1. Inquadramento del problema.
Il presente contributo ha ad oggetto alcune riflessioni in merito al discusso tema del controllo svolto dal giudice sulla proposta di concordato preventivo, in quanto argomento rilevante per lo studio della relativa disciplina e per l’individuazione delle sue specifiche funzioni (2).
Il punto centrale della questione riguarda, in particolare, il potere riconosciuto al tribunale sia sotto il profilo della sua ampiezza, sia per quanto attiene alla possibilità che – all’interno della disciplina del concordato preventivo – tale potere sia “variabile” a seconda della fase della procedura, di volta in volta, presa in considerazione.
Con riguardo al primo aspetto, si tratta di comprendere se al tribunale sia consentito entrare nel “merito” della proposta formulata dal debitore una volta che sia intervenuta la relazione dell’attestatore; tale quesito discende, in particolare, dal rapporto tra gli articoli 161 e 162 legge fall. Quest’ultima disposizione – come noto – attribuisce al tribunale, all’esito del procedimento, il potere di verificare se ricorrano i presupposti di cui all’art. 160, commi 1 e 2 e 161 legge fall. al fine di dichiarare eventualmente inammissibile la proposta di concordato. L’art.
161 legge fall., invece, al comma 3, prevede che il piano concordatario debba essere accompagnato dalla relazione di un professionista, designato dal debitore e in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo e che, in caso di modifiche sostanziali che riguardino la proposta o il piano, tale relazione debba essere nuovamente presentata (3).
In astratto, può ritenersi che siano tre le soluzioni interpretative percorribili in relazione all’estensione dei poteri del tribunale. La prima consiste nel ritenere che esso abbia il potere di verificare la realizzabilità del piano: il che comporta, ovviamente, un esame di dettaglio dello stesso e presuppone, a sua volta, un’analisi della veridicità dei dati aziendali; la seconda soluzione consiste nel ritenere che il Tribunale sia legittimato a controllare la sola logicità del percorso argomentativo utilizzato dall’attestatore nella sua relazione, dando per “scontata”, dunque, la veridicità dei dati posti a base dell’analisi da quest’ultimo effettuata; ci si potrebbe, infine, limitare a ritenere che il tribunale debba circoscrivere il proprio controllo alla compatibilità tra la relazione e le prescrizioni di legge. Non v’è dubbio, invece, che sia preclusa la possibilità di riconoscere al giudice il potere valutare la concreta convenienza, da un punto di vista meramente economico, della proposta concordataria. Ciò in quanto, in generale, è compito dei creditori esprimere – tramite il voto – il loro apprezzamento alla proposta formulata dal debitore. Tra l’altro, conferma tale convincimento lo stesso dato sistematico, posto che, quando il legislatore ha voluto al “merito” il controllo del tribunale, lo ha fatto in modo esplicito (considerando pertanto circostanza “eccezionale”) e in occasioni peculiari come quelle in cui – nell’ambito di un bilanciamento degli interessi – si è ritenuto che il giudizio dei soli creditori non sia più e debba “cedere il passo” a valutazioni più articolate rispetto a quella – pur presente – di propriamente economica: è il caso, questo, della valutazione “comparativa” formulata dal tribunale in occasione dell’applicazione del meccanismo del «cram down» (art. 180, legge fall.).
Quanto al secondo profilo, riguardante la determinazione del potere del tribunale rispetto al momento in cui si registra il suo intervento, ci si chiede se tale potere sia sempre uguale nel corso di tutta la procedura di concordato o sia, piuttosto, variabile nel suo contenuto, mutando pertanto estensione a seconda che esso venga esercitato nella fase di ammissibilità della proposta concordataria, della sua omologazione o della revoca del concordato. Ed invero, all’interno della disciplina del concordato preventivo, la questione della definizione del perimetro del potere del tribunale si ripropone in più occasioni e, in particolare, oltre che nella fase di ammissibilità della proposta, anche in quella di omologa (rispetto alla quale il novellato art. 180, sancisce che il tribunale provvede in tale senso una volta «verificata la regolarità della procedura», sembrando circoscriverne il raggio di azione a un esame di legittimità) e in quella dell’esecuzione del concordato – rectius: della sua revoca – per l’ipotesi in cui il commissario giudiziale comunichi al tribunale che si sono verificate una serie di circostanze legate alla condotta del debitore e contrarie all’interesse dei creditori (comma 1) o nel caso in cui manchino – «in qualunque momento» – le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato medesimo (comma 3).
In ogni caso, una volta individuati i problemi, va tenuto presente – al fine di proporre qualche considerazione al riguardo – che essi traggono in buona misura origine dal cambiamento di prospettiva e di impostazione che l’ondata di riforme dell’impianto originario della legge fallimentare, in generale, e della disciplina del concordato preventivo, in particolare, ha comportato a partire dal 2005 (specialmente con riguardo al
d.l. 14 marzo 2005, n. 35 conv. in l. 14 maggio 2005, n. 80) con interventi sistematici nelle intenzioni ma rispetto ai quali si sono poi rese necessarie e opportune successive modifiche “ortopediche”.
Tra gli aspetti che in qualche modo hanno imposto una rivisitazione di tale prospettiva, vi è tra l’altro quello – che ha senz’altro influenzato gli orientamenti circa la valutabilità del piano concordatario da parte del tribunale – della misura con cui è stato dal legislatore accordato alle parti spazio per auto-determinarsi; tema, questo, che ha fatto parlare di “intreccio virtuoso” tra situazione di crisi e disciplina del contratto (4) ma che non ha sino ad ora consentito agli interpreti di giungere a una conclusione in merito all’ampiezza con cui l’autonomia contrattuale possa effettivamente superare la crisi e, inoltre, in merito alla natura del piano concordatario, quale strumento a ciò destinato.
2. La posizione di dottrina e giurisprudenza.
All’indomani delle modifiche apportate dal legislatore, con d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, alla disciplina del concordato preventivo – che originariamente contemplava un significativo spazio al ruolo del giudice in considerazione della possibilità di sindacare, in tutti i suoi aspetti, la proposta concordataria – la dottrina si è divisa circa la determinazione di tali poteri.
In sintesi, si può dire che gli autori abbiano seguito due strade principali. L’una diretta a riconoscere solamente un ruolo formale del giudice, limitato alla verifica della compatibilità con la disciplina. Secondo alcune opinioni, sempre ascrivibili a tale orientamento, il potere del giudice potrebbe riguardare anche la completezza e articolazione del piano nella misura in cui ciò risulti funzionale a consentire ai creditori di formarsi un’opinione fondata su di esso (5). Per altri, invece, controllo del giudice non potrebbe essere confinato in spazi così angusti, con la conseguenza che vi sarebbe spazio per controlli più penetranti che potrebbero spingersi sino a valutare la congruenza e la completezza del piano: in altri termini la sua fattibilità. É questa la tesi sostenuta anche da una parte della giurisprudenza di merito che è giunta a ritenere che il giudice possa valutare se, rispetto al caso concreto, le assunzioni alla base dell’attestazione e la formulazione delle conseguenze che conducano all’attestazione siano tra loro coerenti (6).
La situazione di incertezza registratasi in dottrina si riscontra anche nella giurisprudenza di legittimità che, in più occasioni, è intervenuta sul punto (7).
Con la sentenza n. 21860 del 2010, è stata inizialmente accolta la tesi per la quale al tribunale sarebbe precluso un controllo di merito sulla proposta e una valutazione circa la realizzabilità, dovendosi esso piuttosto limitare a un controllo di veridicità dei dati e di correttezza delle forme e dei criteri utilizzati per l’elaborazione del piano: in altri termini, al giudice sarebbe al più consentita una verifica di legittimità consistente nel valutare che il professionista abbia rispettato le disposizioni di legge relative al contenuto dell’asseverazione (8). La sentenza ha suscitato critiche da una parte della dottrina che non ha condiviso il ruolo che la Cassazione ha attribuito al professionista quale “certificatore” – attraverso la propria attestazione – della fattibilità del piano, quasi si trattasse di una garanzia in merito al suo contenuto rispetto alla quale il giudice possa fare esclusivo affidamento; piuttosto, l’attestazione andrebbe considerata un indizio più che una prova, posto che avrebbe il medesimo valore di un documento proveniente da un terzo (9).
Questo indirizzo è stato seguito da ulteriori pronunce della Suprema Corte (n. 14 febbraio 2011, n. 13817 e n. 13818 del 23 giugno 2011) le quali, tra l’altro, hanno che il legislatore non ha inteso conferire al tribunale la prerogativa di sindacare nel merito fattibilità del piano (10).
Una “voce fuori dal coro” è rappresentata, invece, dalla sentenza n. 18864 del 15 settembre 2011, con cui – relativamente alla fase di omologa del concordato – si è controllo del tribunale sulla proposta non dovrebbe riguardare solo il rispetto formale dei requisiti e la veridicità dei dati, ma anche la legittimità sostanziale della proposta stessa Secondo l’insegnamento della Corte, infatti, il concordato preventivo, pur non potendo prescindere dall’accordo tra le parti, non è comunque riconducibile «sic et simpliciter formazione di un ordinario contratto di diritto privato» (12), coinvolgendo interessi più natura pubblicistica che permarrebbero anche nella fase del voto con l’eventuale della proposta da parte della maggioranza.
Secondo tale orientamento, tra l’altro, il sindacato del giudice si tradurrebbe in duplice controllo – formale e sostanziale – circa la ragionevole previsione di realizzabilità piano con la precisazione che la sua estensione non sarebbe uguale in tutte le fasi del Mentre, infatti, nella fase iniziale di ammissibilità della proposta, il sindacato assume «la prima verifica, limitata alla non manifesta infondatezza della proposta, con riferimento ai presupposti di veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano» (13), non potendo il tribunale avvalersi in questa fase del contributo del commissario giudiziale, il potere del giudice si potenzia nelle successive fasi del procedimento e, in particolare, in occasione dell’omologa o dell’eventuale esercizio dei poteri di revoca ex art. 173 legge fall.
G. BOZZA, cit.cui “una volta riscontrata la presenza in atti e la sua redazione secondo il contenuto minimo richiesto dalla norma, potrebbe il Tribunale, nella fase di esordio della procedura, sindacarne la intrinseca attendibilità». l’orientamento che attribuisce al giudice un sindacato sul merito della proposta, «non appare essendo in contrasto con il dettato normativo, dal quale si ricava che il legislatore ha inteso dare una netta natura contrattuale, privatistica del concordato, che dà rilievo decisivo al consenso dei creditori».
- In particolare, nella sentenza n. 13818, la Suprema Corte si è espressa in termini chiarissimi, sancendo dapprima che la «nuova legge fallimentare ha ridisegnato i ruoli degli organi preposti alle procedure concorsuali attribuendo al giudice il controllo della regolarità formale e sostanziale del procedimento finalizzato a consentire ai creditori di prendere le loro decisioni», e poi, quale diretta conseguenza di questa prima statuizione, che «il tribunale è privo del potere di valutare d’ufficio il merito della proposta, in quanto tale potere appartiene solo ai creditori così che solo in caso di dissidio tra i medesimi in ordine alla fattibilità, denunciabile attraverso l’opposizione all’omologazione, il tribunale, preposto per sua natura alla soluzione dei conflitti, può intervenire risolvendo il contrasto con una valutazione di merito in esito ad un giudizio, quale è quello di omologazione».
- Civ., 5 settembre 2011, n. 18864, in Fall., 2012, 36 e ss.
- Civ., 5 settembre 2011, n. 18864, cit.
- E. MAVIGLIA, cit., 23.
La Suprema Corte ha tuttavia fatto ben presto ritorno al primo degli orientamenti illustrati, ribadendo il fondamentale ruolo dei creditori, unici soggetti legittimati a sindacare sindacare discrezionalmente la fattibilità del piano. In questo modo, il riscontro del giudice è stato giudice è stato circoscritto alla forma e alla veridicità dei dati, «da cui resta assolutamente escluso il escluso il merito» (14). Tali principi sono poi stati ribaditi in altra pronuncia del Supremo Collegio, la Collegio, la quale ha argomentato l’attenuazione del ruolo e dei poteri del giudice – circoscritto a circoscritto a una mera verifica di legittimità – sulla base dello “spirito” delle nuove norme, che norme, che attribuirebbero prevalenza all’elemento privatistico e negoziale rispetto a quello quello pubblicistico che, almeno originariamente, caratterizzava l’impianto normativo.
3. I principi enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione.
Per quanto attiene al panorama giurisprudenziale, il più importante contributo sul tema in tema in esame è senza dubbio rappresentato da una recente pronuncia delle Sezioni Uniti della della Cassazione che – prendendo atto dell’ampio dibattito dottrinale e, in particolare, del contrasto tra la pronuncia del 15 settembre 2011, n. 18864 e 16 settembre 2011, n. 18987, che che avevano rimesso la questione alla sua attenzione (15) – si sono, infine, pronunciate sul punto il punto il 23 gennaio 2013 (16).
A questo riguardo, i Giudici di legittimità hanno statuito i seguenti principi di diritto (i) il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato rappresenta un dovere del giudice che non viene escluso per la circostanza che intervenga successivamente all’attestazione del professionista; (ii) i creditori sono i soggetti cui spetta la valutazione di merito sulla proposta concordataria contenuta nel piano che si risolve nelle probabilità di successo economico del piano e dei rischi inerenti; (iii) il controllo del giudice – che è solo di legittimità – si deve ispirare, in tutte le fasi del concordato preventivo (ammissibilità, revoca e omologazione), al medesimo parametro; (iv) la valutazione del giudice consiste nella verifica dell’effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato, ossia nel perseguimento dell’obiettivo specifico del procedimento che si risolve nel superamento della crisi dell’imprenditore, tenendo in ogni caso conto del fatto che – fermo tale obbiettivo – la modulazione della proposta concordataria è atipica e lasciata all’autonomia delle parti pur dovendo assicurare un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori.
I primi commenti alla pronuncia sono moderatamente entusiasti, in quanto si è senza dubbio notato uno sforzo, da parte delle Sezioni Unite, a concedere una significativa apertura rispetto ai principi negoziali che ispirano la disciplina del concordato (17), rilevando, al contempo, la portata generale, non comune, della pronuncia, verosimilmente destinata a operare, quale strumento di interpretazione, al di là dell’ipotesi del concordato che ha dato luogo alla rimessione alle Sezioni Unite (18). Non mancano tuttavia anche critiche mosse da chi – pur condividendo i termini generali della sentenza – ha rilevato un’ambiguità di fondo di alcuni passaggi del ragionamento, ritenuti pericolosi, in considerazione della loro possibile A questo riguardo, si è dell’avviso che i Giudici di legittimità abbiano formulato una pronuncia che si contraddistingue sia sotto il profilo dell’approfondimento e dell’articolazione del ragionamento sia per quanto attiene agli sforzi di inquadramento del concordato preventivo rispetto al quale il contributo delle Sezioni Unite è da ritenersi senz’altro significativo.
4. Il nuovo ruolo del concordato preventivo all’interno del sistema della legge fallimentare.
Le Sezioni Unite hanno innanzitutto individuato l’oggetto della questione sottoposta al loro esame consistente nella necessità di definire il perimetro di intervento assegnato al giudice, al fine di stabilire se sia stato o meno soddisfatto il requisito di fattibilità del piano: ciò in considerazione del problematico rapporto tra la disposizione contenuta nell’art. 161, comma 3, legge fall. in merito al ruolo dell’attestatore con il compito di verificare la veridicità dei dati rappresentati dall’imprenditore e di esprimere una valutazione in ordine alla fattibilità del piano e la norma di cui all’art. 162 legge fall. che prescrive al tribunale di dichiarare il concordato inammissibile, in carenza dei presupposti di cui all’art. 160, commi 1 e 2 e art. 161, inclusi, per l’appunto, quelli concernPenetri qlauevsatloutmazoiotinveo,diellrpagroiofnesasmioenitsotad. ella Suprema Corte – a mio avviso lineare in questo punto – ha preso avvio dall’inquadramento dell’istituto del concordato preventivo ed è stato poi costantemente condotto tenendo presente le finalità della procedura di concordato preventivo. A questo proposito, è degno di nota rilevare come non venga mai perso di vista il fatto che il sindacato del giudice, circa la fattibilità del piano concordatario, sia indirizzato al superamento della crisi (20). Questa modalità di impostare il ragionamento, infatti, influenza in misura significativa le conclusione cui le Sezioni Unite sono giunte nella definizione dell’area di controllo del giudice. La Corte di Cassazione, cosciente della complessità del tema, è giunta a tale approdo prendendo in considerazione, innanzitutto, il dato normativo e tratteggiando la nuova fisionomia che il legislatore della riforma ha attribuito al concordato preventivo.
A questo proposito – dopo avere constatato che la precedente disciplina del concordato era ancorata a uno schema di natura pubblicistica in cui il giudice aveva un ruolo preciso, consistente nella verifica di determinati profili della proposta concordataria (esistenza di un vantaggio economico per i creditori; prospettiva ragionevole del pagamento del 40% dei debiti e meritevolezza dell’imprenditore con riguardo all’assenza di colpa nell’emersione del dissesto) – la Suprema Corte ha dato atto del cambiamento dell’inquadramento dell’istituto, in forza dell’introduzione di misure idonee a snellire le procedure esistenti e a rafforzare, in maniera vigorosa, il ruolo propositivo e decisionale delle parti.
Queste considerazioni sono perlopiù da ricondurre all’analisi dell’art. 160 l. fall., in occasione della quale la Corte ha ritenuto di ritrovare la conferma del principio di libertà di forma e di contenuto conferita all’imprenditore per la formulazione della sua proposta, limitata solo ed esclusivamente dalla necessaria presenza di tre elementi, ossia:
(i) la presenza di una domanda di accesso alla procedura, (ii) la sussistenza di una proposta rivolta ai creditori (contenuta all’interno della domanda stessa), (iii) la prospettazione di un piano accompagnato dalla relazione di un professionista che «attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo» (cfr. art. 160, comma 3 l. fall.).
L’analisi della Suprema Corte, tuttavia, prosegue con considerazioni di più ampio respiro respiro circa la compresenza, nel concordato preventivo, di “due anime” (21). Si è quindi giunti a giunti a constatare che, se da una parte, gli interventi riformatori hanno finito per ampliare gli ampliare gli aspetti negoziali della procedura concorsuale (che presuppone per l’appunto un un accordo tra le parti), dall’altra parte, essi hanno anche confermato la permanenze di innegabili innegabili risvolti pubblicistici. Questi ultimi, infatti, non solo vengono confermati per la sola sola circostanza che la procedura concordataria si inserisce in un quadro normativo – quello della legge fallimentare – dotato indiscutibilmente di tale natura, ma altresì in quanto, con la disciplina concordataria – mediante la previsione di regole procedurali che scandiscono le varie fasi del concordato e che certamente non sono nella disponibilità del debitore – si è voluto offrire uno strumento di tutela anche per gli interessi di coloro che – pur non aderendo alla proposta – risultano in ogni caso esposti agli effetti della stessa.
In questo senso, dunque, non può giungersi frettolosamente a concludere che le Sezioni Uniti hanno definitivamente “marchiato” il concordato preventivo come una procedura di stampo privatistico.
Piuttosto, dall’esame della Suprema Corte, ne esce un istituto per così dire “ibrido” che, se da una parte esalta l’autonomia delle parti e, in particolare, del debitore, sotto il profilo del contenuto della proposta, dall’altra parte è pur sempre inserito in un insieme di regole di stampo pubblicistico le quali – come correttamente è stato notato (22) – non solo non vengono “espunte” dal sistema, ma acquistano una nuova fisionomia, finendo per incidere in misura significativa sul perimetro dei poteri del tribunale (23).
5. Fattibilità economica vs fattibilità giuridica del piano concordatario.
Alla luce di queste premesse, le Sezioni Unite hanno poi affrontato il tema cruciale per cui si è richiesto il loro intervento, ossia quello relativo al potere del giudice di sindacare la fattibilità del piano. Va rilevata, a questo proposito, l’attenzione con cui i giudici hanno voluto precisare – tenendo conto dell’ambiguità che si era sul punto registrata in precedenza – che questo aspetto non va confuso con la convenienza della proposta, essendo quest’ultima rimessa all’esclusiva valutazione negoziale dei creditori (24). Ne consegue che sarebbe preclusa, ad esempio, la possibilità di sindacare sulla misura di soddisfacimento percentuale offerta dal debitore ai creditori e che del piano sia garantita la realizzabilità: è richiesto, pertanto, che l’accordo raggiunto tra debitore e maggioranza dei creditori contenga veritiere e concrete prospettive di superamento della crisi.
A mio avviso, vale altresì la pena di mettere in luce come le Sezioni Unite si siano preoccupate di approfondire il concetto di “fattibilità” del piano: è stato infatti precisato che, per giungere a una compiuta formulazione di una valutazione della proposta, sotto tale profilo, sarebbe necessario un esame prognostico condotto ex ante «circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati».
L’originalità della pronuncia risiede anche nel prosieguo del proprio nell’introduzione di una distinzione fondamentale tra fattibilità giuridica ed economica: essa, contribuisce a meglio definire la nozione utilizzata dal legislatore nell’art. 161, comma 3, Con il primo aggettivo ci si riferirebbe, dunque, alla compatibilità delle modalità attuative piano con le norme inderogabili e con la concreta attuabilità dal punto di vista dei diritti in capo alle parti (25); con il secondo, invece, alla compatibilità delle modalità attuative finalità economiche perseguite, strumentali al superamento della crisi.
Tutto ciò è preliminare rispetto alla definizione del ruolo del giudice e dei suoi poteri. A tale risultato, infatti, le Sezioni Unite giungono “gradualmente”, considerando
(i) la funzione dell’attestazione del professionista; (ii) l’allocazione del rischio economico connesso con la proposta concordataria; e, infine, (iii) la causa del concordato.
Ed invero, sotto il primo profilo, le Sezioni Unite hanno constatato la rilevanza informativa dell’attestazione che, nel fornire dati, informazioni e valutazioni, elaborati “all’interno”, è diretta a fornire fondamentali elementi per la formazione di un giudizio sulla proposta; elementi che – se non vi fosse un professionista – sarebbe possibile ottenere solamente attraverso una consulenza tecnica disposta dal giudice (26).
Per questo motivo, quanto al secondo aspetto, sono i creditori – secondo le indicazioni della Suprema Corte – a essere i principali destinatari del rischio connesso con la fattibilità economica del piano: essi tuttavia, proprio in ragione della funzione dell’attestazione, devono essere messi nelle migliori condizioni possibili, sotto il profilo informativo, al fine di operare un giudizio prognostico completo circa il piano.
Per giungere, infine, a “ritagliare” il ruolo del giudice, le Sezioni Unite hanno cercato di individuare la causa concreta del procedimento di concordato; il che, in buona misura, contribuisce ad ampliare l’area dei poteri del giudice, non più confinati al solo ambito della legittimità.
A questo riguardo, i giudici sono giunti alla conclusione che – in considerazione delle modifiche intervenute sull’impianto originario della disciplina – essa si sostanzi nella regolazione della crisi e che tale causa si debba realizzare attraverso le indicazioni contenute nella proposta concordataria e sulla base del set informativo incluso nel piano e attestato dal professionista. La proposta e il piano sono dunque, per i creditori, strumenti indispensabili per giungere a esprimere, in modo consapevole, la propria (eventuale) adesione alla adesione alla proposta concordataria.
Il punto è stato criticato in dottrina, in quanto la distinzione tra causa astratta e causa causa concreta del concordato è stata ritenuta da alcuni idonea a “inquinare” i rapporti tra il ruolo il ruolo del giudice e quello dei creditori: da ciò si è fatta discendere l’opportunità – senz’altro senz’altro condivisibile – che il tribunale possa sindacare che la proposta, pur prevedendo il il soddisfacimento dei creditori, non ne consenta poi una soddisfazione in concreto (27). In questo In questo senso, alcuni si sono già pronunciati a favore di una rilettura in chiave “minimalista” “minimalista” della sentenza, ritenendo che il tribunale potrebbe sindacare la fattibilità nel caso in caso in cui la singola proposta preveda sì il soddisfacimento dei creditori, ma che poi, in concreto, concreto, nessun soddisfacimento sarebbe possibile (28).
Tuttavia, una simile interpretazione non pare plausibile poiché, sulla base del tenore letterale della pronuncia della Suprema Corte, il sindacato del giudice potrebbe ben oltrepassare la “soglia minimale”, qualora la causa concreta della procedura concorsuale lo richiedesse.
6. I margini di sindacabilità riconosciuti al giudice.
Il “cuore” della pronuncia è infine rappresentato dalle considerazioni svolte dalle Sezioni Unite in merito a quei profili di natura pubblicistica che caratterizzerebbero il concordato preventivo. Non si tratta – come qualcuno ha correttamente rilevato (29) – di un “ritorno al passato” circa l’inquadramento dell’istituto ma di considerazioni significativamente innovative e in buona misura strumentali allo svolgimento del ragionamento dei giudici di legittimità.
Tornando su un punto già affrontato in apertura, essi hanno infatti chiarito che il perimetro del potere riconosciuto al giudice di sindacare il piano sia determinato proprio dalla sussistenza di interessi – riconducibili a quelli dei creditori – che, da una parte, non sarebbero pienamente protetti qualora la procedura fosse esclusivamente affidata all’autonomia delle parti e che dall’altra parte, vengono compressi dallo stesso procedimento concordatario qualora, ad esempio, si assista alla formazione di «maggioranze ipoteticamente non condivise formatesi sul punto». Tale seconda tipologia di limitazioni, dovuta alla necessità di consentire all’imprenditore di uscire dallo stato di crisi, trova giustificazione – secondo quanto indicato dalle Sezioni Unite – solamente qualora ai creditori venga consentito di esprimere il proprio voto sulla base di tutti i dati a tale fine necessari e che la proposta concordataria consenta sia il superamento della crisi, sia il riconoscimento di una «sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti».
È da queste considerazioni che emerge, dunque, la “fisionomia” del potere di sindacato del tribunale, posto che al giudice viene riconosciuto il potere di valutare la fattibilità giuridica della stesso, ossia la sua compatibilità con le norme dell’ordinamento, ma in concreto, ossia tenendo conto del contenuto della proposta e delle finalità da essa perseguite. Con la conseguenza, ben tratteggiata nel ragionamento della Suprema Corte, che (i) i margini di intervento del giudice non sono identificabili a priori e in astratto, proprio in ragione della necessità di esaminare il contenuto della proposta; (ii) dovrà senz’altro ammettersi una valutazione in ordine al ragionamento seguito dal professionista sotto il triplice profilo sia argomentazioni svolte a sostegno della fattibilità sia delle motivazioni poste a sostegno stessa sia, infine, della coerenza delle conclusioni raggiunte (30); (iii) il fattore “tempo” – e particolare la durata della procedura – essendo determinante dei costi di gestione e quindi incidere sulla posizione dei creditori finisce per costituire un ulteriore elemento giudice deve prendere in considerazione, anche in ragione, tra l’altro, di ben chiari dati di positivo che – come nel caso dell’art. 181 legge fall. – sono diretti a contenere, nei limiti ragionevolezza i tempi di attuazione della proposta.
D’altra parte, da tale conclusione, discende che al sindacato del giudice sfuggono aspetti pratico-economici della proposta: in questo senso, non potrebbe essere oggetto di una sua valutazione la percentuale di soddisfazione dei creditori. Ben precisa, sul punto, la Suprema Corte, che tale ambito sfugge dalla valutazione della causa concreta del piano e della proposta concordataria e che tale conclusione trova conforto in una serie di precedenti giurisprudenziali che hanno rilevato come l’indicazione della percentuale – nell’ipotesi di cessione di beni – non sia in alcun modo vincolante, bastando, a questo riguardo, l’impegno del debitore a mettere a disposizione dei creditori beni liberi da vincoli che possano ostacolarne la liquidazione (31).
Sul punto, v’è tuttavia da chiedersi se, consentendo al giudice di valutare la logicità e la congruità delle valutazioni del professionista circa l’idoneità o meno della proposta, non possa finire per comportare una, seppur minima, apertura rispetto alla possibilità di procedere al sindacato della proposta di concordato anche in ordine alla fattibilità economica, e non solo, come invece esposto nelle conclusioni della pronuncia, alla fattibilità giuridica.
7. Considerazioni in merito all’uniformità dei parametri valutativi adottabili dal giudice (anche alla luce del recente «decreto sviluppo»)
Degne di nota sono altresì le valutazioni conclusive delle Sezioni Unite.
I Giudici di legittimità, infatti, si sono chiesti se i poteri del giudice dipendano dalle diverse fasi del procedimento concordatario (ammissibilità, revoca e omologazione del concordato), ovvero se il parametro valutativo debba essere sempre il medesimo.
Al quesito, è stata condivisibilmente data una risposta affermativa, fondata su una compiuta analisi del dato normativo. Essa, infatti, riposa sia sul rapporto tra gli articoli 162 e 163, da una parte, e l’art. 173 legge fall. dall’altra parte, alla luce della coincidenza del dato letterale e del rapporto tra queste norme e l’art. 180 – relativo al giudizio di omologazione –, il quale prevede che, qualora manchino opposizioni, il tribunale non debba compiere alcun tipo di accertamento. Piuttosto la regolarità della procedura (cfr. comma 3 dell’art. 180 legge fall.) dovrebbe essere accertata, in modo tale che sia possibile constatare che non siano venuti meno i presupposti in mancanza dei quali la procedura non si sarebbe neppure aperta.
- Ne consegue che, ad esempio, il giudice potrà censurare un piano da cui emerga che la sommatoria dei dati considerati deponga a favore di un giudizio opposto a quello formulato dal professionista. Ancora, sarebbe censurabile l’impossibilità giuridica di dare esecuzione a quanto previsto nel piano, come nel caso di cessione di beni di proprietà di terzi; ovvero la constatazione che la proposta non sia idonea – prima facie – a soddisfare i diversi crediti
- Sul punto, v. Cass. 13817/11,
In sintesi, il ruolo del giudice mantiene i medesimi contorni in tutte le fasi del procedimento, posto che, in ciascuna di esse, il suo compito è e resta comunque quello di verificare se il piano persegue la concreta causa del procedimento concordatario.
Con l’ottica di ampio respiro che caratterizza la pronuncia, le Sezioni Unite hanno poi svolto poi alcune considerazioni conclusive in merito all’impatto, sulla disciplina del concordato preventivo, dell’art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134. Come noto, infatti, tale intervento ha introdotto significative modificazioni all’impianto della legge fallimentare con il dichiarato scopo di favorire la continuità aziendale. A questo riguardo, sono stati introdotti nuovi istituti che, in buona parte, si innestano sulla procedura concordataria rappresentandone delle “variabili sul tema” che potrebbero comportare la rimodulazione del ruolo del tribunale.
Ci si riferisce, in particolare, alle nuove disposizioni che regolano il c.d. “concordato in bianco” (o con riserva) di cui all’art. 161, commi 6 e 7, legge fall. che legittima il debitore che abbia presentato una domanda “prenotativa” del concordato, chiedendo un termine al giudice per la proposizione della proposta e del piano, a compiere atti urgenti subordinatamente all’autorizzazione del tribunale che, in tale circostanza, può anche assumere informazioni. Anche ulteriori disposizioni, introdotte dalla novella – art. 169-bis legge fall.: autorizzazione del tribunale per sospendere o sciogliersi dai contratti in corso; art. 182-quinquies legge fall.: autorizzazione del tribunale, sulla base di un’attestazione di un professionista, a contrarre finanziamenti prededucibili e a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o di servizi – potrebbero fare pensare a un potenziamento del potere di sindacato del giudice.
Anche sotto tale profilo, tuttavia, le Sezioni Unite hanno confermato le conclusioni già raggiunte affermando che, anche rispetto a tali fattispecie, il potere di sindacato resta quello delineato con riguardo a (tutte le fasi della) procedura di concordato preventivo. Infatti, il ruolo del giudice non risulta inciso da tali norme: infatti, esse – se è pur vero che lo coinvolgono in modo significativo, mediante la richiesta di autorizzazioni per il compimento di determinati atti – si caratterizzano per una specifica funzione, consistente nella necessità di anticipare tempestivamente gli effetti del concordato (come nel caso del concordato “in bianco”), di tenere conto della modulazione di nuovi istituti (come per l’ipotesi di concordato “in continuità”) o di favorire la soluzione concordataria (come nel caso dell’erogazione di finanza-ponte per superare la crisi), con la conseguenza che i poteri del giudice non sarebbero potenziati ma giustificati in ragione dell’urgenza con la quale viene richiesto il suo intervento in funzione di terzo garante dei creditori.
D’altro canto, si trarrebbe conferma di ciò anche dall’esame del dato normativo, prendendo in considerazione le modifiche apportate all’art. 179 legge fall. Tale disposizione, infatti – al nuovo comma 2 – prevede ora che «quando il commissario giudiziario rileva, dopo l’approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza di cui all’articolo 180 per modificare il voto»: con ciò, pertanto, confermando che il tribunale non debba neppure essere destinatario di informativa riguardante le modifiche circa le condizioni (da intendersi “economiche”) relative alla fattibilità del piano.
8. Conclusioni
La questione dell’ampiezza del potere del giudice di sindacare la veridicità e fattibilità della proposta resta – anche dopo la pronuncia delle Sezioni Unite del 2013 – un tema molto delicato che, probabilmente, non troverà, neppure in questa occasione, una soluzione definitiva, tante sono le sfumature con cui esso può essere inteso.
Infatti, la stessa Cassazione, pur chiarendo quale debba essere l’orientamento da seguire, lo ha fatto mediante un ragionamento che, pur lineare, risulta complesso e nel quale non manca il ricorso a nozioni e concetti di carattere generale che ci si aspetta possano lasciare agli interpreti – in considerazione della loro “flessibilità” – un margine, eventualmente anche ampio, per rimodularne le conclusioni.
A questo riguardo, ad esempio, ci si potrebbe domandare se la valutazione circa la fattibilità del piano non possa, in qualche caso, tradursi in un giudizio del tribunale più caratterizzato da “derive” di natura economica: ciò in considerazione dei labili confini che
– all’interno di un piano e della attestazione – possono tracciarsi tra congruità giuridica e opportunità economica, posto che tali profili risultano spesso tra loro intrecciati e non facilmente identificabili nella loro individualità.
Pare, in ogni caso, doversi condividere l’opinione della dottrina che ha sottolineato come – anche in questo caso – il ruolo dell’autorità giudiziaria non possa essere delineato senza tenere conto delle finalità cui è diretto l’istituto del concordato, rispetto al quale prevale senz’altro quella causa concreta di superamento della crisi e di risanamento assente nella procedura fallimentare e che deve orientare gli interpreti nell’applicazione delle relative norme (32).
Matteo L. Vitali
Sul punto, V. CALANDRA BU
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