Con il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto “Decreto Sviluppo”), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, sono state introdotte rilevanti modifiche alla legge fallimentare.
Tra le novità più interessanti e di maggior impatto sulla disciplina della crisi di impresa vi è sicuramente l’introduzione dell’istituto del concordato “in bianco” o “con riserva”, la cui disciplina è contenuta dal sesto al decimo comma dell’art. 161 l.f.:
ART. 161. DOMANDA DI CONCORDATO
«6. L’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.
Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può depositare domanda ai sensi dell’articolo 182-bis, primo comma.
In mancanza, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo.
- Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all’articolo 163 il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni. Nello stesso periodo e a decorrere dallo stesso termine il debitore può altresì compiere gli atti di ordinaria amministrazione. I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai sensi dell’articolo 111.
- Con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo, il tribunale dispone gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa, che il debitore deve assolvere sino alla scadenza del termine fissato. In caso di violazione di tali obblighi, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo.
- La domanda di cui al sesto comma è inammissibile quando il debitore, nei due anni precedenti, ha presentato altra domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
- Fermo restando quanto disposto dall’articolo 22, primo comma, quando pende il procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine di cui al sesto comma del presente articolo è di sessanta giorni, prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni».
- Che cos’è il concordato preventivo “in bianco” o “con riserva”?
In seguito all’approvazione della L. n. 134/2012 di conversione del c.d. “Decreto Sviluppo” n. 83/2012, è stato introdotto nella legge fallimentare un istituto di notevolissima rilevanza. Grazie alla novità normativa, è offerta all’imprenditore la facoltà di depositare un ricorso per concordato “con riserva” o “in bianco”, contenente semplicemente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, senza l’obbligo di allegazione contestuale del piano concordatario e dell’ulteriore documentazione normalmente necessaria.
All’atto del deposito del ricorso, il Giudice Delegato assegna al debitore un termine, compreso fra 60 e 120 giorni (ulteriormente prorogabile di ulteriori 60 giorni in presenza di giustificati motivi) per integrare il ricorso stesso.
Tramite la proposizione di questa domanda dal contenuto semplificato si consente al debitore di beneficiare immediatamente degli effetti “protettivi” che sarebbero garantiti dalla presentazione di una domanda di concordato completa, permettendogli di predisporre nel frattempo la proposta di concordato preventivo oppure di un piano di ristrutturazione, evitando così l’aggressione del proprio patrimonio e il conseguente aggravarsi della situazione di crisi.
- Quali sono gli effetti che discendono dal deposito della domanda di concordato in bianco?
Una volta presentata la domanda, questa viene pubblicata nel competente Registro delle imprese a cura del cancelliere, entro il giorno successivo al deposito in cancelleria. Dal momento della pubblicazione decorrono in via immediata gli effetti protettivi che si sarebbero realizzati con la presentazione della domanda di concordato completa.
In particolar modo, i creditori non possono avviare o proseguire azioni esecutive o cautelari sui beni del debitore e le eventuali ipoteche giudiziali iscritte sui beni del debitore nei novanta giorni antecedenti alla presentazione della domanda sono inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al concordato.
Il debitore conserva inoltre il diritto di compiere gli atti di ordinaria amministrazione e di esercizio dell’impresa e, previa autorizzazione del Tribunale, anche quelli di straordinaria amministrazione che rivestano il carattere di urgenza.
- Quali sono le condizioni di ammissibilità, nonché la documentazione necessaria per essere ammessi alla procedura? Ci sono delle regole che disciplinano la competenza per la presentazione della domanda?
Per poter usufruire dei vantaggi di tale procedura la domanda deve rispettate le seguenti condizioni di ammissibilità:
- competenza del Tribunale adito ex artt. 9 e 161 l.f.;
- requisito soggettivo e dimensionale di fallibilità di cui all’art. 1 l.f.;
- requisito oggettivo della ricorrenza di uno stato di crisi;
- legittimazione dell’organo richiedente alla presentazione del ricorso (nel caso in cui il debitore sia una società, la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’art. 152 l.f., richiamato dal quarto comma dell’art. 161 l.f. Tale disposizione prevede che la proposta e le condizioni di concordato, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo o dello statuto:
- nelle società di persone siano approvate dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale;
- nelle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, nonché nelle società cooperative, siano deliberate dagli amministratori);
- allegazione dei bilanci degli ultimi tre esercizi;
- nei due anni precedenti, il debitore non deve aver presentato altra domanda di concordato in bianco alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (v., altresì, approfondimenti infra, sub par. 7).
- Al di là delle prescrizioni normative, è consigliabile allegare ulteriore documentazione alla domanda di concordato? Va illustrato, quanto meno per “sommi capi”, il contenuto del redigendo piano?
Secondo le linee guida del Tribunale di Milano è necessario che la domanda sia tramite un rappresentante legale, trattandosi di domanda formulata con ricorso.
La domanda di concordato in bianco può essere presentata anche se formulata in modo sintetico e non dettagliato.
Si ritiene in ogni caso che questa debba avere un contenuto minimo obbligatorio:
- indicazione della sede sociale dell’impresa;
- indicazione della competenza del Tribunale adito;
- indicazione della legittimazione soggettiva (impresa soggetta al concordato ex artt.1 e 5 l.f.) e processuale (legittimazione dell’organo richiedente alla presentazione del ricorso ex art.152 l.f.);
- indicazione dei soggetti che hanno i poteri di rappresentanza;
- stima dei valori di attivo e di passivo;
- indicazione del termine che si richiede (da 60 a 120 giorni).
È consigliabile che la domanda, per essere esauriente, in ogni caso preveda (o comunque tenga da conto) i seguenti elementi:
- competenza del Tribunale adito;
- indicazione dei requisiti soggettivi dimensionali;
- indicazione del settore dell’impresa e caratteristiche dell’attuale stato di crisi;
- specificazione della richiesta di termine per la presentazione della proposta e del piano;
- motivazioni ed obiettivi della presentazione della domanda (ad esempio: garantire l’integrità del patrimonio e la parità di trattamento dei diversi creditori; permettere la continuità dell’attività di impresa; far fronte alla momentanea crisi di liquidità; tutelare i livelli occupazionali e i dipendenti dell’impresa; proteggere dalle iniziative esecutive destabilizzanti dei creditori sociali; rendere inefficaci le ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni precedenti etc.);
- definizione delle linee guida del piano, specificando se si tratta di piano in continuità aziendale o di liquidazione, e delle attività da porre in essere;
- eventuale incarico conferito a professionisti/advisors;
- eventuale incarico conferito all’attestatore;
- eventuale riserva in ordine alla richiesta di autorizzazione per gli atti di straordinaria amministrazione o per il ricorso al credito;
- dichiarazione di non aver presentato domande di concordato con riserva con esiti negativi nei due anni precedenti;
- esistenza di istanze di fallimento pendenti;
Oltre ai documenti obbligatori per legge, si suggerisce anche l’allegazione:
- della visura camerale aggiornata, ai fini della verifica della competenza territoriale;
- dell’estratto della delibera notarile del cda o dell’amministratore unico, in caso di Srl o di Spa, e della delibera notarile dell’assemblea dei soci in caso di società di persone (v., supra, sub par. 3(d));
- di un bilancio infrannuale o di una situazione contabile aggiornata.
Secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza e in dottrina, la “domanda in bianco” non deve contenere specificazioni in merito alla proposta e al piano. La norma sembra escludere la necessità di un’esposizione delle linee guida del futuro piano, prevedendo infatti, alla scadenza del termine, l’alternativa tra il concordato preventivo o la presentazione di un accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182-bis l.f.. Sarebbe del tutto incongruo difatti imporre al debitore la presentazione di un piano, seppur sommario, quando gli è espressamente concessa la possibilità di optare tra le due diverse soluzioni alternative. Si ritiene, invece, che debbano essere specificate nel merito le istanze per l’autorizzazione allo svolgimento di atti di straordinaria gestione (che devono presentare i caratteri dell’urgenza) o la domanda che presenti la richiesta di sospensione dei contratti.
In tali situazioni, il debitore sarà quindi tenuto a sostanziare e a contestualizzare la propria richiesta, indicando in via generale le linee del piano che presenterà successivamente entro i termini concessi.
- Quali sono le conseguenze sugli effetti “protettivi” discendenti dalla domanda in bianco in caso di mancato completamento della documentazione nei termini accordati?
Entro i termini stabiliti dal Tribunale, il debitore deve presentare la proposta definitiva di concordato oppure, in alternativa, la domanda di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis l.f., insieme alla documentazione necessaria richiesta dalla legge. Se il debitore non completa tali adempimenti entro il termine assegnatogli, si applica l’art. 162, commi secondo e terzo l.f., con la conseguenza che il Tribunale, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo, dichiara inammissibile la proposta di concordato.
Il Tribunale poi, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertata la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l.f. dichiara il fallimento del debitore.
Nel silenzio della disposizione normativa, è da ritenersi che – a seguito di declaratoria di inammissibilità della domanda – gli effetti protettivi garantiti da questa decadano ex tunc. Tale soluzione, desunta da una pronuncia giurisprudenziale, è accolta anche dalla dottrina maggioritaria.
- Qual è il regime di pubblicità del ricorso per concordato con riserva?
La domanda di concordato con riserva deve essere presentata a cura del soggetto a ciò legittimato.
Come visto, quando il debitore sia una società, secondo il disposto dell’art. 152 l.f., richiamato dall’art. 161 quarto comma l.f., il ricorso deve essere redatto dall’organo sociale a ciò legittimato e presentato a cura del legale rappresentante.
Salvo diversa disposizione statutaria o dell’atto costitutivo, la proposta e le condizioni del concordato: a) nelle società di persone, sono approvate dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale; b) nelle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, nonché nelle società cooperative, sono deliberate dagli amministratori. Ogni caso, la decisione o la deliberazione di cui alla lettera b) deve risultare da verbale redatto notaio ed è depositata ed iscritta nel registro delle imprese a norma dell’art. 2436 c.c.
Nelle società di capitali e nelle cooperative tale atto deve dunque essere valutato da parte notaio verbalizzante mediante un controllo di legalità. Anche in tema di concordato con ritiene, infatti, che il controllo notarile debba avere ad oggetto esclusivamente la verifica della competenza dell’organo che ha posto in essere la decisione e l’iter di formazione della volontà societaria, non il contenuto della domanda o della proposta concordataria.
La domanda, una volta deliberata dagli organi sociali, deve essere depositata presso la cancelleria del Tribunale, comunicata al pubblico ministero e pubblicata, a cura del cancelliere, nel registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria.
È stato sollevato il problema di coordinamento tra l’art. 152 l.f., il quale prevede che la decisione societaria sia depositata e iscritta nel registro delle imprese a norma dell’art. 2436 c.c., e l’art. 161 quinto comma, l.f., che dispone invece che la pubblicità della domanda sia di competenza del cancelliere del Tribunale.
Seppur vi siano elementi normativi e sistematici che facciano propendere per l’applicazione del regime previsto dall’art. 2436 c.c., pare forse preferibile la scelta per un sistema che può essere definito di “doppia pubblicità”: a) iscrizione della delibera dell’organo societario da parte del notaio ex art. 2436 c.c.; b) iscrizione della domanda di concordato da parte del cancelliere ex art. 161 quinto comma, l.f. Tale soluzione garantirebbe maggiormente la significativa esigenza di informare i creditori e chiunque vi abbia interesse dell’iniziativa assunta da parte del debitore in ordine alla presentazione di ricorso per concordato con riserva.
- C’è rapporto tra la decisione di procedere alla presentazione della domanda di concordato in bianco e la formulazione dell’art. 152 l.f.? Serve un’ulteriore manifestazione di volontà della società quando si presentano il piano e la proposta?
Questo interrogativo è strettamente legato alle considerazioni appena esposte. I termini della questione risiedono nel dubbio se una volta presentata domanda di concordato in bianco sia poi necessaria un’ulteriore manifestazione di volontà da parte della società per la definizione del contenuto del piano e della proposta definitivi. Tale questione non è stata ancora espressamente trattata in dottrina, né la giurisprudenza sembra essersi ancora imbattuta in tale problematica.
Sembra preferibile la soluzione per cui una volta presentata la domanda di concordato in bianco, anche la successiva delibera dell’organo a ciò legittimato con cui viene presentato il contenuto del piano definitivo sia soggetta alla norma dell’art. 152 l.f. e debba dunque essere presentata tramite autonoma pubblicità.
- Quale potere di sindacato è riconosciuto in capo al Tribunale circa l’ammissibilità della domanda? L’ammissibilità è un atto “quasi-dovuto”?
Ai fini dell’ammissibilità della richiesta, il Tribunale deve verificare la sussistenza dei seguenti requisiti:
- la propria competenza ex artt. 9 e 161 l.f. (anche ai fini del nesso funzionale con un eventuale accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l.f.);
- la regolarità formale della domanda, accertando la sussistenza dei necessari poteri in capo al soggetto che l’ha sottoscritta (eventualmente acquisendo le relative delibere assembleari);
- che, nel biennio precedente alla presentazione della domanda, l’imprenditore non abbia presentato analoga domanda alla quale non abbiano fatto seguito l’ammissione alla procedura di un concordato preventivo o di un’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
Il Tribunale deve dunque riscontrare la presenza di tali condizioni, verificando la regolarità formale della domanda e la legittimità delle delibere che hanno autorizzato la stessa, nonché effettuando l’analisi contabile dei bilanci degli ultimi tre esercizi.
Si è sostenuto, da parte di alcuni autori, che “sembra ragionevole ritenere che, al di fuori di alcune specifiche ipotesi, l’ammissione della domanda sia un atto quasi-dovuto”. Seguendo tale interpretazione, il Tribunale, verificata la sussistenza dei requisiti formali, dovrebbe necessariamente concedere il termine (almeno quello minimo) senza nemmeno poter esaminare criticamente il contenuto della domanda ai fini della successiva proposta di concordato o di richiesta di omologa di accordi di ristrutturazione.
È quindi da escludere che, nella fase di presentazione della domanda, il debitore debba dare informazioni sul contenuto della proposta e del successivo piano concordatario.
- Se la domanda di concordato in bianco viene dichiarata inammissibile, il provvedimento di diniego è reclamabile?
A tale questione bisogna rispondere partendo da quanto previsto dalla disciplina del concordato preventivo: in base al disposto dell’art. 162 secondo comma l.f., infatti, se il Tribunale verifica la mancanza dei presupposti necessari, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo, dichiara inammissibile la proposta di concordato. In tali casi, il Tribunale, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l.f., dichiara il fallimento del debitore. Contro la sentenza che dichiara il fallimento è proponibile reclamo a norma dell’art. 18 l.f., con il quale possono farsi valere anche motivi attinenti all’ammissibilità della proposta di concordato. In caso di decreto di inammissibilità, gli effetti protettivi della domanda decadono ex tunc.
Tale disciplina, dettata in tema di concordato preventivo, deve sicuramente applicarsi anche alla domanda di concordato completa che il proponente del concordato in bianco dovrà comunque presentare nei termini accordati dal Tribunale.
Diversamente, è incerto quale sia il regime di reclamabilità del decreto con cui il Tribunale dichiara inammissibile la domanda ex art. 161 sesto comma l.f. e non concede la fissazione dei relativi termini. Tale ipotesi non è espressamente regolata dalla legge: in riferimento al concordato con riserva, infatti, il secondo comma dell’art. 162 l.f., che prevede espressamente la non reclamabilità del decreto, è richiamato esclusivamente per la dichiarazione di inammissibilità derivante dalla violazione degli obblighi informativi previsti ex art. 161 ottavo comma l.f. e per il mancato deposito del concordato preventivo entro i termini assegnati dal giudice ai sensi dell’art. 161 sesto comma l.f. Se quindi, nei casi appena esposti, è certa la non reclamabilità del decreto, la stessa soluzione appare dubbia rispetto ai decreti di inammissibilità della domanda per motivi differenti.
In questo caso, non previsto espressamente, si profilano due ipotesi interpretative alternative:
- il decreto può essere impugnato davanti alla Corte d’Appello, ai sensi dell’art. 739 c.p.c.;
- oppure il decreto non è reclamabile, secondo il disposto dell’art. 162 secondo comma l.f.
Tra le due, sembra preferibile la prima ipotesi, in quanto la regola generale in materia è quella enunciata nell’art. 739, primo comma, secondo periodo c.p.c., secondo cui «contro i decreti pronunciati dal Tribunale in camera di consiglio in primo grado si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d’Appello, che pronuncia anch’essa in camera di consiglio».
Senza addentrarsi in considerazioni di merito, è in primo luogo necessario tenere a mente, in proposito, che l’art. 162 secondo comma l.f. è dettato non per il decreto che dichiara inammissibile la richiesta di fissazione del termine a seguito di domanda di concordato con riserva, ma per quello che rigetta la proposta completa di concordato preventivo.
La disposizione è lex specialis, derogatoria rispetto al regime generale previsto dall’art. 739 c.p.c., e dunque non ammette un’interpretazione estensiva. In secondo luogo poi, il provvedimento di cui all’art. 162 secondo comma l.f., è adottato all’esito di un procedimento in cui il Tribunale verifica nel merito la ricorrenza dei presupposti del concordato preventivo. In caso di rigetto della proposta di concordato, ricorrendone i presupposti, il Tribunale è tenuto a dichiarare il fallimento del debitore. Tale sentenza è soggetta a reclamo con cui “possono farsi valere anche i motivi attinenti all’ammissibilità del concordato”, garantendo in ogni caso l’impugnabilità della decisione negativa.
Diversamente, il decreto di inammissibilità della proposta di concordato con riserva non si fonda (o almeno non si dovrebbe fondare) su di una valutazione del merito e viene emesso quando il procedimento di merito non è ancora avviato, poiché al ricorrente non viene assegnato il termine richiesto.
Se non fosse reclamabile dinnanzi alla Corte d’Appello la decisione di inammissibilità della domanda di fissazione del termine (per presentare il successivo piano concordatario), il diritto dell’imprenditore introdotto tramite l’istituto del concordato con riserva rimarrebbe senza tutela alcuna. Seguendo le linee di tale ragionamento, il ragionamento, il decreto che dichiara inammissibile la domanda di fissazione del termine ex art. art. 161 sesto comma l.f., dovrebbe perciò essere reclamabile ai sensi dell’art. 739 c.p.c.
- A quali condizioni la domanda di concordato in bianco non è più nuovamente proponibile?
Per espressa previsione dell’art. 161, nono comma l.f., «la domanda di cui al sesto comma è inammissibile quando il debitore, nei due anni precedenti, abbia già presentato altra domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti».
Da una lettura formale della norma deriverebbe l’inammissibilità di qualsiasi domanda di concordato con riserva presentata quando nei due anni precedenti sia già stata proposta una domanda che non abbia portato ad una delle due alternative previste.
In realtà, seguendo il ragionamento sopra esposto riguardo al tema della non reclamabilità (cfr. supra, sub par. 9), sorge un’ulteriore questione interpretativa. A ben vedere, si potrebbe ritenere che la ragione di inammissibilità che rende non proponibile nei due anni successivi la domanda ex art. 161 sesto comma l.f. ricorra solamente quando, fissato dal Tribunale il termine, sia stata successivamente respinta la proposta definitiva di concordato per ragioni di merito. Diversamente invece, quando sia dichiarata inammissibile la domanda per la fissazione dei termini, la procedura non risulterebbe nemmeno avviata poiché i termini richiesti non sono nemmeno stati assegnati, permettendo dunque la riproposizione della domanda senza limiti di sorta.
- Vi sono criteri per la fissazione dei termini da parte del giudice? A quali condizioni possono essere prorogati?
Presentata la domanda, il Giudice fissa il termine, compreso tra 60 e 120 giorni, entro cui devono essere presentati il piano concordatario e la documentazione necessaria di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 161 l.f. (o, alternativamente, domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione). Per evitare abusi nel ricorso a tale istituto, i giudici tendenzialmente adottano criteri prudenziali nella fissazione del termine, bilanciando “esigenze di elaborazione di un piano eventualmente complesso ed esigenze di tutela dei creditori”.
A fortiori, tale prudenza viene utilizzata nella concessione della proroga del termine (di non oltre sessanta giorni), che può essere concessa una sola volta in presenza di giustificati motivi. Al Tribunale è lasciata una grande discrezionalità nella valutazione dei motivi (complessità del piano, sopravvenire di fattori imprevisti, piano di gruppo ecc.), nella decisione sull’ammissibilità o sul rigetto (anche de plano) della richiesta di proroga e nella determinazione del nuovo termine.
Infine, quando è pendente il procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine è obbligatoriamente quello breve di sessanta giorni (eventualmente prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni).
È necessario che la richiesta di proroga sia proposta con sufficiente anticipo rispetto alla scadenza del termine concesso onde evitare che la decisione del Tribunale sia effettuata in concomitanza con la scadenza, comportando il rischio di oltrepassare tale termine massimo. In mancanza di richieste specifiche di termini superiori, o quando la richiesta sia immotivata o non supportata da idonea documentazione, il termine concesso sarà sempre quello minimo di 60 giorni.
- In cosa consistono gli «obblighi di informazione periodici» disposti dal Tribunale? L’adempimento di tali obblighi comporta specifiche attività?
Con il decreto, il Tribunale può disporre a carico dell’impresa debitrice obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria, che devono essere rispettati per tutto il periodo concesso.
Per quanto attiene alla determinazione della periodicità, della tipologia e del contenuto degli obblighi informativi la disposizione normativa attribuisce al Tribunale un ampio potere discrezionale. I doveri informativi potranno dunque essere disposti secondo una diversa varietà di forme, dal contenuto più o meno analitico: potranno essere previsti generali relazioni oppure report informativi più specifici riguardo alle diverse attività o operazioni compiute.
La giurisprudenza ha già avuto modo di esprimersi in merito ai confini del dovere di informativa. Ad esempio, in un caso, tali obblighi di informazione periodica sono stati determinati tramite la predisposizione e il deposito con cadenza mensile, di una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata al giorno 30 del mese precedente, corredata di un prospetto relativo all’ordinaria amministrazione dell’attività aziendale, con indicazione dettagliata delle operazioni attive e passive superiori ad un determinato importo. Nel contesto di concordati di gruppo, e quindi di situazioni più complesse e di rilevante entità, è stato invece disposto il deposito, con cadenza settimanale, di una relazione scritta avente ad oggetto gli atti di amministrazione compiuti e la gestione finanziaria delle imprese in questione; in un altro caso ancora si è richiesto il deposito con cadenza mensile di una relazione avente ad oggetto l’aggiornamento della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica di ciascuna impresa coinvolta.
Com’è stato fatto notare, in assenza di un organo “tecnico” in grado di seguire l’impresa e di e di analizzare l’informativa ricevuta, è molto difficile che il Tribunale sia effettivamente nella posizione più idonea per valutare criticamente tale documentazione.
Inoltre, nonostante l’inammissibilità della domanda in caso di inadempimento degli obblighi informativi per effetto del richiamo all’art. 162, secondo e terzo comma l.f., non è ben chiaro in che modo vengano invece sanzionati altri comportamenti, quali quelli di rispetto solo formalistico di questi obblighi, o di dispersione del patrimonio etc. Soluzione ragionevole è che il Tribunale abbia, in ogni caso, la possibilità di convocare il debitore in camera di consiglio e disporre l’abbreviazione dei termini o, nei casi in cui l’inadempimento sia più eclatante, dichiarare la sopravvenuta inammissibilità della domanda.
Queste criticità legittimano a pensare che l’imposizione di tali obblighi informativi avverrà solo in presenza di concordati di grande rilievo, o quando siano state presentate richieste particolari (di amministrazione straordinaria, di finanziamento ecc.), e in particolar modo quando si tratta di concordati con continuità. Negli altri casi, il Tribunale eviterà di imporre eccessivi obblighi informativi. In ogni caso, quando vengano imposti obblighi informativi, questi devono essere redatti nella forma di brevi atti descrittivi delle attività poste in essere, allegando documentazione di carattere riassuntivo delle stesse.
Sempre in riferimento agli obblighi informativi, in via generale si è rilevato come la previsione propria del sesto comma dell’art.161 l.f. “in realtà contempli una forma minimale di presentazione di domanda con riserva, ma non vieti di integrare la stessa con ulteriori indicazioni”. Si deve distinguere allora tra la vera e propria “domanda in bianco” (presentata con il contenuto minimo richiesto dalla norma) e la domanda di concordato con riserva arricchita da ulteriori informazioni riguardo al successivo piano da presentarsi. In altre parole, al di là degli obblighi informativi imposti di volta in volta dal giudice, possono individuarsi ulteriori doveri informativi che debbono corredare la domanda quando questa richieda un quid pluris rispetto alla semplice richiesta della concessione dei termini di legge (ad esempio la richiesta di un termine superiore a quello minimo di 60 giorni o la richiesta di proroga devono essere supportate da un’adeguata motivazione e dalle necessarie relative informazioni; la richiesta di autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione deve necessariamente prevedere almeno una sommaria descrizione del piano e della proposta, oltre a tutte le indicazioni utili a valutare se l’atto da compiersi sia effettivamente urgente e di straordinaria amministrazione (si v. anche, supra, sub par. 4).
- Quali sono le alternative che il debitore proponente può avanzare entro i termini disposti dal Tribunale? Quali gli effetti del passaggio tra concordato in bianco e 182-bis?
L’istituto del concordato in bianco, tramite la produzione degli effetti protettivi descritti, oltre ad evitare l’aggressione da parte dei creditori, permette al debitore di ottenere il tempo necessario per valutare e predisporre le possibili strade alternative per far fronte alla crisi della propria attività d’impresa.
Entro lo scadere dei termini fissati dal Tribunale, il debitore è tenuto a presentare il piano di concordato definitivo con la necessaria documentazione ai sensi dell’art. 161, secondo e terzo comma l.f.: un’aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria (secondo comma, lettera a); lo stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori (secondo comma, lettera b); l’elenco dei titolari dei diritti su beni di proprietà o in possesso del debitore (secondo comma, lettera c); e soprattutto il piano concordatario definitivo, contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta (secondo comma, lettera e); infine, il piano e la documentazione appena esposti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista che attesti la veridicità e la fattibilità del piano stesso (terzo comma).
Alternativamente, il debitore può depositare domanda per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, ai sensi dell’art. 182-bis, primo comma l.f.. In tal caso, quando venga scelta questa strada alternativa, l’effetto protettivo che scaturisce dalla pubblicazione della domanda di concordato perdura fino all’omologa dell’ accordo di ristrutturazione dei debiti. Secondo il disposto normativo dunque, presentato un accordo di ristrutturazione entro i termini assegnati dal Tribunale ex art. 161, sesto comma l.f., gli effetti prodotti dal ricorso per concordato con riserva dovrebbero conservarsi fino all’omologazione dell’accordo di ristrutturazione. Ciò comporta che il debitore che presenti prima il ricorso per pre-concordato, convertendo poi la domanda in accordo di ristrutturazione dei debiti, ottenga una protezione dalle azioni esecutive sino all’omologazione dell’accordo (e non solo per i sessanta giorni successivi alla pubblicazione dell’accordo presso il registro delle imprese).
In realtà, approfondendo criticamente l’analisi del dato normativo, un’automatica conservazione di tutti gli effetti del concordato con riserva nel susseguente accordo di ristrutturazione non appare del tutto corretta. Tale interpretazione “non è in alcun modo condivisibile perché negli accordi non si possono trascinare effetti che l’art. 182-bis l.f. non prevede affatto”. Gli effetti propri del concordato, dettati dall’art. 168 l.f., non riprodotti nell’art. 182-bis l.f. per gli accordi di ristrutturazione, devono per forza di cose venir meno quando il debitore scelga tale strada.
Vi sono evidenti criticità nella definizione di quali siano gli effetti del passaggio da una procedura di concordato con riserva alla successiva presentazione di accordi di ristrutturazione. Tra le questioni rilevate in un interessante contributo dottrinale si possono evidenziare in particolare le seguenti:
1) qual è la sorte dei contratti pendenti che sono stati sciolti durante il pre-concordato: rimangono sciolti o riacquistano efficacia?
2) gli interessi sui crediti sospesi nel pre-concordato riprendono a decorrere? da quando?
3) gli atti e i negozi inopponibili ai creditori del concordato divengono opponibili e riacquistano efficacia negli accordi oppure sono definitivamente persi?
4) le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni anteriori alla domanda di pre-concordato ritornano efficaci? 5) gli atti di straordinaria amministrazione compiuti illegittimamente durante il pre-concordato diventano efficaci con il passaggio agli accordi?
Per dare una risposta alle problematiche ed alle contraddizioni che di volta in volta emergono dal passaggio dall’una all’altra procedura, evitando una rigida soluzione unitaria, bisogna preferire una ratio interpretativa che legga i due istituti in modo sistematico, escludendo la legittimità degli abusi nella proposizione della domanda di concordato con riserva, posti in essere al solo fine di comprimere o aggirare diritti dei terzi tramite modalità a cui non si sarebbe potuto far ricorso se il debitore avesse fin dall’inizio presentato domanda per un accordo di ristrutturazione (o una domanda di pre-accordo ex art. 182-bis sesto comma l.f.)
- Vi sono dei limiti al compimento di atti di gestione da parte del debitore che abbia proposto la domanda di concordato in bianco? In cosa consistono e quanto durano?
Nel lasso di tempo intercorrente tra il deposito della domanda e il decreto di ammissione il debitore può compiere atti di ordinaria amministrazione. Egli inoltre può compiere gli atti di straordinaria amministrazione che presentino il carattere dell’urgenza e comunque previa autorizzazione del Tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni. A tal riguardo, in ipotesi di particolare complessità delle istanze, il Tribunale può nominare degli ausiliari che lo assistano sotto il profilo tecnico e che predispongano una relazione di risposta alle richieste presentate.
La dottrina, propendendo per una lettura restrittiva della disposizione, ha sottolineato il requisito dell’urgenza che deve connotare l’atto di straordinaria amministrazione di cui si richiede l’autorizzazione. Questo deve dunque essere qualificato, oltre che per la sua utilità ai fini della gestione d’impresa, anche dall’urgenza: non tutti gli atti di straordinaria amministrazione sono autorizzabili durante il periodo di preconcordato, ma solamente quelli caratterizzati da urgenza (in questo modo si spiega la non necessità di premunirsi delle relazioni attestative dell’esperto, come invece disposto dall’art. 182-quinquies l.f. per l’autorizzazione ai finanziamenti e ai pagamenti di creditori anteriori per prestazioni essenziali).
Anche in tema di concordato con riserva, la giurisprudenza ha già avuto modo di pronunciarsi sulla (non sempre chiara) distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.
I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal periodo che precede la scadenza del termine sono prededucibili ai sensi dell’art. 111 l.f. La prededucibilità è limitata esclusivamente ai debiti sorti in conseguenza di atti legalmente gli atti di straordinaria amministrazione non autorizzati o gli atti intesi di ordinaria amministrazione ma effettivamente di straordinaria amministrazione non danno vita a crediti prededucibili e dunque ricadono sotto la responsabilità personale del debitore, oltre al fatto di comportare l’applicazione dell’art. 162 l.f. In proposito, si è fatto notare come il regime della prededuzione presuppounga una doppia verifica: (i) i debiti in questione devono essere sorti base di atti di gestione legalmente compiuti, nel rispetto del piano o della proposta e delle necessarie autorizzazioni; (ii) i debiti, essendo sorti nel periodo intercorrente fra la domanda e l’ammissione (dunque al di fuori di una procedura concorsuale), meritano il trattamento prededucibile solo quando via sia un nesso di funzionalità con la procedura stessa.
- Quali sono gli effetti del concordato in bianco sui contratti pendenti al momento della presentazione della domanda?
L’art. 169-bis l.f., dettato per regolare il concordato “in continuità”, introduce la possibilità di sciogliere i contratti in corso alla data del deposito della domanda di concordato. Su richiesta del debitore inoltre può essere autorizzata la sospensione del contratto (per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta). Con la presentazione del ricorso, il debitore può dunque chiedere al Tribunale (o al giudice delegato dopo il decreto di ammissione) l’autorizzazione allo scioglimento o alla sospensione dei contratti in corso di esecuzione. Espressa eccezione a tale regola è prevista dall’ultimo comma dell’art. 169-bis l.f., secondo cui lo scioglimento e la sospensione non sono applicabili ai rapporti di lavoro subordinato, né ai contratti di cui agli artt. 72, ottavo comma, 72-ter e 80, primo comma l.f. (ossia al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c. avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente, ai finanziamenti destinati ad uno specifico affare e al contratto di locazione di immobili). Il secondo comma dell’art.169-bis l.f. precisa poi che il contraente ha diritto a un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. Tale credito risarcitorio è soddisfatto come credito anteriore al concordato (comprensivo sia di danno emergente sia di lucro cessante).
È invero dibattuta l’applicabilità della norma in questione al concordato in bianco. Sul tema, le linee guida del Tribunale di Milano fanno notare come probabilmente il legislatore non volesse estendere tale possibilità anche all’istituto del concordato con riserva, ma la formulazione normativa utilizzata dall’art. 169-bis l.f. (che fa riferimento al ricorso di cu l’art.161 l.f. in generale e non specificamente al concordato preventivo) porterebbe alla conclusione per cui tale norma si applicherebbe anche al pre-concordato, visto che anch’esso si presenta tramite ricorso. Data l’assoluta indifferenza terminologica tra il ricorso per concordato definitivo e quello per concordato con riserva, si ritiene quindi che tale richiesta possa essere proposta anche tramite la presentazione della domanda di concordato in bianco. Il disposto dell’art. 169-bis l.f. legittimerebbe l’istanza di sospensione o di scioglimento dei contratti senza porre distinzione alcuna tra la domanda in bianco o meno. Inoltre, il favor del legislatore verso le soluzioni negoziali della crisi di impresa comporterebbe a fortiori l’applicazione dello scioglimento e della sospensione dei contratti quando venga presentata richiesta tramite la domanda di concordato in bianco. Queste misure risulterebbero difatti funzionali all’elaborazione del piano definitivo entro il termine assegnato.
Diversamente, parte della dottrina è critica rispetto all’automatica applicazione dell’art. 169- bis l.f. anche al concordato in bianco. Secondo tali autori l’incompatibilità tra l’art. 161, sesto comma, l.f. e l’art. 169-bis l.f. è evidente se si considera come lo scioglimento del contratto debba per forza di cose costituire parte integrante del piano definitivo contenuto nella proposta concordataria. Tale piano completo deve essere attestato dal professionista e valutato esclusivamente nella sua interezza dal Tribunale adito per l’autorizzazione. Sarebbe difatti assurdo decidere “al buio”, o comunque sulla base di piani sommari e in ogni caso non definitivi, ai fini dell’autorizzazione di scioglimento, con effetti anche altamente pregiudizievoli per i terzi contraenti.
Interpretazione forse preferibile è allora quella secondo cui, di norma, al ricorrente molto difficilmente verrà accordata l’autorizzazione allo scioglimento dei contratti pendenti prima del deposito del piano e della proposta completa. Deve ritenersi che il ricorrente non possa chiedere lo scioglimento dei contratti pendenti con la ragionevole prospettiva di ottenere l’autorizzazione prima del deposito di piano e proposta definitivi. In ogni caso, il Tribunale dovrà garantire l’integrazione del contraddittorio con i terzi contraenti in bonis.
Sul tema in giurisprudenza si riscontrano atteggiamenti contrastanti, più o meno restrittivi: secondo una pronuncia, a seguito di una richiesta di concordato con riserva il Tribunale potrebbe disporre solamente della sospensione dei contratti in corso di esecuzione, ma non del loro scioglimento; diversamente, secondo un’altra decisione, tramite il ricorso per concordato in bianco il debitore potrebbe richiedere sia la sospensione sia lo scioglimento dei contratti.
Qualora il debitore voglia lo scioglimento o la sospensione di un certo contratto egli sarà tenuto a includere, all’interno della domanda, una descrizione generale dello stesso e la sua incidenza effettiva sullo svolgimento della gestione dell’impresa, nonché il presumibile costo da indennizzare al contraente in bonis (in caso di scioglimento). Come è stato affermato in giurisprudenza, la ratio della sospensione o dello scioglimento dei contratti in corso di comporta implicitamente la necessità della presenza e della disponibilità dei piani e della già nella domanda di concordato in bianco. In una recente sentenza è stato poi affermato la richiesta di scioglimento deve essere specificamente motivata in quanto lo scioglimento può essere disposto sulla base di una domanda di concordato in bianco che non permetta di conoscere almeno le linee generali del piano, la possibilità di soddisfacimento dei creditori e di fatto non permetta di determinare se gli effetti conseguenti allo scioglimento siano alla realizzazione del piano stesso.
Infine, secondo le linee guida del Tribunale di Milano, l’eventuale proroga del termine di sospensione potrà aversi solo quando vi sia continuità tra i due periodi di sospensione richiesti, dovendosi escludere una prosecuzione del contratto tra il primo termine di sospensione e la successiva proroga. Concordemente, quando il contratto sia proseguito dopo la sua sospensione non potrà più essere sospeso (ma solo eventualmente sciolto).
- Anche nella domanda di concordato in bianco possono essere ravvisati gli estremi dell’abuso del diritto?
Il rischio di un uso distorsivo del concordato in bianco, vista la particolarità dell’istituto e la delicatezza delle esigenze che ne sono a fondamento, oltre alla rilevanza assunta a causa del suo cospicuo utilizzo nella prassi, ha portato i tribunali ad assumere un atteggiamento attento e intransigente nei confronti degli utilizzi indebiti di tale strumento. Il tema dell’abuso del diritto si ricollega direttamente alle più recenti pronunce in tema di concordato da parte della Corte di Cassazione, dove, riconosciuta la necessità di bilanciare gli interessi del debitore con quelli sottostanti la procedura fallimentare, si è riconosciuto al Tribunale il potere di compiere una valutazione “in relazione alle peculiarità del caso concreto, (del) rapporto di priorità tra le procedure previo l’indefettibile apprezzamento circa l’intento sottostante la soluzione pattizia che deve essere esclusa laddove, esprimendo un proposito meramente dilatorio, manifesti un abuso del diritto del debitore, anche alla luce dell’affrancamento di quest’ultimo del requisito della meritevolezza”.
L’abuso del diritto, concetto giuridico di portata generale, come definito nella giurisprudenza dalla Suprema Corte, trova quindi applicazione nei confronti di tutte le tipologie di concordato, compreso quello con riserva. L’abuso del diritto dovrà ravvisarsi anche nel concordato con riserva, quando gli strumenti predisposti dal legislatore siano utilizzati in maniera distorsiva, in danno ai creditori e con l’intento di prolungare indebitamente la durata del procedimento e gli effetti protettivi connessi.
In particolare, la giurisprudenza di merito ha già avuto modo di esprimersi richiamando il concetto di abuso in riferimento ad un uso improprio della domanda di concordato con riserva. Nel caso di specie, il Tribunale ha constatato la presenza di un abuso del diritto quando, dopo che era stata già presentata una domanda di concordato preventivo dichiarata inammissibile, il debitore, anziché modificare tale domanda, vi aveva del tutto rinunciato, presentando invece una nuova domanda di concordato con riserva (calcolando attentamente i tempi necessari per la continuazione senza soluzione di continuità degli effetti protettivi). Tramite la proposizione della nuova domanda il debitore, evitando le integrazioni richieste dal dal Tribunale in merito ai motivi che avevano portato all’inammissibilità della prima domanda, si domanda, si sarebbe indebitamente garantito la protezione offerta dalla seconda, con conseguente pregiudizio dei creditori sociali e con un evidente utilizzo abusivo delle procedure. procedure.
Matteo L. Vitali – Filippo Caprotti
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(Douglas Adams)
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