1. Inquadramento del problema.

Il presente contributo ha ad oggetto alcune riflessioni in merito al discusso tema del controllo svolto dal giudice sulla proposta di concordato preventivo, in quanto argomento rilevante per lo studio della relativa disciplina e per l’individuazione delle sue specifiche funzioni (2).

Il punto centrale della questione riguarda, in particolare, il potere riconosciuto al tribunale sia sotto il profilo della sua ampiezza, sia per quanto attiene alla possibilità che – all’interno della disciplina del concordato preventivo – tale potere sia “variabile” a seconda della fase della procedura, di volta in volta, presa in considerazione.

Con riguardo al primo aspetto, si tratta di comprendere se al tribunale sia consentito entrare nel “merito” della proposta formulata dal debitore una volta che sia intervenuta la relazione dell’attestatore; tale quesito discende, in particolare, dal rapporto tra gli articoli 161 e 162 legge fall. Quest’ultima disposizione – come noto – attribuisce al tribunale, all’esito del procedimento, il potere di verificare se ricorrano i presupposti di cui all’art. 160, commi 1 e 2 e 161 legge fall. al fine di dichiarare eventualmente inammissibile la proposta di concordato. L’art.

161 legge fall., invece, al comma 3, prevede che il piano concordatario debba essere accompagnato dalla relazione di un professionista, designato dal debitore e in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo e che, in caso di modifiche sostanziali che riguardino la proposta o il piano, tale relazione debba essere nuovamente presentata (3).

In astratto, può ritenersi che siano tre le soluzioni interpretative percorribili in relazione all’estensione dei poteri del tribunale. La prima consiste nel ritenere che esso abbia il potere di verificare la realizzabilità del piano: il che comporta, ovviamente, un esame di dettaglio dello stesso e presuppone, a sua volta, un’analisi della veridicità dei dati aziendali; la seconda soluzione consiste nel ritenere che il Tribunale sia legittimato a controllare la sola logicità del percorso argomentativo utilizzato dall’attestatore nella sua relazione, dando per “scontata”, dunque, la veridicità dei dati posti a base dell’analisi da quest’ultimo  effettuata; ci si potrebbe, infine, limitare a ritenere che il tribunale debba circoscrivere il proprio controllo alla compatibilità tra la relazione e le prescrizioni di legge. Non v’è dubbio, invece, che sia preclusa la possibilità di riconoscere al giudice il potere valutare la concreta convenienza, da un punto di vista meramente economico, della proposta concordataria. Ciò in quanto, in generale, è compito dei creditori esprimere – tramite il voto – il loro apprezzamento alla proposta formulata dal debitore. Tra l’altro, conferma tale convincimento lo stesso dato sistematico, posto che, quando il legislatore ha voluto  al “merito” il controllo del tribunale, lo ha fatto in modo esplicito (considerando pertanto circostanza “eccezionale”) e in occasioni peculiari come quelle in cui – nell’ambito di un bilanciamento degli interessi – si è ritenuto che il giudizio dei soli creditori non sia più     e debba “cedere il passo” a valutazioni più articolate rispetto a quella – pur presente – di propriamente economica: è il caso, questo, della valutazione “comparativa” formulata dal tribunale in occasione dell’applicazione del meccanismo del «cram  down»  (art.  180, legge fall.).

Quanto al secondo profilo, riguardante la determinazione del potere del tribunale rispetto al momento in cui si registra il suo intervento, ci si chiede se tale potere sia sempre uguale nel corso di tutta la procedura di concordato o sia, piuttosto, variabile nel suo contenuto, mutando pertanto estensione a seconda che esso venga esercitato nella fase di ammissibilità della proposta concordataria, della sua omologazione o della revoca del concordato. Ed invero, all’interno della disciplina del concordato preventivo, la questione della definizione del perimetro del potere del tribunale si ripropone in più occasioni e, in particolare, oltre che nella fase di ammissibilità della proposta, anche in quella di omologa (rispetto alla quale il novellato art. 180, sancisce che il tribunale provvede in tale senso una volta «verificata la regolarità della procedura», sembrando circoscriverne il raggio di azione a un esame di legittimità) e in quella dell’esecuzione del concordato – rectius: della sua revoca – per l’ipotesi in cui il commissario giudiziale comunichi al tribunale che si sono verificate una serie di circostanze legate alla condotta del debitore e contrarie all’interesse dei creditori (comma 1) o nel caso in cui manchino – «in qualunque momento» – le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato medesimo (comma 3).

In ogni caso, una volta individuati i problemi, va tenuto presente – al fine di proporre qualche considerazione al riguardo – che essi traggono in buona misura origine dal cambiamento di prospettiva e di impostazione che l’ondata di riforme dell’impianto originario della legge fallimentare, in generale, e della disciplina del concordato preventivo, in particolare, ha comportato a partire dal 2005 (specialmente con riguardo al

d.l. 14 marzo 2005, n. 35 conv. in l. 14 maggio 2005, n. 80) con interventi sistematici nelle intenzioni ma rispetto ai quali si sono poi rese necessarie e opportune successive modifiche “ortopediche”.

Tra gli aspetti che in qualche modo hanno imposto una rivisitazione di tale prospettiva, vi è tra l’altro quello – che ha senz’altro influenzato gli orientamenti circa la valutabilità del piano concordatario da parte del tribunale – della misura con cui è stato dal legislatore accordato alle parti spazio per auto-determinarsi; tema, questo, che ha fatto parlare di “intreccio virtuoso” tra situazione di crisi e disciplina del contratto (4) ma che non ha sino ad ora consentito agli interpreti di giungere a una conclusione in merito all’ampiezza con cui l’autonomia contrattuale possa effettivamente superare la crisi e, inoltre, in merito alla natura del piano concordatario, quale strumento a ciò destinato.

2. La posizione di dottrina e giurisprudenza.

All’indomani delle modifiche apportate dal legislatore, con d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, alla disciplina del concordato preventivo – che originariamente contemplava un significativo spazio al ruolo del giudice in considerazione della possibilità di sindacare, in tutti i suoi aspetti, la proposta concordataria – la dottrina si è divisa circa la determinazione di tali poteri.

In sintesi, si può dire che gli autori abbiano seguito due strade principali. L’una diretta a riconoscere solamente un ruolo formale del giudice, limitato alla verifica della compatibilità con la disciplina. Secondo alcune opinioni, sempre ascrivibili a tale orientamento, il potere del giudice potrebbe riguardare anche la completezza e articolazione del piano nella misura in cui ciò risulti funzionale a consentire ai creditori di formarsi un’opinione fondata su di esso (5). Per altri, invece, controllo del giudice non potrebbe essere confinato in spazi così angusti, con la conseguenza che vi sarebbe spazio per controlli più penetranti che potrebbero spingersi sino a valutare la congruenza e la completezza del piano: in altri termini la sua fattibilità. É questa la tesi sostenuta anche da una parte della giurisprudenza di merito che è giunta a ritenere che il giudice possa valutare se, rispetto al caso concreto, le assunzioni alla base dell’attestazione e la formulazione delle conseguenze che conducano all’attestazione siano tra loro coerenti (6).

La situazione di incertezza registratasi in dottrina si riscontra anche nella giurisprudenza di legittimità che, in più occasioni, è intervenuta sul punto (7).

Con la sentenza n. 21860 del 2010, è stata inizialmente accolta la tesi per la quale al tribunale sarebbe precluso un controllo di merito sulla proposta e una valutazione circa la realizzabilità, dovendosi esso piuttosto limitare a un controllo di veridicità dei dati e di correttezza delle forme e dei criteri utilizzati per l’elaborazione del piano: in altri termini, al giudice sarebbe al più consentita una verifica di legittimità consistente nel valutare che il professionista abbia rispettato le disposizioni di legge relative al contenuto dell’asseverazione (8). La sentenza ha suscitato critiche da una parte della dottrina che non ha condiviso il ruolo che la Cassazione ha attribuito al professionista quale “certificatore” – attraverso la propria attestazione – della fattibilità del piano, quasi si trattasse di una garanzia in merito al suo contenuto rispetto alla quale il giudice possa fare esclusivo affidamento; piuttosto, l’attestazione andrebbe considerata un indizio più che una prova, posto che avrebbe il medesimo valore di un documento proveniente da un terzo (9).

Questo indirizzo è stato seguito da ulteriori pronunce della  Suprema  Corte (n. 14 febbraio 2011, n. 13817 e n. 13818 del  23 giugno 2011) le quali, tra l’altro, hanno    che il legislatore non ha inteso conferire al tribunale la prerogativa di sindacare nel merito fattibilità del piano (10).

Una “voce fuori dal coro” è rappresentata, invece, dalla sentenza n. 18864 del 15 settembre 2011, con cui – relativamente alla fase di omologa del concordato – si è controllo del tribunale sulla proposta non dovrebbe riguardare solo il rispetto formale dei requisiti e la veridicità dei dati, ma anche la legittimità sostanziale della proposta stessa Secondo l’insegnamento della Corte, infatti, il concordato preventivo, pur non potendo prescindere dall’accordo tra le parti, non è comunque riconducibile «sic et simpliciter formazione di un ordinario contratto di diritto privato» (12), coinvolgendo interessi più natura pubblicistica che permarrebbero  anche  nella  fase  del  voto  con  l’eventuale  della proposta da parte della maggioranza.

Secondo tale orientamento, tra l’altro, il sindacato del giudice si tradurrebbe in duplice controllo – formale e sostanziale – circa la ragionevole previsione di realizzabilità piano con la precisazione che la sua estensione non sarebbe uguale in tutte le fasi del Mentre, infatti, nella fase iniziale di ammissibilità della proposta, il sindacato assume «la prima verifica, limitata alla non manifesta infondatezza della proposta, con riferimento ai presupposti di veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano» (13), non potendo il tribunale avvalersi in questa fase del contributo del commissario giudiziale, il potere del giudice si potenzia nelle successive fasi del procedimento e, in particolare, in occasione dell’omologa o dell’eventuale esercizio dei poteri di revoca ex art. 173 legge fall.

G. BOZZA, cit.cui “una volta riscontrata la presenza in atti e la sua redazione secondo il contenuto minimo richiesto dalla norma, potrebbe il Tribunale, nella fase di esordio della procedura, sindacarne la intrinseca  attendibilità». l’orientamento che attribuisce al giudice un sindacato sul merito della  proposta,  «non  appare essendo in contrasto con il dettato normativo, dal quale si ricava che il legislatore ha  inteso  dare  una  netta  natura contrattuale, privatistica del concordato, che dà rilievo decisivo al consenso dei creditori».

  • In particolare, nella sentenza n. 13818, la Suprema Corte si è espressa in termini chiarissimi, sancendo dapprima che la «nuova legge fallimentare ha ridisegnato i ruoli degli organi preposti alle procedure concorsuali attribuendo al giudice il controllo della regolarità formale e sostanziale del procedimento finalizzato a consentire ai creditori di prendere le loro decisioni», e poi, quale diretta conseguenza di questa prima statuizione, che «il tribunale è privo del potere di valutare d’ufficio il merito della proposta, in quanto tale potere appartiene solo ai creditori così che solo in caso di dissidio tra i medesimi in ordine alla fattibilità, denunciabile attraverso l’opposizione all’omologazione, il tribunale, preposto per sua natura alla soluzione dei conflitti, può intervenire risolvendo il contrasto con una valutazione di merito in esito ad un giudizio, quale è quello di omologazione».
  • Civ., 5 settembre 2011, n. 18864, in Fall., 2012, 36 e ss.
  • Civ., 5 settembre 2011, n. 18864, cit.
  • E. MAVIGLIA, cit., 23.

La Suprema Corte ha tuttavia fatto ben presto ritorno al primo degli orientamenti illustrati, ribadendo il fondamentale ruolo dei creditori, unici soggetti legittimati a sindacare sindacare discrezionalmente la fattibilità del piano. In questo modo, il riscontro del giudice è stato giudice è stato circoscritto alla forma e alla veridicità dei dati, «da cui resta assolutamente escluso il escluso il merito» (14). Tali principi sono poi stati ribaditi in altra pronuncia del Supremo Collegio, la Collegio, la quale ha argomentato l’attenuazione del ruolo e dei poteri del giudice – circoscritto a circoscritto a una mera verifica di legittimità – sulla base dello “spirito” delle nuove norme, che norme, che attribuirebbero prevalenza all’elemento privatistico e negoziale rispetto a  quello quello pubblicistico che, almeno originariamente, caratterizzava l’impianto normativo.

3. I principi enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione.

Per quanto attiene al panorama giurisprudenziale, il più importante contributo sul tema in tema in esame è senza dubbio rappresentato da una recente pronuncia delle Sezioni Uniti della della Cassazione che – prendendo atto dell’ampio dibattito dottrinale e, in particolare, del contrasto tra la pronuncia del 15 settembre 2011, n. 18864 e 16 settembre 2011, n. 18987, che  che avevano rimesso la questione alla sua attenzione (15) – si sono, infine, pronunciate sul punto il punto il 23 gennaio 2013 (16).

A questo riguardo, i Giudici di legittimità hanno statuito i seguenti principi di diritto (i) il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato rappresenta un dovere del giudice che non viene escluso per la circostanza che intervenga successivamente all’attestazione del professionista; (ii) i creditori sono i soggetti cui spetta la valutazione di merito sulla proposta concordataria contenuta nel piano che si risolve nelle probabilità di successo economico del piano e dei rischi inerenti; (iii) il controllo del giudice – che è solo di legittimità – si deve ispirare, in tutte le fasi del concordato preventivo (ammissibilità, revoca e omologazione), al medesimo parametro; (iv) la valutazione del giudice consiste nella verifica dell’effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato, ossia nel perseguimento dell’obiettivo specifico del procedimento che si risolve nel superamento della crisi dell’imprenditore, tenendo in ogni caso conto del fatto che – fermo tale obbiettivo – la modulazione della proposta concordataria è atipica e lasciata all’autonomia delle parti pur dovendo assicurare un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori.

I primi commenti alla pronuncia sono moderatamente entusiasti, in quanto si è senza dubbio notato uno sforzo, da parte delle Sezioni Unite, a concedere una significativa apertura rispetto ai principi negoziali che ispirano la disciplina del concordato (17), rilevando, al contempo, la portata generale, non comune, della pronuncia, verosimilmente destinata a operare, quale strumento di interpretazione, al di là dell’ipotesi del concordato che ha dato luogo alla rimessione alle Sezioni Unite (18). Non mancano tuttavia anche critiche mosse da chi – pur condividendo i termini generali della sentenza – ha rilevato un’ambiguità di fondo di alcuni passaggi del ragionamento,     ritenuti     pericolosi, in considerazione della loro possibile A questo riguardo, si è dell’avviso che i Giudici di legittimità abbiano formulato una pronuncia che si contraddistingue sia sotto il profilo dell’approfondimento e dell’articolazione del ragionamento sia per quanto attiene agli sforzi di inquadramento del concordato preventivo rispetto al quale il contributo delle Sezioni Unite è da ritenersi senz’altro significativo.

4. Il nuovo ruolo del concordato preventivo all’interno del sistema della legge fallimentare.

Le Sezioni Unite hanno innanzitutto individuato l’oggetto della questione sottoposta al loro esame consistente nella necessità di definire il perimetro di intervento assegnato al giudice, al fine di stabilire se sia stato o meno soddisfatto il requisito di fattibilità del piano: ciò in considerazione del problematico rapporto tra la disposizione contenuta nell’art. 161, comma 3, legge fall. in merito al ruolo dell’attestatore con il compito di verificare la veridicità dei dati rappresentati dall’imprenditore e di esprimere una valutazione in ordine alla fattibilità del piano e la norma di cui all’art. 162 legge fall. che prescrive al tribunale di dichiarare il concordato inammissibile, in carenza dei presupposti di cui all’art. 160, commi 1 e 2 e art. 161, inclusi, per l’appunto, quelli concernPenetri qlauevsatloutmazoiotinveo,diellrpagroiofnesasmioenitsotad. ella Suprema Corte – a mio avviso lineare in questo punto – ha preso avvio dall’inquadramento dell’istituto del concordato preventivo ed è stato poi costantemente condotto tenendo presente le finalità della procedura di concordato preventivo. A questo proposito, è degno di nota rilevare come non venga mai perso di vista il fatto che il sindacato del giudice, circa la fattibilità del piano concordatario, sia indirizzato al superamento della crisi (20). Questa modalità di impostare il ragionamento, infatti, influenza in misura significativa le conclusione cui le Sezioni Unite sono giunte nella definizione dell’area di controllo del giudice. La Corte di Cassazione, cosciente della complessità del tema, è giunta a tale approdo prendendo in considerazione, innanzitutto, il dato normativo e tratteggiando la nuova fisionomia che il legislatore della riforma ha attribuito al concordato preventivo.

A questo proposito – dopo avere constatato che la precedente disciplina del concordato era ancorata a uno schema di natura pubblicistica in cui il giudice aveva un ruolo preciso, consistente nella verifica di determinati profili della proposta concordataria (esistenza di un vantaggio economico per i creditori; prospettiva ragionevole del pagamento del 40% dei debiti e meritevolezza dell’imprenditore con riguardo all’assenza di colpa nell’emersione del dissesto) – la Suprema Corte ha dato atto del cambiamento dell’inquadramento dell’istituto, in forza dell’introduzione di misure idonee a snellire le procedure esistenti e a rafforzare, in maniera vigorosa, il ruolo propositivo e decisionale delle parti.

Queste considerazioni sono perlopiù da ricondurre all’analisi dell’art. 160 l. fall., in occasione della quale la Corte ha ritenuto di ritrovare la conferma del principio di libertà di forma e di contenuto conferita all’imprenditore per la formulazione della sua proposta, limitata solo ed esclusivamente dalla necessaria presenza di tre elementi, ossia:

(i)  la  presenza  di  una  domanda  di  accesso  alla  procedura,  (ii)  la  sussistenza  di una proposta rivolta ai creditori (contenuta all’interno della domanda stessa), (iii) la prospettazione di un piano accompagnato dalla relazione di un professionista che «attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo» (cfr. art. 160, comma 3 l. fall.).

L’analisi della Suprema Corte, tuttavia, prosegue con considerazioni di più ampio respiro respiro circa la compresenza, nel concordato preventivo, di “due anime” (21). Si è quindi giunti a giunti a constatare che, se da una parte, gli interventi riformatori hanno finito per ampliare gli ampliare gli aspetti negoziali della procedura concorsuale (che presuppone per l’appunto un      un accordo tra le parti), dall’altra parte, essi hanno anche confermato la permanenze di innegabili innegabili risvolti pubblicistici. Questi ultimi, infatti, non solo vengono confermati per la sola  sola circostanza che la procedura concordataria si inserisce in un quadro normativo – quello della legge fallimentare – dotato indiscutibilmente di tale natura, ma altresì in quanto, con la disciplina concordataria – mediante la previsione di regole procedurali che scandiscono le varie fasi del concordato e che certamente non sono nella disponibilità del debitore – si è voluto offrire uno strumento di tutela anche per gli interessi di coloro che – pur non aderendo alla proposta – risultano in ogni caso esposti agli effetti della stessa.

In questo senso, dunque, non può giungersi frettolosamente a concludere che le Sezioni Uniti hanno definitivamente “marchiato” il concordato preventivo come una procedura di stampo privatistico.

Piuttosto, dall’esame della Suprema Corte, ne esce un istituto per così dire “ibrido” che, se da una parte esalta l’autonomia delle parti e, in particolare, del debitore, sotto il profilo del contenuto della proposta, dall’altra parte è pur sempre inserito in un insieme di regole di stampo pubblicistico le quali – come correttamente è stato notato (22) – non solo non vengono “espunte” dal sistema, ma acquistano una nuova fisionomia, finendo per incidere in misura significativa sul perimetro dei poteri del tribunale (23).

5. Fattibilità economica vs fattibilità giuridica del piano concordatario.

Alla luce di queste premesse, le Sezioni Unite hanno poi affrontato il tema cruciale per cui si è richiesto il loro intervento, ossia quello relativo al potere del giudice di sindacare la fattibilità del piano. Va rilevata, a questo proposito, l’attenzione con cui i giudici hanno voluto precisare – tenendo conto dell’ambiguità che si era sul punto registrata in precedenza – che questo aspetto non va confuso con la convenienza della proposta, essendo quest’ultima rimessa all’esclusiva valutazione negoziale dei creditori (24). Ne consegue che sarebbe preclusa, ad esempio, la possibilità di sindacare sulla misura di soddisfacimento percentuale offerta dal debitore ai creditori e che del piano sia garantita la realizzabilità: è richiesto, pertanto, che l’accordo raggiunto tra debitore e maggioranza dei creditori contenga veritiere e concrete prospettive di superamento della crisi.

A mio avviso, vale altresì la pena di mettere in luce come le Sezioni Unite si siano preoccupate di approfondire il concetto di “fattibilità” del piano: è stato infatti precisato che, per giungere a una compiuta formulazione di una valutazione della proposta, sotto tale profilo, sarebbe necessario un esame prognostico condotto ex ante «circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati».

L’originalità della pronuncia risiede anche nel prosieguo del proprio nell’introduzione di una distinzione fondamentale tra fattibilità giuridica ed economica: essa, contribuisce a meglio definire la nozione utilizzata dal legislatore nell’art. 161, comma 3, Con il primo aggettivo ci si riferirebbe, dunque, alla compatibilità delle modalità attuative piano con le norme inderogabili e con la concreta attuabilità dal punto di vista dei diritti in capo alle parti (25); con il secondo, invece, alla compatibilità delle modalità attuative finalità economiche perseguite, strumentali al superamento della crisi.

Tutto ciò è preliminare rispetto alla definizione del ruolo del giudice e dei suoi poteri. A tale risultato, infatti, le Sezioni Unite giungono “gradualmente”, considerando

(i) la funzione dell’attestazione del professionista; (ii) l’allocazione del rischio economico connesso con la proposta concordataria; e, infine, (iii) la causa del concordato.

Ed invero, sotto il primo profilo, le Sezioni Unite hanno constatato la rilevanza informativa dell’attestazione che, nel fornire dati, informazioni e valutazioni, elaborati “all’interno”, è diretta a fornire fondamentali elementi per la formazione di un giudizio sulla proposta; elementi che – se non vi fosse un professionista – sarebbe possibile ottenere solamente attraverso una consulenza tecnica disposta dal giudice (26).

Per questo motivo, quanto al secondo aspetto, sono i creditori – secondo le indicazioni della Suprema Corte – a essere i principali destinatari del rischio connesso con la fattibilità economica del piano: essi tuttavia, proprio in ragione della funzione dell’attestazione, devono essere messi nelle migliori condizioni possibili, sotto il profilo informativo, al fine di operare un giudizio prognostico completo circa il piano.

Per giungere, infine, a “ritagliare” il ruolo del giudice, le Sezioni Unite hanno cercato di individuare la causa concreta del procedimento di concordato; il che, in buona misura, contribuisce ad ampliare l’area dei poteri del giudice, non più confinati al solo ambito della legittimità.

A questo riguardo, i giudici sono giunti alla conclusione che – in considerazione delle modifiche intervenute sull’impianto originario della disciplina – essa si sostanzi nella regolazione della crisi e che tale causa si debba realizzare attraverso le indicazioni contenute nella proposta concordataria e sulla base del set informativo incluso nel piano e attestato dal professionista. La proposta e il piano sono dunque, per i creditori, strumenti indispensabili per giungere a esprimere, in modo consapevole, la propria (eventuale) adesione alla adesione alla proposta concordataria.

Il punto è stato criticato in dottrina, in quanto la distinzione tra causa astratta e causa causa concreta del concordato è stata ritenuta da alcuni idonea a “inquinare” i rapporti tra il ruolo il ruolo del giudice e quello dei creditori: da ciò si è fatta discendere l’opportunità – senz’altro senz’altro condivisibile – che il tribunale possa sindacare che la proposta, pur prevedendo il         il soddisfacimento dei creditori, non ne consenta poi una soddisfazione in concreto (27). In questo In questo senso, alcuni si sono già pronunciati a favore di una rilettura in chiave “minimalista” “minimalista” della sentenza, ritenendo che il tribunale potrebbe sindacare la fattibilità nel caso in caso in cui la singola proposta preveda sì il soddisfacimento dei creditori, ma che poi, in concreto, concreto, nessun soddisfacimento sarebbe possibile (28).

Tuttavia, una simile interpretazione non pare plausibile poiché, sulla base del tenore letterale della pronuncia della Suprema Corte, il sindacato del giudice potrebbe ben oltrepassare la “soglia minimale”, qualora la causa concreta della procedura concorsuale lo richiedesse.

6. I margini di sindacabilità riconosciuti al giudice.

Il “cuore” della pronuncia è infine rappresentato dalle considerazioni svolte dalle Sezioni Unite in merito a quei profili di natura pubblicistica che caratterizzerebbero il concordato preventivo. Non si tratta – come qualcuno ha correttamente rilevato (29) – di un “ritorno al passato” circa l’inquadramento dell’istituto ma di considerazioni significativamente innovative e in buona misura strumentali allo svolgimento del ragionamento dei giudici di legittimità.

Tornando su un punto già affrontato in apertura, essi hanno infatti chiarito che il perimetro del potere riconosciuto al giudice di sindacare il piano sia determinato proprio dalla sussistenza di interessi – riconducibili a quelli dei creditori – che, da una parte, non sarebbero pienamente protetti qualora la procedura fosse esclusivamente affidata all’autonomia delle parti e che dall’altra parte, vengono compressi dallo stesso procedimento concordatario qualora, ad esempio, si assista alla formazione di «maggioranze ipoteticamente non condivise formatesi sul punto». Tale seconda tipologia di limitazioni, dovuta alla necessità di consentire all’imprenditore di uscire dallo stato di crisi, trova giustificazione – secondo quanto indicato dalle Sezioni Unite – solamente qualora ai creditori venga consentito di esprimere il proprio voto sulla base di tutti i dati a tale fine necessari e che la proposta concordataria consenta sia il superamento della crisi, sia il riconoscimento di una «sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti».

È da queste considerazioni che emerge, dunque, la “fisionomia” del potere di sindacato del tribunale, posto che al giudice viene riconosciuto il potere di valutare la fattibilità giuridica della stesso, ossia la sua compatibilità con le norme dell’ordinamento, ma in concreto, ossia tenendo conto del contenuto della proposta e delle finalità da essa perseguite. Con la conseguenza, ben tratteggiata nel ragionamento della Suprema Corte, che (i) i margini di intervento del giudice non sono identificabili a priori e in astratto, proprio in ragione della necessità di esaminare il contenuto della proposta; (ii) dovrà senz’altro ammettersi una valutazione in ordine al ragionamento seguito dal professionista sotto il triplice profilo sia argomentazioni svolte a sostegno della fattibilità sia delle motivazioni poste a sostegno stessa sia, infine, della coerenza delle conclusioni raggiunte (30); (iii) il fattore “tempo” – e particolare la durata della procedura – essendo determinante dei costi di gestione e  quindi incidere sulla posizione dei creditori finisce per costituire un ulteriore elemento giudice deve prendere in considerazione, anche in ragione, tra l’altro, di ben chiari dati di positivo che – come nel caso dell’art. 181 legge fall. – sono diretti a contenere, nei limiti ragionevolezza i tempi di attuazione della proposta.

D’altra parte, da tale conclusione, discende che al sindacato del giudice sfuggono aspetti pratico-economici della proposta: in questo senso, non potrebbe essere oggetto di una sua valutazione la percentuale di soddisfazione dei creditori. Ben precisa, sul punto,  la Suprema Corte, che tale ambito sfugge dalla valutazione della causa concreta del piano e della proposta concordataria e che tale conclusione trova conforto in una serie di precedenti giurisprudenziali che hanno rilevato come l’indicazione della percentuale – nell’ipotesi di cessione di beni – non sia in alcun modo vincolante, bastando, a questo riguardo, l’impegno del debitore a mettere a disposizione dei creditori beni liberi da vincoli che possano ostacolarne la liquidazione (31).

Sul punto, v’è tuttavia da chiedersi se, consentendo al giudice di valutare la logicità e la congruità delle valutazioni del professionista circa l’idoneità o meno della proposta, non possa finire per comportare una, seppur minima, apertura rispetto alla possibilità di procedere al sindacato della proposta di concordato anche in ordine alla fattibilità economica, e non solo, come invece esposto nelle conclusioni della pronuncia, alla fattibilità giuridica.

7.  Considerazioni in merito all’uniformità dei parametri valutativi adottabili dal giudice (anche alla luce del recente «decreto sviluppo»)

Degne di nota sono altresì le valutazioni conclusive delle Sezioni Unite.

I Giudici di legittimità, infatti, si sono chiesti se i poteri del giudice dipendano dalle diverse fasi del procedimento concordatario (ammissibilità, revoca e omologazione del concordato), ovvero se il parametro valutativo debba essere sempre il medesimo.

Al quesito, è stata condivisibilmente data una risposta affermativa, fondata su una compiuta analisi del dato normativo. Essa, infatti, riposa sia sul rapporto tra gli articoli 162 e 163, da una parte, e l’art. 173 legge fall. dall’altra parte, alla luce della coincidenza del dato letterale e del rapporto tra queste norme e l’art. 180 – relativo al giudizio di omologazione –, il quale prevede che, qualora manchino opposizioni, il tribunale non debba compiere alcun tipo di accertamento. Piuttosto la regolarità della procedura (cfr. comma 3 dell’art. 180 legge fall.) dovrebbe essere accertata, in modo tale che sia possibile constatare che non siano venuti meno i presupposti in mancanza dei quali la procedura non si sarebbe neppure aperta.

  • Ne consegue che, ad esempio, il giudice potrà censurare un piano da cui emerga che la sommatoria dei dati considerati deponga a favore di un giudizio opposto a quello formulato dal professionista. Ancora, sarebbe censurabile l’impossibilità giuridica di dare esecuzione a quanto previsto nel piano, come nel caso di cessione di beni di proprietà di terzi; ovvero la constatazione che la proposta non sia idonea – prima facie – a soddisfare i diversi crediti
  • Sul punto, v. Cass. 13817/11,

In sintesi, il ruolo del giudice mantiene i medesimi contorni in tutte le fasi del procedimento, posto che, in ciascuna di esse, il suo compito è e resta comunque quello di verificare se il piano persegue la concreta causa del procedimento concordatario.

Con l’ottica di ampio respiro che caratterizza la pronuncia, le Sezioni Unite hanno poi svolto poi alcune considerazioni conclusive in merito all’impatto, sulla disciplina del concordato preventivo, dell’art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134. Come noto, infatti, tale intervento ha introdotto significative modificazioni all’impianto della legge fallimentare con il dichiarato scopo di favorire la continuità aziendale. A questo riguardo, sono stati introdotti nuovi istituti che, in buona parte, si innestano sulla procedura concordataria rappresentandone delle “variabili sul tema” che potrebbero comportare la rimodulazione del ruolo del tribunale.

Ci si riferisce, in particolare, alle nuove disposizioni che regolano il c.d. “concordato in bianco” (o con riserva) di cui all’art. 161, commi 6 e 7, legge fall. che legittima il debitore che abbia presentato una domanda “prenotativa” del concordato, chiedendo un termine al giudice per la proposizione della proposta e del piano, a compiere atti urgenti subordinatamente all’autorizzazione del tribunale che, in tale circostanza, può anche assumere informazioni. Anche ulteriori disposizioni, introdotte dalla novella – art. 169-bis legge fall.: autorizzazione del tribunale per sospendere o sciogliersi dai contratti in corso; art. 182-quinquies legge fall.: autorizzazione del tribunale, sulla base di un’attestazione di un professionista, a contrarre finanziamenti prededucibili e a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o di servizi – potrebbero fare pensare a un potenziamento del potere di sindacato del giudice.

Anche sotto tale profilo, tuttavia, le Sezioni Unite hanno confermato le conclusioni già raggiunte affermando che, anche rispetto a tali fattispecie, il potere di sindacato resta quello delineato con riguardo a (tutte le fasi della) procedura di concordato preventivo. Infatti, il ruolo del giudice non risulta inciso da tali norme: infatti, esse – se è pur vero che lo coinvolgono in modo significativo, mediante la richiesta di autorizzazioni per il compimento di determinati atti – si caratterizzano per una specifica funzione, consistente nella necessità di anticipare tempestivamente gli effetti del concordato (come nel caso del concordato “in bianco”), di tenere conto della modulazione di nuovi istituti (come per l’ipotesi di concordato “in continuità”) o di favorire la soluzione concordataria (come nel caso dell’erogazione di finanza-ponte per superare la crisi), con la conseguenza che i poteri del giudice non sarebbero potenziati ma giustificati in ragione dell’urgenza con la quale viene richiesto il suo intervento in funzione di terzo garante dei creditori.

D’altro canto, si trarrebbe conferma di ciò anche dall’esame del dato normativo, prendendo in considerazione le modifiche apportate all’art. 179 legge fall. Tale disposizione, infatti – al nuovo comma 2 – prevede ora che «quando il commissario giudiziario rileva, dopo l’approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza di cui all’articolo 180 per modificare il voto»: con ciò, pertanto, confermando che il tribunale non debba neppure essere destinatario di informativa riguardante le modifiche circa le condizioni (da intendersi “economiche”) relative alla fattibilità del piano.

8. Conclusioni

La questione dell’ampiezza del potere del giudice di sindacare la veridicità e fattibilità della proposta resta – anche dopo la pronuncia delle Sezioni Unite del 2013 – un tema molto delicato che, probabilmente, non troverà, neppure in questa occasione, una soluzione definitiva, tante sono le sfumature con cui esso può essere inteso.

Infatti, la stessa Cassazione, pur chiarendo quale debba essere l’orientamento da seguire, lo ha fatto mediante un ragionamento che, pur lineare, risulta complesso e nel quale non manca il ricorso a nozioni e concetti di carattere generale che ci si aspetta possano lasciare agli interpreti – in considerazione della loro “flessibilità” – un margine, eventualmente anche ampio, per rimodularne le conclusioni.

A questo riguardo, ad esempio, ci si potrebbe domandare se la valutazione circa la fattibilità del piano non possa, in qualche caso, tradursi in un giudizio del tribunale più caratterizzato da “derive” di natura economica: ciò in considerazione dei labili confini che

– all’interno di un piano e della attestazione – possono tracciarsi tra congruità giuridica e opportunità economica, posto che tali profili risultano spesso tra loro intrecciati e non facilmente identificabili nella loro individualità.

Pare, in ogni caso, doversi condividere l’opinione della dottrina che ha sottolineato come – anche in questo caso – il ruolo dell’autorità giudiziaria non possa essere delineato senza tenere conto delle finalità cui è diretto l’istituto del concordato, rispetto al quale prevale senz’altro quella causa concreta di superamento della crisi e di risanamento assente nella procedura fallimentare e che deve orientare gli interpreti nell’applicazione delle relative norme (32).

Matteo L. Vitali

Sul punto, V. CALANDRA BU

Nel marzo 2013, il Comitato di Basilea per la supervisione bancaria ha pubblicato un documento di consultazione dal titolo “External audits of banks”. Si tratta di una bozza cui è possibile replicare con i commenti ritenuti opportuni entro il 21 giugno 2013. Il draft migliora e sostituisce le precedenti linee guida del Comitato di Basilea (sia il documento del 2002 “The relationship between banking supervisors and bank’s external auditors”, sia quello del 2008 “External audit quality and banking supervision”) con l’esplicito e dichiarato intento, successivamente alla recente crisi finanziaria, di migliorare la qualità degli audit esterni. Questo perché il settore bancario, assumendo un ruolo centrale per la stabilità finanziaria del sistema, viene reputato unico nel suo genere: è fondamentale, pertanto, che sia incentivata l’efficacia della supervisione sull’operato delle banche e, in particolare, della revisione operata tramite gli audit esterni.

Per audit esterni (nel caso di specie) si intendono le verifiche indipendenti operate da soggetti terzi (società di revisione) relative agli strumenti e alle procedure di controllo interne alle banche, oltre che alla revisione del bilancio, al fine di valutare la conformità procedurale e la veridicità dei risultati, in particolare, della revisione contabile della banca stessa. Il Comitato detta 16 principi in cui espone le proprie aspettative sull’attività di revisione esterna e sui revisori.

Lo scopo della revisione affidata agli organi esterni alla banca è, come noto, quello di ottenere ragionevoli rassicurazioni sull’assenza di errori significativi nei rendiconti finanziari e nell’attività di gestione della banca stessa. Il Comitato di Basilea per la supervisione bancaria, con questo importante documento, ha dichiaratamente inteso operare a favore dell’efficacia di questi controlli finalizzati alla stabilità dell’intero sistema.

I principali soggetti cui questo draft è indirizzato sono quelli con funzioni di rilievo nelle operazioni di revisione delle banche degli stati membri e, quindi (a) il revisore esterno, ossia colui/coloro che nella società di revisione incaricata si occupano dell’audit bancario, oltre che la società di revisione in quanto tale; (b) il comitato audit, ossia un comitato nominato internamente dalla banca (nell’ambito del CdA) il quale svolge una funzione di controllo, analizza problematiche pratiche rilevanti con la facoltà di chiedere analisi specifiche sui temi giudicati meritevoli di approfondimenti, valuta e propone misure correttive sia riguardo all’audit interno che esterno, assiste il CdA nella valutazione sull’efficacia del sistema di controllo; (c) il supervisore, ossia quel gruppo di persone addette alla vigilanza presso un’autorità di vigilanza bancaria, le quali siano direttamente coinvolte con la supervisione di una specifica istituzione.

I punti di particolare interesse di questo documento riguardano (i) le modalità con cui i revisori esterni possono adempiere ai loro doveri in maniera più efficace, (ii) le modalità con cui i comitati audit possono contribuire ad incrementare la qualità della revisione, (iii) e le modalità con cui è possibile costruire un’efficace relazione tra il revisore esterno e il supervisore.

Il documento presenta una struttura molto lineare, inizialmente occupandosi dei principi riguardanti l’attività del revisore esterno (sia con riguardo alle aspettative del supervisore nei confronti della sua attività, sia con riguardo alle aspettative del supervisore nei confronti della sua attività di revisione finanziaria), poi esplicitando i doveri del comitato di sorveglianza nello svolgimento della propria attività, infine regolando i rapporti intercorrenti tra gli organi coinvolti in questa tipologia di operazioni.

Nella prima parte, come dicevamo, il Comitato di Basilea si occupa del revisore esterno. Innanzitutto ne vengono sanciti i requisiti soggettivi: il revisore dovrà avere un determinato livello di conoscenza e competenza della materia bancaria, anche eventualmente avvalendosi di esperti esterni (principio 1); parallelamente, dovrà soddisfare il requisito di indipendenza dall’istituto revisionato e di oggettività nello svolgimento delle sue valutazioni (principio Viene poi stabilito che, nell’esercizio delle sue funzioni, il revisore debba operare con “scetticismo professionale”, ossia con attitudine critica circa eventuali asserzioni erronee, ricercando prove che attestino le affermazioni del management e contestando eventuali statuizioni di dubbia veridicità (principio 3), il tutto con particolare riferimento ai giudizi e alle valutazioni operate dal management, alle operazioni inusuali e alle situazioni in cui, per la mancanza di adeguati controlli interni, è più probabile il reiterarsi di errori. È inoltre richiesto che la società di revisione ottemperi alle regole di maggior rigore previste dalle leggi nazionali per la qualità dei controlli, anche adottando procedure interne finalizzate ad accertare la permanenza dei requisiti di conoscenza e competenza (principio 4).

Secondariamente, il Comitato di Basilea si occupa delle modalità con cui la società di revisione deve svolgere il proprio compito. Essa deve innanzitutto identificare e valutare i rischi di errori significativi sulla situazione finanziaria della banca, con ovvio e specifico riguardo a tutte le operazioni intraprese dalla banca, ai loro potenziali risultati e ai relativi rischi (di credito, di mercato, di liquidità, operativo, di regolamentazione). Nel valutare i rischi derivanti dall’operato della banca e la “tenuta” dei controlli interni, particolare attenzione deve essere prestata (i) alle competenze degli organi dirigenziali con funzioni inerenti all’informativa finanziaria, (ii) alle strategie di copertura complesse, mal strutturate o mal monitorate, (iii) all’uso di complessi strumenti finanziari che coinvolgano significative stime di fair value o (iv) al ricorso, in significativi volumi, di transazioni inusuali. In questo genere di operazioni, si incoraggia lo scambio di informazioni e la collaborazione con i revisori interni (principio 5).

Il Comitato di Basilea indica poi esplicitamente alcune aree di particolare rischio che meritano di essere tenute in maggiore considerazione dal revisore (principio 6). Sotto tale profilo, vanno senz’altro considerati gli accantonamenti per le perdite sui crediti, di cui vanno monitorati attentamente non solo i criteri con cui essi vengono calcolati, ma anche le modalità con cui il management ha valutato eventuali incertezze e rischi, oltre che gli indicatori di esposizione creditizia. Altro punto segnalato dal Comitato è quello della “misurazione” del valore degli strumenti finanziari secondo i criteri del fair value: ciò è dovuto alla considerazione che una banca può detenere strumenti il cui prezzo di mercato è facilmente deducibile (in quanto scambiati molto frequentemente), sia strumenti complessi e “personalizzati” il cui valore di mercato è difficilmente ipotizzabile. A ciò si aggiunga che il “portafoglio” di una banca può cambiare in maniera assai rapida, con conseguente necessità di rilevare tali cambiamenti in sede contabile, anche riclassificando valutazioni iniziali o modificando i criteri valutativi (fair value e costo storico).

Tre le aree di rischio si segnala poi anche quella inerente alla non conformità con leggi o regolamenti e alle violazioni contrattuali. Tali situazioni, infatti, essendo idonee ad esporre la banca a potenziali liti o penali, devono essere attentamente valutate dal revisore. Particolare interesse va riservato anche alle disclosures (vale a dire alle informative rilasciate dalla banca, con cui essa rende note al pubblico informazioni riservate): l’incrementata complessità delle transazioni effettuate e il sempre più frequente utilizzo del criterio del fair value nella stima delle proprie poste, rendono necessario, secondo il Comitato, che i revisori esterni sollecitino le banche all’utilizzo delle public disclosures, al fine di rendersi trasparenti e, conseguentemente, incentivare la fiducia del mercato.

Il revisore ha anche il dovere di controllare e valutare la capacità della banca di continuare a eseguire le proprie obbligazioni in modo regolare, con un occhio di riguardo alla liquidità (di cui possibili fattori da considerare sono: l’affidabilità delle previsioni di cassa, la disclosure sul rischio di liquidità, nonché le restrizioni normative e contrattuali sui contanti, sui covenant finanziari e sui fondi pensione) e solvibilità della stessa (in questa ipotesi, i fattori possono essere: la “robustezza” della banca nella gestione della liquidità, dei capitali e del rischio di mercato, oltre che i controlli eseguiti su tale attività gestionale). Infine, il Comitato di Basilea segnala, quale aspetto di particolare attenzione, l’attività di cartolarizzazione, la quale, oltre al rischio intrinseco che genera, può rappresentare anche un pericolo di natura reputazionale (in caso di conseguenti difficoltà finanziarie e operative).

Come si è detto, il Comitato di Basilea si è occupato in questo documento anche del comitato audit. Quest’ultimo soprassiede l’intero processo di revisione e approva (o raccomanda al CdA di approvare) la nomina, il rinnovo del mandato, il licenziamento e il compenso del revisore esterno (principio 7). Nello svolgimento di questa funzione di monitoraggio, il comitato in parola deve innanzitutto determinare i criteri di valutazione per l’indipendenza, la competenza e la conoscenza tecnica del revisore esterno e valutare anche il rischio di rinuncia del revisore stesso. Durante l’esecuzione delle operazioni, il comitato audit deve mantenersi vigile sulla struttura e la gestione della società di revisione, sul tipo di contesto in cui si svolge il controllo (tenendo presente, ad esempio, se la banca opera su più giurisdizioni), su dubbi o problemi sollevati dagli organi di controllo circa la società di revisione e sulle indicazioni derivanti da recenti dissesti associati alle società di revisione delle banche.

Il comitato audit, ovviamente, deve anche valutare attentamente il requisito di indipendenza del revisore esterno, il quale rappresenta uno degli elementi decisivi per garantire  un adeguato livello qualitativo dell’audit. Devono così essere tenute in considerazione le regole previste dalle leggi nazionali (o dai regolamenti) per l’indipendenza del revisore e, oltre a queste, anche eventuali relazioni finanziarie/personali/lavorative con la banca. Anche la durata del legame con la società di revisione potrebbe, sul lungo periodo, generare una familiarità tale da “corrompere” il necessario requisito di indipendenza: è necessario, pertanto, comprendere se la confidenza raggiunta con il revisore, dopo un lungo periodo di lavoro, affini la permeabilità del controllo o sfoci in una vicinanza tale da abbassare la qualità del controllo stesso (principio 8).

È compito del comitato di sorveglianza anche monitorare e valutare l’efficacia dell’operato del revisore. A questo proposito, occorre dunque che il piano di revisione si occupi di quelle aree di particolare interesse e rischio, e che le risorse stanziate per l’audit siano proporzionali alla sua realizzazione, tenendo conto della sua natura e complessità. Al termine delle operazioni di audit, poi, il comitato audit deve considerare se la società di revisione ha seguito il piano prospettato e riportare al consiglio di amministrazione dell’efficacia delle operazioni stesse (principio 9).

Perché il lavoro svolto dal comitato audit e dal revisore sia efficace, il Comitato di Basilea suggerisce che tra questi intercorra una relazione di regolare, tempestiva, aperta e onesta collaborazione. È utile che il comitato si incontri regolarmente con il revisore esterno e che essi discutano tra loro di problemi significativi riscontrati nel corso della propria attività (principi 10 e 11).

Un ulteriore profilo di grande rilevanza trattato nel documento in esame riguarda i principi che regolano i rapporti tra i soggetti coinvolti nella supervisione bancaria. Si tratta, in particolare, di rapporti che devono essere basati sulla reciproca collaborazione e correttezza, in modo da incentivare l’effettiva trasmissione delle informazioni, sempre nel rispetto della dovuta riservatezza (principio 16).

Tra il supervisore e il revisore esterno deve esservi una relazione con appropriati canali di comunicazione per lo scambio di informazioni, affinché il supervisore possa beneficiare dei risultati dell’audit esterno. Tali comunicazioni possono avvenire sia oralmente (tramite meeting bilaterali o trilaterali, che coinvolgano anche coloro che detengono i poteri di gestione della banca) sia per iscritto (tramite lo scambio di segnalazioni o di report). Le principali ipotesi su cui il Comitato di Basilea “caldeggia” la comunicazione sono i casi in cui la banca: (i) intraprenda operazioni e transazioni particolari e oscure nella sostanza, (ii) effettui valutazioni economiche delle poste che sono agli “estremi” del range di valutazioni accettabili, (iii) abbia un deficit nella procedura di controllo interno, e (iv), infine, abbia rilasciato informative insufficienti (principio 12). Anche il revisore esterno deve informare prontamente il supervisore di eventuali informazioni di significativa importanza per la sua attività, qualora sia previsto dalle leggi nazionali, da regolamenti, da accordi formali o da protocolli. Alcuni esempi di queste informazioni significative potrebbero essere, secondo il Comitato di Basilea, quelle che indicano (i) un potenziale dissesto della banca, (ii) un conflitto interno agli organi decisionali della banca, (iii) un potenziale conflitto con leggi e regolamenti, e (iv) significativi cambiamenti nei rischi inerenti all’attività condotta dalla banca (principio 13).

Infine, il Comitato, invita i soggetti coinvolti a prestare particolare attenzione a tutte quelle “questioni sistematiche” di particolare rilievo, le quali potrebbero avere effetti sulla stabilità dell’intero sistema (a livello nazionale e internazionale), ad esempio circa l’appropriatezza delle tecniche di contabilità utilizzate con riguardo ai nuovi strumenti finanziari o problemi essenziali riguardanti l’opacità del mercato e le valutazione del valore di particolari classi di assets (principio 14). Tale dovere di collaborazione, va poi esteso anche verso l’autorità di vigilanza bancaria, la quale deve essere informata di problematiche emergenti e di tematiche inter-settoriali (principio 15). In conclusione, il documento sembra rispondere ai segni di debolezza che il  governo dei rischi bancari ha mostrato durante la crisi finanziaria. La bozza del Comitato di Basilea per la supervisione bancaria presenta quindi una serie di principi che sono finalizzati, in via generale e indiretta, al ripristino della fiducia dei mercati nella qualità dell’informativa finanziaria e, in via particolare e diretta, alla riduzione dei rischi cui si è accennato.

Matteo L. Vitali

Giacomo De Zotti

Il 20 agosto 2013 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge 9 agosto 2013 n. 98, di conversione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia. Le nuove disposizioni sono entrate in vigore il 21 agosto, giorno successivo a quello della pubblicazione in G.U. della legge.

Tra le varie novità introdotte, di notevole interesse risultano quelle relative alle procedure fallimentari, in particolar modo con riferimento all’istituto del concordato preventivo «con riserva» o «in bianco» (cfr. art. 161, sesto comma, Legge Fallimentare).

  • Origine e finalità delle modifiche legislative

Fine dichiarato delle modifiche alla disciplina originaria è quello di risolvere alcune delle problematiche applicative sorte nella prassi e rilevate dalle prime decisioni dei tribunali.

A seguito della sua introduzione, infatti, il concordato in bianco ha visto un aumento esponenziale del suo utilizzo da parte di imprenditori in difficoltà, incentivati dalla snellezza degli adempimenti (necessità di presentare una documentazione circoscritta a tre bilanci) e dalla protezione garantita contro le azioni esecutive e le misure cautelari nei confronti del patrimonio del debitore.

Le novità normative sembrano essere dirette soprattutto a correggere quelle “derive  quasi abusive” evidenziate – anche a livello statistico – nell’utilizzo dell’istituto e dovute dalla presenza di domande spesso volte solamente a rinviare nel tempo il momento del fallimento, nonostante lo stesso risulti di fatto inevitabile.

  • L’incremento degli obblighi informativi in capo all’imprenditore

Con l’obiettivo di incrementare la trasparenza informativa nella fase di presentazione dell’istanza, al debitore è ora richiesto di accompagnare la domanda di concordato con informazioni maggiormente dettagliate: oltre agli ultimi tre bilanci di esercizio, viene infatti ora richiesta la presentazione dell’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti.

L’informativa periodica di natura finanziaria dovuta dal debitore, prima dell’intervento riformatore disposta con decreto secondo la scelta discrezionale del tribunale, diviene ora obbligatoria: essa avrà cadenza mensile e dovrà essere inoltre pubblicata nel Registro delle Imprese. La previsione della pubblicazione della situazione finanziaria aggiornata dovrebbe ora garantire una maggiore protezione per i creditori, che potranno così pienamente valutare l’effettiva stabilità dell’impresa e l’attività da essa svolta, con la possibilità di decidere se promuovere o meno eventuale istanza per la dichiarazione di fallimento.

  • La possibilità di abbreviamento dei termini concessi, in caso di “lassismo” dell’imprenditore

L’imprenditore dovrà inoltre comunicare al tribunale le attività compiute ai fini della predisposizione del piano da presentare ai creditori e, qualora queste appaiano manifestamente inidonee, il tribunale, anche d’ufficio, sentiti il debitore e il commissario giudiziale, potrà disporre la riduzione dei termini già fissati.

In particolare, l’ottavo comma dell’art. 161 della Legge Fallimentare, è sostituito con il seguente: «Con il decreto che fissa il termine di cui al sesto comma, primo periodo, il tribunale deve disporre gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa e all’attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano, che il debitore deve assolvere, con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale se nominato, sino alla scadenza del termine fissato. Il debitore, con periodicità mensile, deposita una situazione finanziaria dell’impresa che, entro il giorno successivo, è pubblicata nel registro delle imprese a cura del cancelliere. In caso di violazione di tali obblighi, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo (1). Quando risulta che l’attività compiuta dal debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano, il tribunale, anche d’ufficio, sentito il debitore e il commissario giudiziale se nominato, abbrevia il termine fissato con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo. Il tribunale può in ogni momento sentire i creditori».

  • La possibilità di nomina di un commissario giudiziale

Infine, per ottimizzare la trasparenza e la veridicità dei dati presentati dall’imprenditore, il tribunale può scegliere di nominare un commissario giudiziale affinché questi svolga un esame delle scritture contabili e sorvegli l’attività e gli adempimenti posti in essere dal debitore. Si prevede al riguardo quanto segue: «Con decreto motivato che fissa il termine di cui al primo periodo, il tribunale può nominare il commissario giudiziale di cui all’articolo 163, secondo comma, n. 3; si applica l’articolo 170, secondo comma (2). Il commissario giudiziale, quando accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall’articolo 173 (3), deve riferirne immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all’articolo 15 (4)


  • Si riportano in nota, per comodità, i riferimenti normativi operati dal nuovo testo di legge. Qui di seguito, i commi secondo e terzo dell’art. 162: «(ii) Il Tribunale, se all’esito del procedimento verifica che non ricorrono i presupposti di cui agli articoli 160, commi primo e secondo, e 161, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta di concordato. In tali casi il tribunale, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5 dichiara il fallimento del debitore. (iii) Contro la sentenza che dichiara il fallimento è proponibile reclamo a norma dell’articolo 18. Con il reclamo possono farsi valere anche motivi attinenti all’ammissibilità della proposta di concordato».
  • «(ii) I libri sono restituiti al debitore, che deve tenerli a disposizione del giudice delegato e del commissario giudiziale».
  • «(i) Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori. La comunicazione ai creditori è eseguita dal commissario giudiziale a mezzo posta elettronica certificata ai sensi dell’articolo 171, secondo comma. (ii) All’esito del procedimento, che si svolge nelle forme di cui all’articolo 15, il tribunale provvede con decreto e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza, reclamabile a norma dell’articolo 18. (iii) Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell’articolo 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del »

Matteo L. Vitali

Filippo Caprotti

Il Decreto Legge n. 83/2012 c.d. “Crescita e sviluppo” è stato approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 15 giugno 2012 ed è stato pubblicato nel supplemento ordinario numero 129 della Gazzetta Ufficiale del 26 giugno 2012.

La pubblicazione non ha comportato rilevanti modifiche, soprattutto, per quanto attiene all’art. 33, rubricato “Revisione della legge fallimentare per favorire la continuità aziendale”, contenuto nel capo III “Misure per facilitare la gestione delle crisi aziendali”. Tale disposizione si inserisce nella serie di interventi sull’impianto originario della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) a distanza di quasi due anni dalle disposizioni introdotte dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazione, nella Legge 30 luglio 2010, n. 122; con l’art. 33 del Decreto, oltre alla modifica di preesistenti articoli della legge fallimentare, ne vengono inseriti altri cinque nuovi (artt. 169 – bis, 182 – quinquies, 182 –sexies, 186 –bis e 236 – bis L.F.)

Il 26 giugno u.s. è stato poi presentato alla Camera dei Deputati il disegno di legge di conversione del Decreto: come noto, infatti, i Decreti Legge entrano in vigore immediatamente ma devono essere convertiti in legge entro 60 giorni, pena la decadenza retroattiva degli effetti prodotti.

E’ stato quindi avviato un ciclo di “audizioni informali” che hanno tra l’altro coinvolto il Ministero dello Sviluppo Economico e le parti sociali.

Lunedì 9 luglio è scaduto il termine per la presentazione degli emendamenti.

Il Decreto è stato convertito con la legge 7 agosto 2012, n. 134 (G.U. 11 agosto 2012, n. 187, suppl. ord. N. 171).

Per quanto attiene all’entrata in vigore delle disposizioni del Decreto quelle contenute nell’art. 33, a differenza di tutte le altre, sono soggette a una previsione “temporale” ad hoc.

Il comma 3 dell’art. 33 del Decreto, infatti, prevede che le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano ai procedimenti di concordato preventivo e per l’omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti introdotti dal 30° giorno successivo alla entrata in vigore della legge di conversione, nonché ai piani di cui al comma 1, lett a), n. 1) elaborati successivamente al predetto termine. Si tratta di una scelta peculiare che, come hanno osservato i primi commentatori, è dovuta alla presenza in decreto di una nuova norma penale relativa al professionista-attestatore (di cui si dirà in seguito).

  1. Gli obiettivi della riforma
  • Eliminazione dei gravi disincentivi al tempestivo accesso alle procedure concorsuali alternative al fallimento da parte delle imprese in crisi (quali (i) l’insufficiente protezione del debitore durante la preparazione del piano di ristrutturazione che poteva essere esposto a azioni esecutive individuali ex 182-bis, comma 6 e (ii) le problematiche emerse con le prime forme di “nuova finanza” ex art. 182-quater); e dall’altra parte, l’introduzione di misure atte a garantire due tra gli incentivi più importanti nell’ambito delle ristrutturazioni vale a dire la garanzia della stabilità degli atti compiuti dall’imprenditore e la previsione di una disciplina peculiare per chi ha creduto nell’impresa in questa fase delicata mediante concessione di risorse finanziarie.
  • Principale conseguenza è, dunque, il favor verso un’emersione anticipata della difficoltà di adempimento dell’imprenditore. In linea con i principi ispiratori della riforma complessiva del diritto fallimentare, le nuove norme tendono a favorire una denuncia tempestiva della propria situazione di crisi, piuttosto che l’assoggettamento a misure di controllo esterno che la rilevino.
  • Favorire la continuità aziendale (concetto di natura aziendale che fa breccia nel diritto fallimentare: v. art. 2423-bis c.; IAS 1; Principio di revisione n. 570; Documento Banca d’Italia, Consob e Isvap n. 2 del 6 febbraio 2009 e Comunicazione Consob n. 9012559). La continuità aziendale non viene concepita come un valore in sé, ma soltanto in quanto strumentale alla soddisfazione dell’interesse del ceto creditorio.
  • Coordinamento tra le regole del diritto fallimentare (ad esempio, vi è coordinamento tra art. 168 L.F. riguardante gli effetti della presentazione del ricorso per concordato e l’art. 184 L.F. sugli effetti del concordato: ora è prevista infatti la pubblicazione ex officio della domanda per concordato e da quel momento si segna lo spartiacque tra creditori concorsuali e non).
  • Facilitare il coordinamento tra regole del diritto societario e quelle del diritto fallimentare: in ragione della interferenza sempre maggiore tra le due discipline; prevalenza della legge speciale sul diritto societario “comune”.
  1. Le misure adottate dal
    • IL C.D. CONCORDATO “ANTICIPATO” (ART. 161 L.F.)

L’anticipazione degli effetti positivi del concordato viene raggiunta accordando una “protezione anticipata” all’imprenditore rispetto a possibili aggressioni, dal punto di vista delle azioni esecutive, promosse dai suoi creditori.

In questo senso, vanno i nuovi commi dell’art. 161 L.F. che consentono all’imprenditore

  • sulla falsariga del chapter 11 del Bankruptcy Code americano – la facoltà di depositare un ricorso contenente la mera domanda di concordato preventivo, senza la necessità di produrre, contestualmente alla stessa la proposta, il piano e l’ulteriore documentazione richiesta dal secondo e terzo comma dell’articolo 161 L.F., salvo che per il deposito dei bilanci della società relativi agli ultimi tre esercizi. Al momento del deposito del ricorso, sarà il giudice ad assegnare al debitore un termine, compreso tra sessanta e cento venti giorni eventualmente prorogabile di altri sessanta in presenza di “giustificati motivi”, per integrare il ricorso. In alternativa, e con conservazione degli effetti prodotti dal ricorso sino all’omologa, è possibile depositare domanda ex 182-bis, comma 1° L.F.. Tale disposizione potrebbe essere strumentalizzata dal debitore al fine di ottenere una maggiore protezione a proprio esclusivo vantaggio: di conseguenza, è verosimile aspettarsi che i Tribunali nella determinazione del termine per l’integrazione e dell’eventuale proroga adottino criteri molto prudenziali, valutando, per ciascun caso di specie, l’esigenza connesse alla predisposizione e presentazione del piano e la necessità di garanzia dei creditori della procedura.

A partire dal deposito l’imprenditore è libero di compiere gli atti di ordinaria amministrazione e, previa autorizzazione del Tribunale, anche quelli “urgenti” di straordinaria amministrazione. Inoltre i crediti di terzi sorti per effetto di atti legalmente compiuti dal debitore in questo periodo sono prededucibili. In tal modo si spingono i terzi a contrarre con l’imprenditore in concordato, promuovendo la prosecuzione dell’attività produttiva.

Pur riconoscendo che la nuova disposizione potrà sortire effetti positivi certamente si pongono alcuni dubbi interpretativi con particolare riguardo al contenuto dell’atto introduttivo e al potere di valutazione del giudice di fronte alla valutazione della “mera domanda”. Infatti ci si può domandare: se l’imprenditore non presenta la proposta, né il piano, né la restante documentazione, cosa presenta? Si tratta semplicemente di una domanda di successiva integrazione? Se così fosse, quali parametri avrà il giudice per fissare, a sua discrezione il termine entro il quale la documentazione andrà presentata? Certamente l’imprenditore dovrà indicare se sussistono quei “giustificati motivi” a sostegno di una ulteriore proroga.

Quanto ai poteri del giudice, sul punto, nonostante le nuove disposizioni non siano ancora entrate in vigore, si è già espresso il Tribunale di Monza, in data 20 giugno 2012. In occasione della fase di istruttoria prefallimentare le parti hanno più volte chiesto il differimento del termine di udienza per la pendenza delle trattative che avrebbe dovuto condurre al deposito dell’istanza di desistenza. Il Tribunale ha dichiarato fallita la società per mancato raggiungimento di un accordo con i creditori, in presenza di tutti gli altri presupposti richiesti per la fallibilità, precisando – a fronte del fatto che una delle parti aveva invocato il contenuto del nuovo Decreto al fine di riservarsi di integrare la documentazione necessaria per proporre una domanda di concordato – che “la nuova norma inserita dall’art. 33 DL 15 giugno 2012, contenente misure urgenti per la crescita, che consente all’imprenditore di depositare il solo ricorso riservandosi d’integrarlo con la proposta, il piano e la documentazione, quando venga proposta nel corso di un procedimento prefallimentare, non solo non preclude, ma “comporta la necessità di un vaglio da parte del tribunale delle esigenze di tutela della massa dei creditori al fine di operare un bilanciamento degli interessi riconducibili all’autonomia negoziale con quelli pubblicistici peculiari della procedura fallimentare”.

  • NUOVA MODULAZIONE DELLA FIGURA DEL PROFESSIONISTA (ARTT. 67, COMMA 3, LETT. D) E 236-BIS L.F.)

La figura del professionista attestatore si innova sotto tre profili, vale a dire, rispettivamente, quello:

  • dell’indipendenza, in quanto si sostituisce la lettera d) del terzo comma dell’’articolo 67 L.F. prescrivendo, anche mediante il rinvio alle cause di ineleggibilità e decadenza dei sindaci (art. 2399 c.c.), che il professionista designato dal debitore deve essere indipendente, cioè non deve essere legato a quest’ultimo da rapporti personali o di lavoro e, più in generale, non deve nutrire alcun interesse all’operazione di risanamento (in tal modo rimarcando la necessaria autonomia del professionista anche dai creditori);
  • delle competenze, in quanto egli non si limita più solo ad attestare i piani di risanamento o gli accordi di ristrutturazione ma nuovi documenti, nell’ottica di “attestarne la funzionalità rispetto alla migliore soddisfazione dei creditori: così accade per la “finanza interinale”, per il pagamento di crediti anteriori rispetto alla domanda di ammissione al concordato con continuità per il pagamento di beni e servizi; la prosecuzione dei contratti di natura pubblica se l’attestatore conferma “la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento”; e, ancora, la partecipazione a “procedure di assegnazione di contratti pubblici” se la società presenta in gara una relazione di un professionista che attesti la ragionevole capacità di adempimento
  • della rilevanza penale della sua condotta, con l’introduzione del reato di falso in attestazioni e relazioni (art. 236-bis F.), applicabile in caso di esposizione di informazioni false o di omissione di informazioni rilevanti. Se poi l’attestatore abbia da ciò tratto un ingiusto profitto per sé o altri si ricade nell’aggravante con aumento della pena base di 5 anni e multa da Euro 50.000 a Euro 100.000. Le conseguenze di questa norma potrebbero registrarsi sotto il profilo della durata delle procedura – andando così in parziale contro-tendenza
  • rispetto ai principi ispiratori del Decreto volti a velocizzarlo in considerazione dell’esigenza che gli attestatori avranno di verificare i dati che vanno ad esaminare ad esempio svolgendo una adeguata due diligence.
  • ESENZIONE DA REVOCATORIA (ART. 67, COMMA 3, LETT. D), L.F.)

Si integra la lettera e) del terzo comma dell’articolo 67 L.F., prevedendo espressamente il non assoggettamento all’azione revocatoria fallimentare degli atti, pagamenti e garanzie legalmente poste in essere dal debitore dopo il deposito del ricorso per concordato preventivo e anche prima dell’ammissione alla procedura.

La norma deve essere letta congiuntamente al nuovo ultimo comma dell’articolo 161 L.F. (punto 4 della lettera b) dell’articolato), che prevede la prededucibilità dei crediti dei terzi sorti da atti di straordinaria ed ordinaria amministrazione legalmente posti in essere dal debitore dopo il deposito del ricorso.

Lo scopo della norma è quello di promuovere la continuazione aziendale, incentivando i terzi a contrarre con l’impresa in crisi.

  • CONTRATTI IN CORSO DI ESECUZIONE (ART. 169 – BIS L.F.)

Si tratta di un intervento teso a razionalizzare i costi dell’impresa in crisi tramite una nuova disciplina finora assente nell’ambito del concordato. Previa autorizzazione del Tribunale, il debitore può sciogliersi dai contratti in corso oppure può chiedere la sospensione della loro esecuzione sino a 60 giorni qualora ciò facilita la risoluzione della crisi. Per il terzo contraente del debitore in crisi vi è il riconoscimento del diritto a un indennizzo la cui misura è parametrata – in conformità alle scelte già adottate nella vigente disciplina inglese e francese – al risarcimento del danno da inadempimento. Tale credito è, diversamente da quanto accade per i crediti di cui agli artt. 72 ss. L.F., attratto nel regime del concorso tra i creditori. La facoltà di scioglimento è preclusa per i rapporti di lavoro subordinato, di locazione e fondati su contratto preliminare di compravendita d’immobile abitativo trascritto.

  • ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE (ART. 182-BIS L.F.)

La protezione dell’imprenditore viene raggiunta anche tramite una modifica della disciplina degli accordi di ristrutturazione. In particolare viene ridotto lo spazio originariamente lasciato all’autonomia privata, prevedendo:

  • l’obbligo dell’integrale (anziché del regolare) pagamento dei creditori estranei, nonché,
  • sempre con riferimento a tali creditori, una moratoria legale di 120 giorni dall’omologazione, ove titolari di crediti scaduti a quella data, e dalla scadenza, se successiva. In questo modo si consente al debitore in crisi di poter beneficiare del c.d. scaduto fisiologico;
  • simmetricamente, mediante la scelta adottata nel sesto comma dell’arti. 161 L.F., si consente al debitore che ha depositato una proposta di accordo ai sensi del sesto comma dell’art. 182 bis L.F., non solo di depositare un accordo diverso da quello annunciato nella proposta, ma anche, di presentare una domanda di concordato preventivo, anche anticipata, conservando gli effetti protettivi già
  • FINANZA INTERINALE (182-QUINQUIES L.F.)

E’ una nuova forma di nuova finanza che si affianca a quelle già previste dall’art. 182-quater L.F., differenziandosene in modo sostanziale.

Le principali caratteristiche di questa “finanza interinale” sono le seguenti:

  • non è “soggettivamente” limitata, nel senso che le banche non sono gli unici soggetti che possono erogarla.Ci si potrebbe chiedere se vi sarà lo spazio per nuovi operatori del “debt restructuring”, ossia di soggetti specializzati, direi anche soggetti ad un regime di vigilanza piuttosto stringente, che siano in grado di finanziare l’impresa sul lato debito oltre che con interventi in capitale di rischio. Si potrebbe, quindi, aprire una nuova stagione di operazioni in ragione di questa opportunità. Tra l’altro se si legge l’art. 32 del Decreto, quello riguardante i nuovi strumenti di finanziamento per le imprese, si rileva come le società non emittenti, diversi dalle banche o dalle micro-imprese (Raccomandazione 2003/361/CE) possano emettere cambiali finanziarie e obbligazioni a determinate condizioni, anche in deroga ai limiti previsti dal codice civile e con previsioni fiscalmente efficienti. Ci si chiede: se questa sia nuova finanza e in che modo  si possano quindi combinare le previsioni dell’art. 33 con quelle dell’art.
  • non è circoscritta dal punto di vista temporale, nel senso che si può trattare di finanziamenti, anche individuati per tipologia, che non siano ancora oggetto di negoziazione;
  • può essere garantita da pegno e ipoteca; e
  • è certamente prededucibile, senza dover attendere l’omologa. Si incentiva quindi un mercato della finanza interinale secondo un modello ispirato ai “first day orders” del Bankruptcy Code

Per ottenere questi effetti il debitore che abbia depositato una domanda ex artt. 161, primo o sesto comma L.F. (quindi anche con concordato “anticipato”, e 182-bis, primo o sesto comma L.F.) ha la facoltà di richiedere subito al Tribunale di essere autorizzato a contrarre finanziamenti prededucibili e a pagare i fornitori anteriori le cui prestazioni siano funzionali alla prosecuzione dell’attività d’impresa.

Il Tribunale accorda o meno la predetta autorizzazione sulla base delle risultanze della relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, lettera d) L.F., che il debitore deve produrre, e, ove occorra, assunte sommarie informazioni.

I finanziamenti e i pagamenti possono in ogni caso essere autorizzati sempre che siano funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori concorsuali.

In costanza di procedimento per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione l’autorizzazione al pagamento di crediti anteriori provoca l’esenzione dall’azione revocatoria fallimentare.

  • PERDITA DEL CAPITALE DELLA SOCIETÀ IN CRISI (ART. 182-SEXIES L.F.)

Si introduce un importante incentivo alla risoluzione delle situazioni di crisi di impresa, rappresentato dalla non operatività, in costanza dei procedimenti di concordato preventivo e per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, degli obblighi di capitalizzazione della società in perdita e, soprattutto, della causa di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale.

La norma recepisce un orientamento interpretativo diffuso in tema di concordato preventivo (per la verità formatosi soprattutto con riguardo al concordato liquidatorio piuttosto che rispetto a quello con continuità aziendale) ma lo estende anche al procedimento di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis, commi primo e sesto, L.F..

Al momento dell’omologazione gli obblighi di capitalizzazione saranno evasi proprio per effetto del piano o dell’accordo di ristrutturazione.

  • CONCORDATO CON CONTINUITÀ AZIENDALE (ART. 186 BIS L.F.)

Con la lettera h) dell’articolo 33 del Decreto si introduce una disciplina di favore per i piani di concordato preventivo finalizzati alla prosecuzione dell’attività d’impresa. Si tratta di una prassi già presente e già adottata in determinate situazioni.

In proposito, la nuova norma – art. 186-bis L.F. – prevede quale presupposto applicativo che il piano contempli la prosecuzione dell’attività di impresa, la cessione di azienda in esercizio o il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società. Pertanto, è il contenuto del piano a determinare l’applicazione della norma che si integra – nei limiti della compatibilità – con le disposizioni generali previste dall’art. 160 L.F.: dovrebbe quindi ritenerssssi che anche in questo caso si possano richiedere gli effetti anticipati del concordato previsti dalla norma vista poco fa.

La norma si riferisce anche al contenuto del piano. Vi è un contenuto necessario, nel senso che esso deve contenere l’indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, nonché delle risorse necessarie e delle relative modalità di copertura. Quanto al contenuto eventuale, invece, si riconosce al debitore la possibilità di prevedere nel piano una moratoria sino a un anno per il pagamento dei creditori muniti di cause legittime di prelazione salvo che si preveda la liquidazione di beni o diritti su cui sussiste la causa di prelazione.

E’ previsto inoltre l’intervento dell’attestatore a conferma della funzionalità della prosecuzione dell’impresa rispetto al miglior soddisfacimento dei creditori.

L’ultima parte della norma è poi dedicata ai rapporti contrattuali pendenti. C’è la volontà da parte del legislatore di chiarire che il regime generale – quello previsto dall’art. 72 L.F. – non è applicabile per analogia come sostenuto da alcuni in passato.

Facendo salva la norma dettata in generale per la sorte dei contratti, si prevede che per il solo effetto dell’apertura della procedura essi non si risolvono.

L’ammissione alla procedura di concordato con continuità non impedisce la continuazione dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione, purché un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 lettera d) L.F. attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento dell’impresa.

In deroga alle regole di esclusione di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici, si prevede inoltre che l’impresa in concordato con continuità può partecipare alle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici, purché presenti in gara una relazione di un professionista indipendente sulla proprie capacità di adempimento e sempre che, a garanzia degli interessi della stazione appaltante, il concorrente ricorra all’istituto dell’avvalimento di cui all’art. 49 codice contratti pubblici e, ove partecipi in ATI con altre imprese in bonis, non rivesta il ruolo di mandatario.

Chiara Langè

TABELLA DI RAFFRONTO DELLA LEGGE FALLIMENTARE (R.D. 16 MARZO

1942, N. 267) COME MODIFICATA DALLA LEGGE N. 134/2012 DI CONVERSIONE DEL

DECRETO LEGGE N. 83/2012

 

VECCHIO TESTO NUOVO TESTO
 

Art. 67, comma 3

(Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie)

 

Art. 67, comma 3

(Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie)

Non sono soggetti all’azione revocatoria: Non sono soggetti all’azione revocatoria:
a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso; a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;
b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca; b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;
c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado; c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale    dell’attività                           d’impresa dell’acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio;
d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili che abbia i requisiti previsti dall’art. 28, lettere a) e b) ai sensi dell’art. 2501-bios, quarto comma, del codice civile; d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano;    il     professionista     è   indipendente

quando  non  è  legato  all’impresa  e  a coloro

che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore;
e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182- bis; e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161;
f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito; f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo. g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle                  procedure               concorsuali        di amministrazione controllata e di concordato

preventivo.

Art. 69 – bis

(Decadenza dall’azione)

1. Le azioni revocatorie disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell’atto.

Art. 69 – bis

(Decadenza dall’azione e computo dei termini)

1.  Le azioni revocatorie disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell’atto.

2.  Nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segue la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli articoli 64, 65,

67, primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.
Art. 72, comma 8 (Rapporti pendenti)

8. Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado.

Art. 72, comma 8 (Rapporti pendenti)

8. Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività d’impresa

dell’acquirente.

Art. 161

(Domanda di concordato)

1.  La domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale; il trasferimento della stessa intervenuto nell’anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini della individuazione della competenza.

2.  Il debitore deve presentare con il ricorso:

a)     una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;

b)  uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

c)  l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;

d)   il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.

Art. 161

(Domanda di concordato)

1.  La domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale; il trasferimento della stessa intervenuto nell’anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini della individuazione della competenza.

2.  Il debitore deve presentare con il ricorso:

a)     una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;

b)  uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

c)  l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;

d)   il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili;

e)      un    piano    contenente    la       descrizione analitica delle modalità e dei tempi di

adempimento della proposta.

3. Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. 3. Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lett. d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano.
4. Per la società la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’ articolo 152. 4. Per la società la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’articolo 152.
5. La domanda di concordato è comunicata al pubblico ministero. 5. La domanda di concordato è comunicata al pubblico ministero ed è pubblicata, a cura del cancelliere, nel registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria. (4)
6. L’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni. Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può depositare domanda ai sensi dell’articolo 182-bis, primo comma. In mancanza, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo.
7. Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all’articolo 163 il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni. Nello stesso periodo e a decorrere dallo stesso termine il debitore può altresì compiere gli atti di ordinaria amministrazione. I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono

prededucibili ai sensi dell’articolo 111.

8.  Con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo, il tribunale dispone gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa, che il debitore deve assolvere sino alla scadenza del termine fissato. In caso di violazione di tali obblighi, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo.

9.    La domanda di cui al sesto comma è inammissibile quando il debitore, nei due anni precedenti, ha presentato altra domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione     dell’accordo             di ristrutturazione dei debiti.

10.    Fermo quanto disposto dall’articolo 22, comma 1, quando pende il procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine di cui al sesto comma è di sessanta giorni, prorogabili, in presenza di giustificati motivi,

di non oltre sessanta giorni.

Art. 168

(Effetti della presentazione del ricorso)

1.  Dalla data della presentazione del ricorso e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore al decreto non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore.

2.   Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese, e le decadenze non si verificano.

3.    I creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice nei casi previsti dall’articolo precedente.

Art. 168

(Effetti della presentazione del ricorso)

1.  Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore […] non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore.

2.   Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese e le decadenze non si verificano.

3.   I creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice nei casi previsti dall’articolo precedente. Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni     che     precedono     la     data     della

pubblicazione  del  ricorso  nel  registro  delle

imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.
Art. 169-bis

(Contratti in corso di esecuzione)

1.  Il debitore nel ricorso di cui all’articolo 161 può chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso. Su richiesta del debitore può essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta.

2.   In tali casi, il contraente ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato.

3.     Lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta.

4.   Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai rapporti di lavoro subordinato nonché’ ai contratti di cui agli articoli 72,

ottavo comma, 72 ter e 80 primo comma.

Art. 178

(Adesioni alla proposta di concordato)

1.      Nel processo verbale dell’adunanza dei creditori sono inseriti i voti favorevoli e contrari dei creditori con l’indicazione nominativa dei votanti e dell’ammontare dei rispettivi crediti.

2.   Il processo verbale è sottoscritto dal giudice delegato, dal commissario e dal cancelliere.

3.  Se nel giorno stabilito non è possibile compiere tutte le operazioni, la loro continuazione viene

rimessa dal giudice ad un’udienza prossima, non

Art. 178

(Adesioni alla proposta di concordato)

1.  Nel processo verbale dell’adunanza dei creditori sono inseriti i voti favorevoli e contrari dei creditori con l’indicazione nominativa dei votanti e dell’ammontare dei rispettivi crediti. È altresì inserita l’indicazione nominativa dei creditori che non hanno esercitato il voto e dell’ammontare dei loro crediti.

2.   Il processo verbale è sottoscritto dal giudice delegato, dal commissario e dal cancelliere.

3.  Se nel giorno stabilito non è possibile compiere tutte  le  operazioni,  la  loro  continuazione viene

rimessa dal giudice ad un’udienza prossima, non

oltre otto giorni, senza bisogno di avviso agli assenti.

4. Le adesioni, pervenute per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale, sono annotate dal cancelliere in calce al medesimo e sono considerate ai fini del computo della maggioranza dei crediti.

oltre otto giorni, dandone comunicazione agli assenti.

4. I creditori che non hanno esercitato il voto possono far pervenire il proprio dissenso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale. In mancanza, si ritengono consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza dei crediti. Le manifestazioni di dissenso e gli assensi, anche presunti a norma del presente comma, sono annotati dal

cancelliere in calce al verbale.

Art. 179

(Mancata approvazione del concordato)

1. Se nei termini stabiliti non si raggiungono le maggioranze richieste dal primo comma dell’articolo 177, il giudice delegato ne riferisce immediatamente al tribunale, che deve provvedere a norma dell’art. 162, secondo comma.

Art. 179

(Mancata approvazione del concordato)

1.   Se nei termini stabiliti non si raggiungono le maggioranze richieste dal primo comma dell’articolo 177, il giudice delegato ne riferisce immediatamente al tribunale, che deve provvedere a norma dell’art. 162, secondo comma.

2.   Quando il commissario giudiziario rileva, dopo l’approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza di cui all’articolo 180 per

modificare il voto.

Art. 180, comma 4 (Giudizio di omologazione)

4. Se sono state proposte opposizioni, il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio. Nell’ipotesi di cui al secondo periodo del primo comma dell’articolo 177 se un creditore appartenente ad una classe dissenziente contesta la convenienza della proposta, il tribunale può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.

Art. 180, comma 4 (Giudizio di omologazione)

4. Se sono state proposte opposizioni, il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio. Nell’ipotesi di cui al secondo periodo del primo comma dell’articolo 177 se un creditore appartenente ad una classe dissenziente ovvero, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentano il venti per cento dei crediti ammessi al voto, contestano la convenienza della proposta, il tribunale può omologare  il  concordato  qualora  ritenga  che  il

credito  possa risultare soddisfatto  dal concordato

in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Art. 182-bis

(Accordi di ristrutturazione dei debiti)

Art. 182-bis

(Accordi di ristrutturazione dei debiti)

1. L’imprenditore (2) in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’articolo 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d) sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei. 1. L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’articolo 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d) sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei seguenti termini: a) entro centoventi giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data; b) entro centoventi giorni dalla scadenza, in  caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione.
2. L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione. 2. L’accordo e’ pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione.
3. Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore. Si applica l’art. 168 secondo comma. 3. Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati. Si applica l’ articolo 168, secondo comma.
4. Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera di consiglio con decreto motivato. 4. Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera di consiglio con decreto motivato.
5. Il decreto del tribunale è reclamabile alla corte di appello ai sensi dell’ articolo 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese. 5. Il decreto del tribunale e’ reclamabile alla corte di appello ai sensi dell’ articolo 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.
6. Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell’articolo 9 la documentazione di cui all’articolo 161, primo e secondo comma, e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la idoneita’ della proposta, se accettata, ad assicurare il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilita’ a trattare. L’istanza di sospensione di cui al presente comma e’ pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonche’ del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione. 6. Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell’articolo 9 la documentazione di cui all’articolo 161, primo e secondo comma, lettere a), b), c) e d), e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. L’istanza di sospensione di cui al presente comma e’ pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione.
7. Il tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, fissa con decreto l’udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito dell’istanza di cui al sesto comma, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa. Nel corso dell’udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilita’ a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione  redatta  dal  professionista  a  nonna del

primo comma. Il decreto del precedente periodo

7. Il tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, fissa con decreto l’udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito dell’istanza di cui al sesto comma, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa. Nel corso dell’udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione redatta  dal  professionista  a  norma  del  primo

comma.  Il  decreto  del  precedente  periodo  e’

e’ reclamabile a norma del quinto comma in quanto applicabile.

8. A seguito del deposito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti nei termini assegnati dal tribunale trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo, quarto e quinto comma.

reclamabile a norma del quinto comma in quanto applicabile.

8. A seguito del deposito di un accordo di ristrutturazione dei debiti nei termini assegnati dal tribunale trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo, quarto e quinto comma. Se nel medesimo termine è depositata una domanda di concordato preventivo, si conservano gli effetti di cui ai commi sesto e

settimo.

Art. 182-quater

(Disposizioni in tema di prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione dei debiti)

Art. 182-quater

(Disposizioni in tema di prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione dei debiti)

1. I crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati da banche e intermediari finanziari iscritti negli elenchi di cui agli articoli

106 e 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, in esecuzione di un concordato preventivo di cui agli articoli 160 e seguenti ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis) sono prededucibili ai sensi e per gli effetti dell’articolo 111.

1. I crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati […] in esecuzione di un concordato preventivo di cui agli articoli 160 e seguenti ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis) sono prededucibili ai sensi e per gli effetti dell’articolo 111.
2. Sono parificati ai prededucibili ai sensi e per gli effetti dell’articolo 111, i crediti derivanti da finanziamenti effettuati dai soggetti indicati al precedente comma in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano di cui all’articolo 160 o dall’accordo di ristrutturazione e purche’ la prededuzione sia espressamente disposta nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato. 2. Sono parificati ai crediti di cui al primo comma i crediti derivanti da finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano di cui all’articolo 160 o dall’accordo di ristrutturazione e purché la prededuzione sia espressamente disposta nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato. (2)
3. In deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, il primo comma si applica anche ai finanziamenti effettuati dai soci, fino a concorrenza dell’ottanta per cento del loro

ammontare.

3. In deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, il primo e il secondo comma si applicano anche ai finanziamenti effettuati dai soci fino alla concorrenza dell’ottanta per

cento  del   loro  ammontare.   Si  applicano   i

4.   Sono altresì prededucibili i compensi spettanti al professionista incaricato di predispone la relazione di cui agli articoli 161, terzo comma, 182-bis, primo comma, purche’ cio’ sia espressamente disposto nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato.

5.    Con riferimento ai crediti indicati ai commi secondo, terzo e quarto, i creditori sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze per l’approvazione del concordato ai sensi dell’articolo 177 e dal computo della percentuale dei crediti prevista all’articolo 182-bis, primo e

sesto comma.

commi     primo     e     secondo     quando               il finanziatore ha acquisito la qualità di socio in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo. [comma abrogato]

4. Con riferimento ai crediti indicati al secondo comma, i creditori, anche se soci, sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze per l’approvazione del concordato ai sensi dell’articolo 177 e dal computo della percentuale dei crediti prevista all’articolo 182-bis, primo e sesto comma.

Art. 182-quinquies

(Disposizioni in tema di finanziamento e di continuità aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti)

1. Il debitore che presenta, anche ai sensi dell’articolo 161 sesto comma, una domanda di ammissione al concordato preventivo o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’articolo

182 bis, primo comma, o una proposta di accordo ai sensi dell’articolo 182 bis, sesto comma, puo’ chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a contrarre finanziamenti, prededucibili ai sensi dell’articolo 111, se un professionista designato dal debitore in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione, attesta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.

2.    L’autorizzazione di cui al primo comma puo’ riguardare anche finanziamenti individuati soltanto per tipologia ed entita’, e non ancora oggetto di trattative.

3.   Il tribunale può autorizzare il debitore a concedere pegno o ipoteca a garanzia dei medesimi finanziamenti.

4.     Il debitore che presenta domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi dell’articolo 161 sesto comma, può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. L’attestazione del professionista non è necessaria per pagamenti effettuati fino a concorrenza dell’ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori.

5.   Il debitore che presenta una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’articolo 182-bis, primo comma, o una proposta di accordo ai sensi dell’articolo 182-bis, sesto comma, può chiedere al Tribunale di essere autorizzato, in presenza dei presupposti  di cui al quarto comma, a pagare crediti anche anteriori per prestazioni di beni o servizi. In tal caso i pagamenti effettuati non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’articolo 67.

Art. 182-sexies

Riduzione o perdita del capitale della società in crisi

1.  Dalla data del deposito della domanda per l’ammissione al concordato preventivo, anche a norma dell’articolo 161, sesto comma, della domanda per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182 bis ovvero della proposta di accordo a norma del sesto comma dello stesso articolo e sino all’omologazione non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4, e 2545-duodecies del codice civile.

2.    Resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, l’applicazione

dell’articolo 2486 del codice civile.

Art. 184

(Effetti del concordato per i creditori)

Art. 184

(Effetti del concordato per i creditori)

1. Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura della procedura di concordato. Tuttavia essi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. 1. Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’articolo 161. Tuttavia essi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso.
2. Salvo patto contrario, il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci

illimitatamente responsabili.

2. Salvo patto contrario, il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci

illimitatamente responsabili.

Art. 186-bis

(Concordato con continuità aziendale)

1. Quando il piano di concordato di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e) prevede    la    prosecuzione    dell’attività    di

impresa  da  parte  del  debitore,  la  cessione

dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni del presente articolo. Il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa.

2. Nei casi previsti dal presente articolo:

a)    il piano di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e), deve contenere anche un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura;

b)     la relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma, deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori;

c)     il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall’articolo 160, secondo comma, una moratoria sino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto.

3. Fermo quanto previsto nell’articolo 169-bis, i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura. Sono inefficaci eventuali patti contrari. L’ammissione al concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti pubblici se il professionista designato dal debitore di cui all’articolo 67 ha attestato la conformita’ al piano e la ragionevole capacita’ di adempimento. Di tale continuazione puo’ beneficiare, in presenza dei requisiti di legge, anche la societa’ cessionaria o conferitaria d’azienda o di rami d’azienda cui i contratti

siano  trasferiti.  Il  giudice  delegato,   all’atto

della cessione o del conferimento, dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni.

4. L’ammissione al concordato preventivo non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando l’impresa presenta in gara:

a)     una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d) che attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto;

b)     la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica nonché’ di certificazione, richiesti per l’affidamento dell’appalto, il quale si è impegnato nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all’appalto. Si applica l’articolo 49 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

5.       Fermo quanto previsto dal comma precedente, l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché’ non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale. In tal caso la dichiarazione di cui al precedente comma, lettera b), può provenire anche da un operatore facente parte del raggruppamento.

6.   Se nel corso di una procedura iniziata ai sensi del presente articolo l’esercizio dell’attività d’impresa cessa o risulta manifestamente dannoso per i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell’articolo 173. Resta salva la facoltà del debitore di

modificare la proposta di concordato.

Titolo VI Capo III

Disposizioni applicabili nel caso di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani attestati e

liquidazione coatta amministrativa.

Art. 217-bis

(Esenzioni dai reati di bancarotta)

Le disposizioni di cui all’articolo 216, terzo comma, e 217 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all’articolo 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis ovvero del piano di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d).

Art. 217-bis

(Esenzioni dai reati di bancarotta)

Le disposizioni di cui all’articolo 216, terzo comma, e 217 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all’articolo 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis ovvero del piano di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a

norma dell’articolo 182-quinquies.

Art. 236-bis

(Falso in attestazioni e relazioni)

1.     Il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo comma, 182-bis, 182-quinquies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro.

2.  Se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per se’ o per altri, la pena è aumentata.

3.    Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà.