1. Premessa
Il Parlamento Europeo, con Risoluzione del 17 novembre 2011, aveva rilevato che le disparità tra le legislazioni nazionali in materia di insolvenza avrebbero potuto pregiudicare il buon esito delle operazioni di ristrutturazione delle imprese insolventi, favorendo peraltro il deprecabile fenomeno del c.d. forum shopping. Sotto altro profilo, il Parlamento Europeo, con il medesimo provvedimento, pur avendo preso atto dell’impossibilità di pervenire a un diritto sostanziale comune a tutti gli Stati membri in materia di insolvenza, aveva riscontrato l’esistenza di aree del diritto della crisi d’impresa in cui l’armonizzazione si sarebbe rivelata molto utile e di attuazione relativamente agevole.
Pertanto, il Parlamento Europeo aveva richiesto alla Commissione Europea di formulare una o più proposte legislative in materia fallimentare.
La Commissione Europea, dal canto suo, ha risposto a questa Risoluzione con due importanti iniziative: la prima consistente nella revisione del Regolamento CE n. 1346/2000 (riguardante il regime applicabile alle c.d. insolvenze transfrontaliere) e la seconda rappresentata dalla Raccomandazione del 12 marzo 2014 qui in esame.
Al riguardo, pare appena il caso di osservare che numerosi elementi contenuti nella Raccomandazione sono rinvenibili – in quanto già previsti – all’interno della legge fallimentare italiana e, in particolare, nel complesso di regole applicabili al concordato preventivo, oggetto in questi ultimi anni di interventi radicali e “ortopedici” del legislatore che ne hanno sensibilmente innovato la disciplina.
2. Ambito di applicazione e obiettivi
Occorre preliminarmente chiarire che la Raccomandazione qui analizzata non si applica alle imprese assicuratrici, agli enti creditizi, alle imprese di investimento e, più in generale, agli altri istituti finanziari soggetti a regimi speciali di risanamento e risoluzione delle crisi in cui le autorità di vigilanza nazionali godono di ampi poteri di intervento. Resta invece salva la facoltà dei legislatori nazionali di estendere l’applicazione dei principi espressi nella Raccomandazione anche nei confronti dei consumatori, benché essi non ne risultino esplicitamente i destinatari.
Con riferimento alle finalità perseguite, invece, il provvedimento adottato dalla Commissione Europea intende anzitutto favorire la ristrutturazione “precoce” delle imprese che si trovino ad affrontare una situazione di momentanea difficoltà finanziaria, in modo tale da impedirne l’insolvenza e scongiurare gli effetti negativi che da tale circostanza derivano, non solo per il debitore ma anche per i creditori e, più in generale, per il sistema economico-produttivo.
La Raccomandazione in esame mira altresì a favorire la c.d. “fresh start”, ossia «il reinserimento nel contesto economico degli imprenditori già assoggettati a procedura», sulla scia di alcuni dati statistici dell’Unione Europea i quali dimostrano che, tra gli imprenditori attualmente operanti con successo, il 18% aveva fallito il primo tentativo.
Secondo la Commissione Europea, tali obiettivi possono essere raggiunti unicamente mediante interventi ad hoc da parte dei legislatori nazionali che – in una prospettiva di armonizzazione fra i diversi ordinamenti degli Stati membri – siano finalizzati a «ridurre le divergenze e le inefficienze che ostacolano la ristrutturazione precoce di imprese sane in difficoltà finanziaria e la possibilità per gli imprenditori onesti di ottenere una seconda opportunità». A questo fine, il provvedimento in esame ha previsto «norme minime in materia di (a) quadri di ristrutturazione preventiva, e (b) liberazione dai debiti degli imprenditori falliti» alle quali gli Stati membri devono ispirarsi nell’attuazione della Raccomandazione.
3. Ristrutturazione preventiva
Per ciò che concerne più in particolare la ristrutturazione preventiva delle imprese in crisi, la Commissione Europea ha invitato gli Stati membri a predisporre un quadro normativo idoneo a consentire al debitore di accedere a misure e procedure di ristrutturazione «non appena sia evidente che sussiste probabilità di insolvenza», senza tuttavia che tale iniziativa comporti per il debitore in crisi una perdita del controllo diretto della gestione dell’impresa.
La Commissione Europea auspica altresì che la procedura di ristrutturazione sia strutturata in modo tale da svolgersi in tempi rapidi e con costi contenuti, limitando il ricorso al giudice nei soli casi in cui risulti effettivamente necessario e funzionale a una miglior tutela dei diritti dei creditori e dei terzi.
3.1. Sospensione delle azioni esecutive individuali e della procedura di insolvenza
La Commissione ha precisato che l’inizio delle operazioni di ristrutturazione dell’impresa in crisi non deve impedire al debitore di richiedere la sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali proposte nei suoi confronti dai creditori, quand’anche questi ultimi siano titolari di un privilegio o di una garanzia. Peraltro, secondo le indicazioni della Commissione, in tale periodo di sospensione dovrebbero essere altresì sospesi sia l’obbligo per il debitore di presentare istanza per il proprio fallimento, sia la facoltà per i creditori di richiedere l’apertura della procedura di insolvenza nei confronti del debitore.
Tuttavia, allo scopo di garantire un giusto equilibrio tra gli interessi del debitore e quelli dei creditori, la durata della sospensione dovrebbe essere stabilita in funzione della complessità delle operazioni di ristrutturazione previste e, in ogni caso, non dovrebbe essere superiore a quattro mesi.
Appare evidente che le previsioni normative appena menzionate si fondino sul convincimento che il risanamento delle imprese in crisi sia un valore da tutelare e, per tale ragione, la Commissione ha inteso evitare che il buon esito delle operazioni di ristrutturazione e i benefici che ne conseguono possano essere compromessi dall’esercizio di azioni individuali da parte dei singoli creditori.
3.2. I nuovi finanziamenti
La Raccomandazione in esame, a conferma del favor delle istituzioni europee verso la prevenzione dell’insolvenza e il recupero delle imprese in crisi, ha previsto che i finanziamenti concessi per l’attuazione del piano di ristrutturazione non debbano poter essere «dichiarati nulli, annullabili o inopponibili in quanto atti pregiudizievoli per la massa dei creditori», in modo tale da incentivare il sostegno finanziario alle imprese in difficoltà. La Raccomandazione ha inoltre chiarito che i soggetti che concedono i nuovi finanziamenti, previsti nel piano di ristrutturazione omologato dal giudice, dovrebbero essere esonerati da qualsiasi responsabilità (civile o penale) connessa al processo di ristrutturazione.
Si tratta per la verità di «regole minime» che però appaiono perfettamente coerenti con lo spirito e la ratio complessiva del provvedimento.
3.3. Il piano di ristrutturazione: contenuto e caratteristiche
Il provvedimento analizzato in questa sede è intervenuto, in primo luogo, sul contenuto minimo del piano di ristrutturazione, precisando che esso dovrebbe contenere una descrizione dettagliata i) dei creditori interessati dal piano; ii) degli effetti della ristrutturazione proposta su singoli crediti o categorie di crediti; iii) della posizione dei creditori riguardo al piano di ristrutturazione; iv) delle condizioni per (eventuali) nuovi finanziamenti; nonché v) dell’idoneità del piano a impedire l’insolvenza del debitore e a garantire la redditività futura dell’impresa.
Quanto alla struttura, la Raccomandazione in esame ha precisato che il piano può contemplare la suddivisione dei creditori in classi, purché a ciascuna classe appartengano creditori portatori di interessi omogenei. Da questo punto di vista, un utile elemento discretivo è sicuramente rappresentato dalla circostanza che i creditori siano o meno titolari di una garanzia.
Peraltro, più in generale, la Commissione Europea ha voluto garantire ai creditori interessati dalla procedura di ristrutturazione il massimo grado di coinvolgimento, invitando i legislatori dei singoli Stati membri a prevedere modalità di partecipazione al voto con mezzi di comunicazione a distanza.
3.4. Modalità di attuazione del piano, omologazione ed effetti
Allo scopo di semplificare le modalità di accesso alle procedure di ristrutturazione dell’impresa in crisi, il provvedimento in esame ha previsto che il debitore debba essere posto in condizione di avviare il processo di risanamento «senza dover iniziare ufficialmente un’azione in giudizio».
Si colloca lungo la stessa linea di intervento la previsione in virtù della quale il giudice non è obbligatoriamente tenuto a nominare un «mediatore o supervisore», dovendo piuttosto valutare di volta in volta se tale nomina sia o meno necessaria, considerato che il mediatore ha il compito di assistere il debitore e i creditori nel condurre a buon fine il negoziato sul piano di ristrutturazione, mentre il supervisore esercita essenzialmente una funzione di controllo sulla regolarità del negoziato. Alla luce di quanto precede, e con specifico riferimento al nostro ordinamento, si può osservare che la figura del mediatore non è perfettamente sovrapponibile a quella del commissario giudiziale dei nostri concordati preventivi: rimane dunque da capire se quest’ultimo possa esercitare anche le funzioni di mediatore o se, in caso contrario, sia necessario procedere alla nomina di un altro soggetto che possa assumere ed esercitare tali specifiche funzioni.
Per ciò che concerne invece le modalità di adozione del piano, la Commissione ha inteso innanzitutto assicurare la vincolatività del piano di ristrutturazione nei confronti di tutti i creditori, una volta che sia stato approvato dalla maggioranza di questi e omologato dal giudice. Peraltro, nel caso in cui sia stata prevista la suddivisione in classi, il piano di ristrutturazione dovrebbe essere approvato dalla maggioranza dei crediti di ciascuna classe.
Nondimeno, in una prospettiva di certezza del diritto e di tutela dei differenti interessi coinvolti nella procedura di ristrutturazione, il piano che abbia ripercussioni nei confronti dei creditori dissenzienti o che preveda nuovi finanziamenti dovrebbe essere vincolante unicamente dopo che sia intervenuta l’omologazione da parte del giudice, che tuttavia potrà avvenire esclusivamente qualora siano state rispettate una serie di condizioni minime di garanzia, dettagliate nella Raccomandazione.
Risponde alle medesime esigenze di garanzia la previsione per effetto della quale tutti i creditori potenzialmente interessati dal piano di ristrutturazione dovrebbero essere informati dei suoi contenuti e godere del diritto di opporsi, proponendo ricorso contro il piano stesso. Anche in questo caso, però, la Commissione si è sforzata di contemperare l’interesse – particolare – dei creditori pregiudicati dal piano a opporsi a quanto in esso previsto e quello – generale – al risanamento dell’impresa. È stato infatti disposto che, in linea di principio, il ricorso contro il piano di ristrutturazione non deve sospenderne l’attuazione.
La Commissione, tuttavia, ha voluto impedire un impiego meramente dilatorio e opportunistico degli strumenti di prevenzione dell’insolvenza del debitore in crisi, chiarendo che, in ogni caso, gli Stati membri sono tenuti a provvedere affinché il giudice possa respingere i piani che appaiano manifestamente inidonei rispetto alla ristrutturazione dell’impresa o a garantirne la redditività futura.
A ogni modo, dal punto di vista dell’efficacia, è opportuno precisare che la Raccomandazione in esame parrebbe distinguere tra piani votati all’unanimità (in quanto tali idonei a vincolare tutti i creditori a prescindere dall’intervento del giudice) e piani non votati all’unanimità (che, viceversa, necessitano dell’omologazione del giudice per poter vincolare tutti i creditori, ancorché dissenzienti).
A tal proposito è possibile notare che, sebbene il provvedimento della Commissione intenda semplificare notevolmente l’accesso alle procedure di ristrutturazione dell’impresa in crisi valorizzandone – da una parte – gli aspetti privatistici e riducendo – dall’altra parte – l’intervento del giudice, resta comunque fermo in capo all’Autorità giudiziaria sia il potere di accordare il beneficio della sospensione delle azioni esecutive, sia quello di omologare il piano, in modo tale da renderlo vincolante anche nei confronti dei creditori che abbiano manifestato il proprio dissenso.
4. Fresh start
Come si è anticipato, l’altro macro-obiettivo del provvedimento in esame è permettere all’imprenditore “onesto ma sfortunato” di godere di una seconda chance. La Raccomandazione ha pertanto previsto che l’imprenditore sia ammesso al beneficio della liberazione integrale dei debiti interessati dal procedimento di composizione della crisi dopo un massimo di tre anni decorrenti dalla data del fallimento, in caso di procedura liquidatoria, ovvero dall’attuazione del piano di ristrutturazione, in caso di procedura di risanamento.
Occorre tuttavia tenere ben presente che il beneficio della liberazione dai debiti ha carattere premiale e, di conseguenza, non può essere concesso all’imprenditore che abbia agito in modo disonesto o in male fede ovvero che non abbia cooperato in funzione della tutela degli interessi dei creditori, ad esempio, non aderendo a un piano di ristrutturazione particolarmente idoneo a tal fine.
Peraltro, nella visione della Commissione, ferme le condizioni appena richiamate, l’effetto dell’esdebitazione dovrebbe essere una conseguenza automatica del decorso del termine triennale dal fallimento o dall’attuazione del piano di risanamento, senza che sia necessaria alcuna specifica richiesta al giudice.
5. Conclusioni
I primi commenti relativi alla Raccomandazione in esame sono stati complessivamente favorevoli, sebbene non siano mancate alcune critiche delle quali, sia pure sinteticamente, pare opportuno rendere conto.
In particolare, benché siano stati apprezzati i contenuti del provvedimento adottato dalla Commissione Europea, ha destato alcune perplessità lo strumento normativo scelto per veicolarne l’attuazione negli ordinamenti degli Stati membri, ossia la Raccomandazione, la quale, data la natura non vincolante, rischierebbe di tradursi in un intervento scarsamente incisivo al lato pratico.
Peraltro, tale preoccupazione parrebbe rivelarsi ancor più fondata a fronte delle brevi tempistiche previste per l’attuazione della Raccomandazione medesima. È stato infatti stabilito che gli Stati membri debbano procedere ad attuare i principi in essa enunciati entro 12 mesi dalla sua pubblicazione, avvenuta il 12 marzo 2014, e che la Commissione ne valuterà l’attuazione entro 18 mesi, decorrenti dalla stessa data.
Per tale ragione, pur auspicando che la scelta della Commissione Europea si riveli adeguata ed efficace, è emerso il convincimento che la traduzione in diritto vigente dei principi espressi nella Raccomandazione richiederà tempistiche maggiori rispetto a quelle previste. È stato pertanto suggerito di non escludere a priori l’opportunità di adottare, in un secondo momento e in caso di mancata attuazione della Raccomandazione, una direttiva in modo da abbreviare i tempi per la realizzazione dei medesimi obiettivi.
Matteo L. Vitali
Matteo Miramondi
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