitali

Giacomo De Zotti

Il 20 agosto 2013 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge 9 agosto 2013 n. 98, di conversione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia. Le nuove disposizioni sono entrate in vigore il 21 agosto, giorno successivo a quello della pubblicazione in G.U. della legge.

Tra le varie novità introdotte, di notevole interesse risultano quelle relative alle procedure fallimentari, in particolar modo con riferimento all’istituto del concordato preventivo «con riserva» o «in bianco» (cfr. art. 161, sesto comma, Legge Fallimentare).

  • Origine e finalità delle modifiche legislative

Fine dichiarato delle modifiche alla disciplina originaria è quello di risolvere alcune delle problematiche applicative sorte nella prassi e rilevate dalle prime decisioni dei tribunali.

A seguito della sua introduzione, infatti, il concordato in bianco ha visto un aumento esponenziale del suo utilizzo da parte di imprenditori in difficoltà, incentivati dalla snellezza degli adempimenti (necessità di presentare una documentazione circoscritta a tre bilanci) e dalla protezione garantita contro le azioni esecutive e le misure cautelari nei confronti del patrimonio del debitore.

Le novità normative sembrano essere dirette soprattutto a correggere quelle “derive  quasi abusive” evidenziate – anche a livello statistico – nell’utilizzo dell’istituto e dovute dalla presenza di domande spesso volte solamente a rinviare nel tempo il momento del fallimento, nonostante lo stesso risulti di fatto inevitabile.

  • L’incremento degli obblighi informativi in capo all’imprenditore

Con l’obiettivo di incrementare la trasparenza informativa nella fase di presentazione dell’istanza, al debitore è ora richiesto di accompagnare la domanda di concordato con informazioni maggiormente dettagliate: oltre agli ultimi tre bilanci di esercizio, viene infatti ora richiesta la presentazione dell’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti.

L’informativa periodica di natura finanziaria dovuta dal debitore, prima dell’intervento riformatore disposta con decreto secondo la scelta discrezionale del tribunale, diviene ora obbligatoria: essa avrà cadenza mensile e dovrà essere inoltre pubblicata nel Registro delle Imprese. La previsione della pubblicazione della situazione finanziaria aggiornata dovrebbe ora garantire una maggiore protezione per i creditori, che potranno così pienamente valutare l’effettiva stabilità dell’impresa e l’attività da essa svolta, con la possibilità di decidere se promuovere o meno eventuale istanza per la dichiarazione di fallimento.

  • La possibilità di abbreviamento dei termini concessi, in caso di “lassismo” dell’imprenditore

L’imprenditore dovrà inoltre comunicare al tribunale le attività compiute ai fini della predisposizione del piano da presentare ai creditori e, qualora queste appaiano manifestamente inidonee, il tribunale, anche d’ufficio, sentiti il debitore e il commissario giudiziale, potrà disporre la riduzione dei termini già fissati.

In particolare, l’ottavo comma dell’art. 161 della Legge Fallimentare, è sostituito con il seguente: «Con il decreto che fissa il termine di cui al sesto comma, primo periodo, il tribunale deve disporre gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa e all’attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano, che il debitore deve assolvere, con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale se nominato, sino alla scadenza del termine fissato. Il debitore, con periodicità mensile, deposita una situazione finanziaria dell’impresa che, entro il giorno successivo, è pubblicata nel registro delle imprese a cura del cancelliere. In caso di violazione di tali obblighi, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo (1). Quando risulta che l’attività compiuta dal debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano, il tribunale, anche d’ufficio, sentito il debitore e il commissario giudiziale se nominato, abbrevia il termine fissato con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo. Il tribunale può in ogni momento sentire i creditori».

  • La possibilità di nomina di un commissario giudiziale

Infine, per ottimizzare la trasparenza e la veridicità dei dati presentati dall’imprenditore, il tribunale può scegliere di nominare un commissario giudiziale affinché questi svolga un esame delle scritture contabili e sorvegli l’attività e gli adempimenti posti in essere dal debitore. Si prevede al riguardo quanto segue: «Con decreto motivato che fissa il termine di cui al primo periodo, il tribunale può nominare il commissario giudiziale di cui all’articolo 163, secondo comma, n. 3; si applica l’articolo 170, secondo comma (2). Il commissario giudiziale, quando accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall’articolo 173 (3), deve riferirne immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all’articolo 15 (4)


  • Si riportano in nota, per comodità, i riferimenti normativi operati dal nuovo testo di legge. Qui di seguito, i commi secondo e terzo dell’art. 162: «(ii) Il Tribunale, se all’esito del procedimento verifica che non ricorrono i presupposti di cui agli articoli 160, commi primo e secondo, e 161, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta di concordato. In tali casi il tribunale, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5 dichiara il fallimento del debitore. (iii) Contro la sentenza che dichiara il fallimento è proponibile reclamo a norma dell’articolo 18. Con il reclamo possono farsi valere anche motivi attinenti all’ammissibilità della proposta di concordato».
  • «(ii) I libri sono restituiti al debitore, che deve tenerli a disposizione del giudice delegato e del commissario giudiziale».
  • «(i) Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori. La comunicazione ai creditori è eseguita dal commissario giudiziale a mezzo posta elettronica certificata ai sensi dell’articolo 171, secondo comma. (ii) All’esito del procedimento, che si svolge nelle forme di cui all’articolo 15, il tribunale provvede con decreto e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza, reclamabile a norma dell’articolo 18. (iii) Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell’articolo 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del »

Matteo L. Vitali

Filippo Caprotti